L’ECOSTORIA Giuseppe Azzoni ‘scoperchia’ il casellario politico della Questura di Cremona nel ventennio fascista.
Venerdì 12 aprile ore 17 Cremona - Archivio di Stato in via Antica Porta Tintoria,2, Verrà presentata una mostra di materiali tratti dai fascicoli - ivi depositati - del casellario politico della Questura di Cremona nel ventennio fascista.
I titoli delle varie vetrine riguardano qualità e modi degli oppressivi controlli sui molti soggetti ritenuti pericolosi ed ostili dal regime (compresi diversi sacerdoti): lettere aperte all'insaputa degli interessati, delazioni e denunce anonime, rapportini da carabinieri, agenti, milizie varie, informatori retribuiti, consolati per chi era all'estero ecc.
Diversi documenti riguardano il malessere sociale e la repressione dello stesso con diffide, ammonizioni, condanne al confino. Particolarmente interessanti ed anche rari i giornali clandestini sequestrati; le immagini di Matteotti, Boldori o Ghinaglia tenute nascoste pur sapendo del rischio; l'originale del manifesto di esultanza per le dimissioni di Mussolini (scritto in casa Vialli), ordini di cattura del Comando Militare Germanico fatti eseguire dalla RSI. Sono presenti anche documenti su note personalità come Arcangelo Ghisleri, Guido Miglioli, Mario Coppetti, Giuseppe Speranzini, l'ex Sindaco Attilio Botti. La mostra è stata curata da Giuseppe Azzoni in collaborazione con la Direttrice Emanuela Zanesi ed il personale dell'Archivio di Stato di Cremona.
Quanto sopra è la presentazione sia dell’inaugurazione sia della presentazione di un (prezioso) lavoro di ricerca, che, grazie al sempre apprezzabile impegno di Giuseppe Azzoni corroborato dalla Direzione e dal personale dell’Archivio di Stato di Cremona, pone sotto il riflettore un segmento, fin qui se non proprio trascurato, certamente non focalizzato, del 900.
Trattasi della cospicua mole di fonti documentali rappresentate dai fascicoli del Casellario Politico della Questura di Cremona, accuratamente aperti, aggiornati ed impiegati (nella repressione) per tutto il Ventennio.
Abbiamo avuto, assistiti dal curatore ed in compagnia della giornalista Barbara Caffi (autrice del bel paginone pubblicato dal quotidiano La Provincia) il privilegio di consultare anticipatamente il materiale esposto presso il Salone dell’Archivio ed a disposizione dei visitatori fino al 3 maggio. Traendone una valutazione largamente edificante della profondità della ricerca e dell’opportunità della sua più ampia consultazione e divulgazione.
In primis, in ragione del fatto che tutto quanto si sottrae all’oblio fruttifica in termini di memoria storica e, quindi, di consapevolezze civili.
In secundis, perché l’attenta consultazione del ricco deposito documentale aiuterà certamente, anche gli intelletti meno aperti, a trarre conclusioni in netto contrasto con lo sforzo negazionistico e minimizzante nei confronti di un ciclo significativo della storia contemporanea italiana..
Siamo sempre più convinti sostenitori dell’ineludibilità dell’approdo ad un aggregato condiviso degli assi portanti della comunità nazionale ed europea.
Traguardo da cui siamo molto distanti, in una temperie in cui si continua a scrivere la storia ad uso della quotidianità ed in cui non è difficile intravedere qualche sinistra simmetria con contesti in cui maturarono discontinuità destinate a produrre drammatiche conseguenze.
Indubbiamente, l’Italia ed in generale l’Occidente, che per molti decenni sono stati culla e campo di feconda applicazione del sistema liberaldemocratico, sono alle prese con un’evidente regressione di quei valori e di quei principi irrinunciabili.
Non si tratta solo delle manifeste e mai represse pulsioni degli ambienti e dei circoli che per 70 anni non hanno mai fatto mistero di puntare alla restaurazione di modelli autoritari.
Si tratta di una narrazione il cui epicentro è diretto a veicolare, di fronte alle difficoltà indotte dai difficili passaggi dei profondi cambiamenti in corso a livello planetario, una versione se non proprio assolutoria, comunque molto comprensiva del fascismo. A cominciare dalla versione, in parte menzognera ed in parte pressappochista, delle “grandi realizzazioni del Duce”; per approdare al quasi sdoganamento del modello politico, in cui, si tende a sostenere, l’autoritarismo fu, da un lato, necessitato dall’esigenza (come oggi, verrebbe da suggerire) di mettere ordine e, dall’altro, si mostrò benevolo (una sorta di faccia feroce del Duce, ma senza effetti pratici).
Il lavoro di Azzoni, per quanto se ne sapesse anche in passato, è la rappresentazione plastica dell’esatto contrario.
Per vent’anni, dalla Marcia su Roma e dal discorso di inizio 1926 alla Camera in poi, incombette sull’Italia, a sostegno di un processo di eliminazione delle prerogative liberali e democratiche, un impianto repressivo, ossessivo ed illimitato.
Ne fanno fede, appunto, i fascicoli custoditi dall’Archivio di Stato e selezionati dal lavoro di Azzoni.
In cui abbiamo trovato riferimenti che scolpiscono la storia personale e politica di personaggi che abbiamo avuto il privilegio di conoscere grazie all’approfondimento della storia e/o, come nel caso di Mario Coppetti, di frequentare personalmente.
Nei prossimi giorni avremo modo di approfondire questa opportunità di conoscenza particolareggiata di quella vicenda.
Che ci pone di fronte ad un inequivocabile riscontro dei percorsi di valorosi testimoni dell’antifascismo cremonese.
C’era del metodo in quella raccolta di qualsiasi minuziosa notizia nei confronti della testimonianza clandestina e nella vita privata di coloro (non tantissimi a quell’epoca, ma miracolosamente destinati a moltiplicarsi dopo il 25 aprile) che non si piegarono.
La meticolosità dell’attenzionamento, indotta in parte dall’inclinazione conformistica dell’ambiente questurino ed in parte di una perfidia, fornisce squarci di incredulità. Come nel caso della sottrazione, da parte dell’operatore della revisione postale, della fotografia di bimba Janne destinata al padre antifascista Francesco Arienti, ospitato nelle carceri a seguito di sentenza del Tribunale Speciale del duce.