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L'EcoRassegna della stampa correlata - "Un’altra democrazia è possibile" - "I problemi che stanno dinnanzi al centro-sinistra"

Di Claudio Martelli e Mauro Del Bue

  03/11/2021

Di Redazione

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Riprendiamo questa rubrica, molto seguita dai nostri lettori di “simpatie” socialiste, prendendo spunto da due importanti contributi di riflessione ed approfondimento dedotti dalle due testate Avanti. Peraltro, il testo completo dell'articolo di Claudio Martelli è a disposizione degli abbonati, nella forma cartacea e nella forma digitalizzata. 

Diciamo subito che si tratta di due importanti testimonianze che focalizzano la situazione politica e la proiettano in una prospettiva, di cui farebbero bene a beneficiare i players della vita politico-istituzionale nazionale. D'altro lato, scrive nel suo editoriale Mauro Del Bue, “Un piccolo partito deve lanciare grandi idee”. Circostanza questa di cui danno prova i direttori dei due Avanti! Con le loro analisi e, soprattutto, soprattutto con il richiamo a quello che da tempo può a pieno titolo essere percepito come un progetto in grado di sbloccare una situazione destinata ad avvitarsi su se stessa per effetto dell'incapacità dei maggiori partiti di alzare lo sguardo. E di intravvedere nella linea guida di un progetto, svincolato dai piccoli calcoli, che sapesse puntare, prima di tutto, alla grande riforma della politica e delle istituzioni. 

Governo Draghi, ruolo dei partiti, la sconfitta dei 5 Stelle e dei nazionalpopulisti

Un'altra democrazia è possibile

"Il sondaggio che pubblichiamo mostra al di là di ogni ragionevole dubbio che la maggioranza degli italiani – esattamente il 52 per cento - vuole che l'esperienza di Mario Draghi alla guida del governo continui. Ed è plausibile che tra quel 18 per cento che invece lo vorrebbe presidente della Presidente della Repubblica, alcuni immaginino che dal Quirinale Draghi avrebbe più potere e un potere più duraturo (…) 

Sarebbe prova di inutile zelo fingere che non esistano quelli che vorrebbero Draghi al Quirinale pur di porre fine all'unità nazionale e correre a elezioni anticipate. Giorgia Meloni ha proposto a Enrico Letta lo scambio: eleggiamo Draghi presidente della Repubblica e subito dopo votiamo. Brava a esaltarsi in un comizio di neofascisti spagnoli urlando “Io sono donna, sono madre, sono italiana” Meloni dimentica che il Capo dello Stato non può sciogliere il Parlamento contro la volontà della maggioranza. 

Poi ci sono i 5 Stelle e Goffredo Bettini che l'arrivo di Draghi, un tecnico, l'hanno bollato come un vulnus alla democrazia parlamentare, un golpe ordito da poteri forti italiani e stranieri. Eppure sono gli stessi che hanno disprezzato il Parlamento, tagliato, amputato e addirittura vorrebbero privare gli eletti della libertà di voto sopprimendo il principio costituzionale secondo cui essi parlano e votano “senza vincolo di mandato” cioè in nome della nazione e non del loro partito.  

Tra i refrattari a Draghi spiccano i nomadi cantori della Costituzione più bella del mondo. Indifferenti allo scempio fattone dai 5 Stelle sentono il bisogno di inventare regole inesistenti per delegittimare il governo Draghi e restaurare quella partitocrazia che è stata il loro avversario al tempo in cui c'erano partiti veri. 

Secondo costoro l'anomalia del governo Draghi è scritta nella sua genesi e nella sua natura estranee ai circuiti partitici. Secondo la Costituzione i partiti concorrono alla formazione della volontà popolare il che esclude che ne abbiano il monopolio. Per la formazione del governo la Costituzione prevede che sia il Presidente della Repubblica a conferire l'incarico a chi - parlamentare o non – considera il più idoneo. L'incaricato, se ritiene di poter contare su una maggioranza parlamentare, riferisce al Presidente che decide se inviarlo alle Camere per ottenerne la fiducia. I partiti non sono menzionati". 

(…) "Guardiamo adesso quel che è successo appena il centro della scena politica è stato rioccupato dai partiti. Il rumore delle loro polemiche è risultato più fastidioso di sempre perché più stridente con il desiderio di serietà, di concretezza, di spirito collaborativo incarnato dal governo Draghi e dalla maggioranza di unità nazionale che lo sostiene.  

La diserzione – mai così numerosa - ai seggi delle elezioni comunali ha colpito soprattutto i 5 Stelle e la Lega. Molti commentatori ne ha visto la causa nella pochezza dei candidati della destra, nelle mosse ballerine di Salvini, nelle divisioni interne al centro destra rese ancor più esplicite da Giorgia Meloni che all'indomani del voto anziché riflettere sulla comune sconfitta ha rivendicato il sorpasso sulla Lega. Le cause di cui si parla non sono fantasie, ma una sconfitta di tali proporzioni non si spiega senza un sommovimento dell'opinione pubblica. Non è difficile capire: all' appuntamento col voto comunale hanno prevalso quanti hanno condiviso l'impegno a proseguire la strada intrapresa per chiudere l'emergenza sanitaria e accelerare la ricostruzione economica. Hanno vinto i candidati più preparati e perciò più in sintonia col nuovo clima politico. L'uniformità dei risultati – la vittoria di un centro sinistra allargato - suggerisce che a orientare il voto è stato innanzitutto il fattore nazionale e non quello locale. 

(…) "Una nota a parte merita la circostanza che nessuno dei candidati sindaci abbia fatto dell'ambiente, dell'ecologia, della grande conversione o transizione verso città sostenibili la sua battaglia, il suo emblema, il suo programma. Eppure, in tutto il mondo, la priorità è questa; eppure si votava nelle maggiori città dunque nelle aree più minacciate dal surriscaldamento. Eppure gli investimenti in ecologia sono la quota maggiore dei finanziamenti europei destinati all'Italia. Invece, alla prima prova del dopo pandemia lo spazio pubblico è stato sequestrato dall'eterna messinscena. Scadute ideologie come un tempo si faceva con i vecchi cappotti sono state rivoltate per scaldare elettori distratti, scontenti, indifferenti a un copione stanco, stremati da troppe repliche sempre eguali, sempre più posticce e più inutili. A intorbidare le acque non sono mancate inchieste giudiziarie e scandali giornalistici. Destra e sinistra, fascismo e antifascismo, manipoli squadristi, strumentalizzazioni, rigurgiti e tic. Anche questo ha concorso all'astensione di più di metà degli aventi diritto al voto. Il record dice una verità chiarissima: a mancare non è la domanda e l'offerta politica. 

Alludo alle conseguenze del taglio dei parlamentari. Se non si fa nulla alle prossime elezioni eleggeremo una Camera e un Senato assolutamente identici nella base elettorale e nelle funzioni e già questa è un'assurdità, ma all'assurdità si aggiungerebbe l'aberrazione di un Senato di soli 200 membri non in grado di garantire la rappresentanza delle regioni più piccole (il che è manifestamente anti costituzionale) e tale da cancellare i partiti minori e spesso anche quelli medi. Ebbene, ventisei senatori e deputati di molti gruppi diversi, l'Avanti! e costituzionalisti come Enzo Cheli, Sabino Cassese, Beniamino Caravita, Andrea Manzella, Francesco Clementi hanno lanciato una proposta chiara e semplice, per tutti benefica e a nessuno nociva. Una proposta che unisce anziché dividere, avanzata nell'esclusivo interesse della nazione potrebbe tale da meritare l'unanimità dei voti necessari a una revisione costituzionale tante volte e vanamente evocata. Anziché due Camere l'una di 400 l'altra di 200 membri, due Camere separate ma identiche che ripetono lo stesso lavoro, costruiamo un Parlamento unito, unifichiamo le due camere in unica assemblea di 600 membri. Una riforma simile rafforzerebbe la democrazia rappresentativa, renderebbe più rapido il lavoro legislativo e consentirebbe al Parlamento di assolvere ai suoi doveri legislativi e di controllo del Governo e delle pubbliche amministrazioni. Una decisione come questa segnerebbe il riscatto della politica.  

Accompagnata dall' istituzionalizzazione della Conferenza paritaria tra Stato, Regioni, Autonomie locali dove risolvere gli endemici conflitti tra organi dello Stato la riforma garantirebbe un riequilibrio dell'intero sistema politico. 

Se lo spirito repubblicano e l'unità nazionale che pur tra tante frizioni distinguono questa fase politica prevalesse si potrebbe por mano per tempo anche a una legge elettorale degna di un paese civile, una legge a doppio turno: il primo turno proporzionale a garanzia della rappresentanza, il secondo in forma di ballottaggio per assicurare governabilità e stabilità".

Claudio Martelli 

I problemi che stanno dinnanzi al centro-sinistra

Mauro Del Bue 31 ottobre 2021 L'editoriale 

Ne vedo quattro e anche la nostra piccola comunità socialista è chiamata a dire la sua. Primo: è evidente che ogni ragionamento non possa esimersi da una valutazione sulla legge elettorale. L'attuale, il Rosatellum, si compone di due terzi di seggi, messi in palio con sistema proporzionale e con sbarramento al 3%, più un terzo di maggioritario uninominale. Sul proporzionale si presentano le liste, sul maggioritario le coalizioni. Evidentemente le proposte di accrescere il maggioritario incontrano i favori di chi vuol presentare coalizioni, prima di tutto il centro-destra che con l'attuale legge potrebbe raggiungere la maggioranza assoluta anche superando di poco il 40%, mentre le proposte di accrescere il proporzionale incontrano i favori di chi vuol presentare solo liste e questo dovrebbe essere l'interesse del centro-sinistra che potrebbe accontentarsi se non di vincere almeno di non far vincere. Temo che l'esaltazione amministrativa porti Letta decisamente fuori strada. Evidentemente un'ipotesi proporzionale o anche, in misura minore, la permanenza dell'attuale legge, significa necessariamente che nell'area cosiddetta del centro-sinistra si organizzino più liste che possano superare il 3%, visto che attualmente, sondaggi alla mano, il solo Pd non ha questo problema, al pari, però, di tutte e tre le forze del centro-destra. Non intravvedo da nessuno questa urgente consapevolezza. Secondo problema. Il campo largo di Letta è contestato da Calenda, Renzi e Bonino che non intendono allearsi coi Cinque stelle neppure nella persistente quota maggioritaria. Contrarietà che è oggi condivisa dagli stessi Cinque stelle. Messo alle strette quale sarà la scelta del Pd? Quella di una riedizione del cosiddetto Ulivo due, oppure quella di praticare l'asse coi Cinque stelle escludendo le forze cosiddette riformiste o liberaldemocratiche? Terzo problema. Nel caso il Pd insistesse con l'asse coi Cinque stelle e si creasse un polo autonomo costituito da Calenda, Renzi e Bonino, i socialisti dovrebbero allearsi con l'asse o col polo? Non chiedetelo a me perché su questo mi sono speso assai. Quarto problema. I nostri due parlamentari non saranno determinanti nell'elezione del presidente della Repubblica, ma quale linea darà loro il partito, come si diceva una volta? Quale che sia bisogna farsi una domanda. Si preferisce inviare Draghi al Quirinale lasciando spazio a una secca contrapposizione tra sinistra e destra, anticipata forse alla primavera, con successo probabile della destra, o si preferisce preservare Draghi anche per un dopo elezioni che si annuncia alquanto incerto e difficile, magari scomponendo di conseguenza le attuali coalizioni e offrendo al paese un'assicurazione sul pericolo Meloni, con la migliore e più autorevole soluzione che offre il blocco della politica italiana, la più apprezzata in Italia e nel mondo. E oltretutto la più adeguata a gestire i fondi comunitari. Sono quattro temi che occorre affrontare, perché la politica lo impone. Questi quattro problemi sono stati discussi nel corso della riunione del Forum dei riformisti, sono al centro di molteplici iniziative su tutto il territorio nazionale. Ovvio che la Direzione del Psi dell'11 novembre saprà affrontarli come si deve. Un piccolo partito deve lanciare grandi idee, ben sapendo che non tutte le ambizioni possono riscontrare successo, ma che senza ambizioni e anche senza correre rischi, davvero molto relativi per noi, non si può costruire consenso.

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