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L’Europa è ad un bivio?

Forse, è addirittura al capolinea, se non darà prova di autentico spirito comunitario

  04/04/2020

Di Tommaso Anastasio

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Come se fossimo in una delle tante serie televisive che in questi tempi spopolano su Netflix e ci rendono meno pesanti le misure restrittive da parte del governo atte a contrastare la pandemia da coronavirus e, poiché è nostra intenzione solo inquadrare il contesto storico e politico degli ultimi trent'anni, facciamo uno “sbrigativo riassunto delle puntate precedenti”:

a seguito della caduta del muro di Berlino (1989) e del crollo dell'Unione Sovietica, si ha il venir meno della contrapposizione esasperata fra le due maggiori superpotenze del globo. Nuove opportunità, in nome della libertà e della democrazia, paiono schiudersi per i destini di molti popoli europei dell'est. Parallelamente allo stravolgimento repentino dello scacchiere geopolitico mondiale (rimasto pressoché cristallizzato dal secondo dopoguerra), in Italia, dal 1992, assistiamo ad altri cambiamenti epocali, che principiano con la fine della partitocrazia e della prima Repubblica.
In pieno caos politico, dovuto agli effetti di Tangentopoli, la forza politica emergente, è la Lega Nord di Bossi (formatasi dalla fusione dei movimenti secessionisti delle varie regioni del nord Italia) la quale, alle elezioni di quell'anno, “sfonda” la soglia dell'8% e, nel 1994, ha la sua prima esperienza di governo alleandosi con Forza Italia (di Silvio Berlusconi).

Nulla sarà più come prima. Già con i governi Amato (1992) e Ciampi (1993) si attuano politiche “draconiane” al fine di contenere l'enorme debito pubblico italiano attraverso i tagli alla spesa pubblica ed il reperimento di nuove entrate con la più grande dismissione del patrimonio pubblico della storia repubblicana.  Anche la stampa giocherà un suo ruolo in quegli anni, prima, “incanzaldo” le inchieste di “Mani Pulite” (contribuendo a spazzare letteralmente via quasi tutti i partiti “tradizionali” protagonisti della storia repubblicana di quegli ultimi cent'anni), e poi, prona alla vulgata comune sul debito pubblico, sostiene e diffonde l‘idea di un imprescindibile cambiamento di rotta sulla via che porterà all'austerità. Ma, il prodotto, a ragion veduta, fu il classico “gettar via il bambino con l'acqua sporca”. E vedremo il perché.

Tanto basta ed è sufficiente al nostro scopo che non andremo oltre la suddetta ricostruzione.

Bettino Craxi, Segretario del Partito Socialista Italiano, in auto esilio ad Hammamet (Tunisia) a seguito delle già citate inchieste giudiziarie che vede lui ed il suo partito tra i principali obiettivi delle procure, al profilarsi all'orizzonte della ratifica del “Trattato europeo di Maastricht” che fissava le regole politiche ed i parametri economici e sociali necessari per l'ingresso dei vari Stati nell'Unione, espone tutto il suo “europessimismo”:

“Si rappresenta l'Europa come una sorta di paradiso terrestre. Arriveremo al paradiso terrestre, ma per noi, nella migliore delle ipotesi sarà un limbo e, nella peggiore delle ipotesi, l'Europa sarà un inferno. E quindi bisogna riflettere su ciò che si sta facendo, perché, la cosa più ragionevole di tutte era quella di richiedere e di pretendere, essendo noi un grande Paese - perché se l'Italia ha bisogno dell'Europa, l'Europa ha bisogno dell'Italia, non dimentichiamolo - la rinegoziazione dei parametri di Maastricht.” (Clicca per vedere il video: Craxi, Hammamet,1992)

Cosa intendeva dire Craxi? I parametri di Maastricht (07/02/1992), ovvero, i criteri di convergenza ai quali gli stati firmatari del trattato dovevano sottostare per potere entrare a fare parte dell'unione politica ed economica europea, avrebbero impedito agli stati di utilizzare la loro sovranità nazionale per gestire i momenti di crisi. Quella monetaria iniziò formalmente nel 1978 con lo SME (Sistema Monetario Europeo) e culminò con la moneta unica formalmente nel 2001, con gli effetti che ben conosciamo nelle tasche degli italiani.

In effetti, la successiva ratifica del trattato di Lisbona (13/12/2007) che doveva dare il via all'Unione Europea, passò per una cessione della sovranità degli stati membri, attuata, in Italia, per mezzo della modifica nel 2006 (guarda caso un anno prima), degli articoli 238 (Attentato contro la costituzione dello Stato) e 241 (Attentati contro la integrità, l'indipendenza e l'unità dello Stato) del codice penale. Nel 2012, con l'ultimo atto, passò al Senato la riforma dell'articolo 81 della Carta Costituzionale, con l'introduzione del principio del “pareggio di bilancio”. Un suicidio politico ed economico per il nostro Paese già alle prese con la crisi economico-finanziaria mondiale del 2008.
L'imposizione del limite fissato al 3% del rapporto Deficit-PIL, ha avuto una serie di gravi e perduranti conseguenze. Tra queste: ha aggravato gli effetti della crisi; ha ritardato la ripresa economica dell'Europa, ma soprattutto dell'Italia, aumentando il tasso di disoccupazione; ha scatenato la crisi del debito sovrano che avrebbe potuto travolgere l'euro e l'intera Unione monetaria se non fosse intervenuto in tempo il presidente della Bce, Mario Draghi con il “bazooka” dell'allentamento monetario (il noto “quantitative easing”). Con ciò si sono acquisite alle aste i titoli del debito sovrano degli Stati membri dell'Uem; si sono abbattuti a zero i tassi di rifinanziamento; si è inondato di liquidità il sistema creditizio, sostenendo la domanda di prestiti delle famiglie e i finanziamenti delle imprese, con parziale ossigeno per la domanda interna.  
Ma, ahinoi, le previsioni catastrofiche di Craxi si erano ormai pienamente realizzate. Egli, infatti, criticò la totale astrattezza  dei trattati europei, intuendo che la nascente Europa sarebbe stata «in preda alla disoccupazione e alla conflittualità sociale». L'Italia avrebbe mostrato tutti i suoi limiti, soprattutto la classe imprenditoriale, mai in grado di affermarsi all'estero e adagiata da sempre sulla casta burocratica e partitocratica del “Bel Paese”. Al contrario, l'intera opinione pubblica, debitamente indottrinata e affabulata (grazie anche ai mass media allineati acriticamente alle politiche del tempo), acclamava l'entrata nell'euro pregustando esclusivamente i vantaggi della moneta unica senza effettuare una vera riflessione critica sui numerosi rischi cui si andava incontro.

Craxi, dunque, da grande statista e conoscitore del sistema politico e di quello “pervasivo” burocratico, oltre che del debole tessuto finanziario, economico e produttivo del Paese nei confronti con l'estero, sapeva benissimo che i vincoli da rispettare, non tenevano conto delle “anomalie italiane” di allora: eccesso d'inflazione, ostacoli alla concorrenza, assenza di una politica dei redditi nel settore pubblico, fabbisogno statale senza controllo, crescita del debito pubblico superiore a quella del PIL e finalizzata per la maggior parte al finanziamento delle spese correnti.
Per avvicinarsi alle condizioni di Maastricht, l'Italia avrebbe dovuto annullare il disavanzo corrente e per fare ciò sarebbero state necessarie più manovre “lacrime e sangue”  (80 mila miliardi in cifre 1993)”. Una correzione di tale dimensione avrebbe comportato un intervento principalmente sul lato della spesa, ma avrebbe riguardato anche le entrate, attraverso la dismissione di un ingente patrimonio pubblico. Iniziò il lungo periodo delle grandi privatizzazioni. Sarebbe stato inoltre compito delle forze politiche correggere le “tendenze insostenibili innescate nel passato” in materia di previdenza e pubblico impiego. L'adozione delle misure idonee all'eliminazione delle anomalie italiane non sarebbe stata un'operazione indolore, ma di ciò nei programmi elettorali dei partiti non si teneva alcun conto, quali ad esempio: le riforme della sanità (1992, 1999 e quelle derivanti dalla riforma del Titolo V con Legge Costituzionale del 2001 e dalla “Spending Review” varata nel 2012) e del sistema pensionistico (riforma Dini, 1995, Maroni 2004 e Fornero 2011).

Lungo tutti questi snodi storico-politici in un arco temporale di trent'anni, tra i più accreditati ad essere il “comune denominatore” vi è la Lega (da Bossi a Salvini). Pur dichiarandosi secessionisti, le “camice verdi” non hanno modificato il codice penale per depenalizzare un eventuale secessione in Italia, ma oggettivamente per concedere un “colpo di stato bianco” favorendo il nostro ingresso nella UE  in cambio della cessione di sovranità all'Europa nascente. Per questo, stando ai fatti, i leghisti hanno agito per la disgregazione dello Stato e l'attuazione delle politiche neoliberiste. La Lega è stata, a tutti gli effetti, complice della più colossale privatizzazione di asset strategici della nazione, perpetrata (ed è fattuale) anche da governi di centro-sinistra. Di tutto ciò ne stiamo pagando ancora oggi il prezzo più alto.
A fasi alterne, la Lega, si sottrae agli impegni di governo (dopo avere fatto i suoi comodi) per meglio praticare la tecnica populista del consenso. Se nel 1989 nasce come movimento che rileva nel sud-Italia i maggiori problemi del Paese, oggi il suo leader promuove sempre più campagne elettorali nel mezzogiorno...alla faccia del “cambiamento”, di “prima il nord”, o, “Roma ladrona”!

Nonostante i tagli al welfare state, le privatizzazioni e le liberalizzazioni, sono passati 28 anni dal Trattato di Maastricht e non si può certo dire che la situazione economica italiana sia migliorata; basti pensare che il debito pubblico nel 1992 ammontava al 105% del Pil mentre a fine 2019 era quasi al 135% (pari a 2.400 miliardi di euro!).
Trattati che avevano lo scopo di unire le economie non hanno fatto altro che aumentare il divario tra loro.


L'Europa dei popoli, quella che i “padri fondatori” auspicavano, in nome della pace fra le nazioni, solidale e politicamente federata, oltre quella economica e monetaria già realizzata, ancora oggi rimane una chimera (vedi su tutte la gestione della crisi economica greca del 2015).
Ma come si fa a stare dentro un'Europa che applica fiscalità diverse da stato a stato, creando, già al suo interno, un dumping ed una concorrenza sleale?
Tutto pare essersi compiuto in coerenza col trionfo del liberismo economico-finanziario globalizzato, mentre alle comunità nazionali (Germania compresa, intesa come cittadini) sono rimaste solo le briciole, soggiogate dalla leva degli interessi sui debiti sovrani. Si, l'unico sprazzo di autentica sovranità è quella sul proprio debito, che rimanda alla responsabilità di pagarne gli interessi!
Le sperequazioni economiche e sociali fra le genti stanno tornando e la forbice fra i pochi ultra-ricchi e i tanti (troppi) al limite dell'indigenza, si fa sempre più ampia. E, in mezzo, una classe media che è più di la che di qua.
Per chi ha, oggi, almeno cinquantacinque/sessant'anni, può tranquillamente affermare che dopo trent'anni di politiche europee la condizione del cittadino medio non è poi migliorata.


Senza fare chissà quali altisonanti discorsi filosofici o di scienze economiche, dovremmo chiederci:
a parte la libera circolazione delle persone, ma soprattutto delle merci, agli italiani e all'Italia come e quanto ha giovato questa Unione Europea? Ha forse ristrutturato il suo debito, appunto? Ha costruito chissà quale opera monumentale, infrastrutturale, di interesse nazionale? Ha migliorato le strutture scolastiche fatiscenti che tutti noi abbiamo sotto gli occhi? Ha stabilizzato ed uniformato i suoi corpi docenti? Ha per caso aumentato le strutture ospedaliere di questo Paese? E dove sono i medici che tanto servirebbero nei presìdi pubblici? Non si sono forse accasati nel privato o addirittura esercitano, finanche come primari, nella sanità estera? Quanti, oggi, possono dirsi più ricchi e in proporzione quanti sono i prossimi alla soglia dell'indigenza?
Dove sono finite parte delle conquiste sociali in questi sei lustri? D'accordo, sulla carta esistono ancora, ma sono realmente esigibili se dipendono (seppure indirettamente) dai mercati, o, dai già citati pareggi di bilancio? Potremmo andare avanti per molto, ma non è nostra intenzione fare la “lista della spesa”.

Per tutto questo riteniamo che la soluzione al male contemporaneo sia il socialismo.
Un socialismo libertario, intriso di umanesimo, che non nega l'iniziativa privata, ma che la sappia mitigare a tutela del bene comune.
Un socialismo ambientalista che sostenga le tecnologie e le prassi del “progresso buono”, quello socialmente utile, così come all'affermazione della giustizia sociale.
Un socialismo che, nella sua compiutezza, affronti con “schiettezza” senza demagogie o coi paraocchi ideologici, ad esempio, la “questione demografica” del sovrappopolamento della terra, dello sfruttamento indiscriminato delle risorse planetarie in nome del consumismo e, con visione lungimirante, quella “migratoria internazionale" dovuta alla fame ed alle guerre.
 
Come il mercato ha le sue regole (o i suoi dogmi), sopra di esse ci devono stare le leggi dello Stato, a tutela degli individui, delle comunità e nel rispetto delle diversità. Altrimenti non esisteranno più governi nazionali (se non di facciata), ma solo élites anarchiche della finanza globalizzata, in grado di calpestare qualsiasi diritto in nome del profitto.

“Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre.”

Credo sia una frase attribuita ad Albert Einstein.
Ecco, la terza guerra mondiale la stiamo già vivendo: è globale perché interessa tutti i popoli, produce gli stessi morti di una guerra classica e sappiamo che è combattuta con le leggi dei mercati.

Dall'archivio L'Eco Politica e Istituzioni

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