Lavagna speciale, questa dell'Eco di ferragosto. Una festività entrata nelle consuetudini dei picchi annuali e nei relativi stereotipi narrativi. Ma c'è un altro 15 agosto, di centralità fondativa e di valore storico-militante. È quello che richiama alle coscienze ed agli idealismi militanti, l'anniversario della fondazione del Partito Socialista italiano (inizialmente Partito dei lavoratori italiani). Ricorderemo, in questa 129ma ricorrenza che Il 14 si tenne il congresso con 400 delegati del Partito Operaio Italiano, della Lega Socialista Milanese e altre leghe operaie minori, nel palco ci furono le arringhe di Filippo Turati, Angiolo Cabrini, Andrea Costa, Antonio Maffi, Camillo Prampolini, Gregorio Agnini, Giovanni Lerda, Anna Kuliscioff e venne letto un messaggio proveniente da Oneglia di Edmondo De Amicis[4]. In seguito però 150 delegati lasciarono nella sala solo l'ala anarchica che voleva sospendere i lavori del congresso e si riunirono del Ristorante Schooner in salita Pollaioli e decisero di indire per il giorno dopo la fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani nella Sala dei Carabinieri Genovesi in via della Pace, il partito ebbe come fondatori Filippo Turati e Guido Albertelli con Claudio Treves, Leonida Bissolati, Arcangelo Ghisleri e Enrico Ferri. Ne sarebbe passata (e, siatene sicuri, altra ancora ne passerà) di acqua sotto i ponti. Quell'aggregato di idealismo, di dottrina politica, di organizzazione militante, di testimonianza nelle istituzioni, se, con il suo genio e le sue sregolatezze, non ci fosse stato, si sarebbe dovuto inventare. Più che di celebrazione dell'anniversario dovremmo parlare di rievocazione del significato di quell'evento fondativo, iniziatore di una lunga storia destinata a permeare largamente le vicende nazionali.
Soprattutto, sarebbe necessario riattualizzarlo in un contesto in cui a carico di quel movimento resta operante l'ostracismo di trent'anni fa. Che ha praticamente espunto, di fatto, i socialisti italiani dal contesto delle prerogative politico-istituzionali e dall'esercizio del diritto di tribuna.
Han fatto molto bene le due testate socialiste, che riprendiamo frequentemente in questa rubrica, a modulare la ricorrenza all'insegna dell'attualizzazione della mission socialista.
Per disinnescare questo “fine pena mai” appare, come indicano l'intervista di Formica e l'editoriale di Del Bue, occorre condurre con determinazione il progetto di armonizzazione e di convergenza verso il rilancio del progetto riformista e socialista. Il collasso del sistema liberaldemocratico e della sinistra lo esigerebbe. Lo spazio, nonostante la ghettizzazione, ci sarebbe molto più che in passato.
PSI, UNA STORIA E UN FUTURO
Mauro Del Bue 15 agosto 2021 L'editoriale
Centoventinove anni fa nasceva il Partito dei lavoratori a Genova. Era il ferragosto del 1892. Venne fondato il Partito dei lavoratori, e non il Psli come erroneamente titola il mensile che porta il nome del giornale che dirigo, perché il termine “socialista” si aggiunse l'anno dopo, col congresso di Reggio Emilia, e il nome Psi fu scelto col congresso di Parma del 1895, svolto semi clandestinamente durante la fase della repressione crispina. Il nome fu mantenuto anche nei decenni successivi, ma quando i riformisti (Turati, Treves, Matteotti, Prampolini) furono espulsi dai massimalisti, nell'ottobre del 1922, a pochi giorni dalla marcia su Roma, questi ultimi fondarono il Psu. I due tronconi socialisti (Nenni aveva preso il sopravvento nel Psi mettendo in minoranza il fusionista Serrati che assieme ai suoi internazionalisti aderirà nel 1924 al Partito comunista) si riunificarono a Parigi nel 1930. Il nuovo partito unificato si chiamerà Psi, ma dopo l'unificazione col Mup, nell'immediato dopoguerra, prese il nome di Psiup. Dopo la scissione di Palazzo Barberini del gennaio del 1947, messa in moto su impulso di Giuseppe Saragat, che negava all'Urss il carattere di socialista, nacque il Psli e il Psiup divenne ancora Psi. I due partiti si riunificarono nel 1966 (nel gennaio del 1964 la sinistra filocomunista del Psi fondò il Psiup) per poi dividersi di nuovo nel 1969. Da allora Psi e Psdi (il Psli assunse questo nome nel 1951 in seguito all'unificazione col partito di Romita) hanno interpetato in Italia la storia del socialismo, divenuto a partire dai primi anni ottanta, per entrambi, “democratico” e alla fine degli anni ottanta anche “liberale”. Colpevoli negligenze politiche e l'urto della falsa rivoluzione giudiziaria hanno spazzato via i partiti identitari e sono sorti come funghi soggetti senza storia e senza anima. La politica si è ripiegata su sé stessa ed è entrata in un vortice di delegittimazione senza fine. Questo in Italia mentre nelle altre nazioni europee il sistema precedente la fine del comunismo ha retto sia pure denunciando più d'una crepa. Il sistema politico italiano, anomalo, perché caratterizzato dalla presenza del più forte partito comunista d'Occidente, è crollato con una velocità simile all'eclissi, con effetto domino, dei regimi comunisti. Non ci sono non solo partiti comunisti, ma partiti socialisti, popolari, liberali, e anche verdi, come più meno negli altri paesi europei. Rino Formica è convinto della rinascita della sola forma di socialismo oggi necessario. Lo ha scritto recentemente. E cioè di un socialismo internazionale a fronte di una globalizzazione solo economico-finanziara. Più o meno lo stesso concetto avevo tentato di lanciare alla Conferenza programmatica. La globalizzazione, oltre tutto, si estende a molteplici fenomeni, l'ultimo dei quali la pandemia, che richiama la solidarietà coi paesi del terzo mondo come necessaria ai paesi ricchi per la loro stessa sopravvivenza. Si è parlato non a caso di altruismo necessario. A fronte di questi fenomeni globali nascono e si potenziano, soprattutto in Italia, partiti nazionalisti che pensano di risolvere i problemi alzando muri deboli e destinati a crollare. Il mondo é oggi unico e la vergognosa resa della coalizione ai talebani porterà problemi migratori all'Europa tutta e, come paventa Margelletti, potrà anche rafforzare il terrorismo. Non c'è evento che sorga in un paese che non sia destinato ad avere conseguenze negli altri. In questo contesto l'unica dimensione che non è globalizzata é la politica. Il mondo, in buone parole, è globale ma non ha un governo. L'Europa stenta addirittura a unirsi, a fronte di un calo percentuale demografico spaventoso rispetto agli altri continenti, che rischia nei prossimi decenni di renderla ancora più marginale. Sono convinto che un partito piccolo debba volare alto. Ma noi abbiamo le ali? Non basta chiamarsi socialisti anche se per noi il nome è importante, per questo l'ho lungamente richiamato in premessa. D'Alema ha voluto precisare che il nome del partito che proveniva dal Pci non poteva fregiarsi dell'aggettivo “socialista” perché quel nome in Italia era divenuto “impronunciabile”. Lo stesso rifiuto hanno mantenuto i suoi successori. Per questo il Pds, i Diesse, e oggi anche il Pd sono “democratici” in Italia e “socialisti” in Europa. La cancellazione del Psi nel 1993-94 ha portato alla cancellazione di una storia e di una identità. Per questo per noi risulta ribaltata la frase latina citata da Ingrao nell'89 e rivolta alla svolta di Occhetto. E cioè “res sono consequentia nominum”. Perché una parola di centoventinove anni di età vale molto più di un partito che è merce americana. E noi siamo orgogliosi di continuare a pronunciarla.
L'AVANTI, IL SOCIALISMO POSSIBILE (E L'AUTOCRITICA NECESSARIA)
Intervista dell'Avanti! a Rino Formica
Nel 15 agosto del 125 anniversario della fondazione dell'Avanti! Diamo di seguito alcuni paragrafi in anticipo sull'intervista integrale di Rino Formica che sarà nel numero di settembre del giornale. Si parla dell'Avanti per iniziare una analisi panoramica del socialismo e del suo profilo possibile nel futuro. Ma Formica torna a porre ancora con forza il tema di una autocritica (“Nel 93-94 c'è stata una dissociazione di gruppi dirigenti dal socialismo, c'è stato l'antisocialismo tra i socialisti) per elaborare quell'errore che, peraltro non è stato il primo caso di “antisocialismo tra socialisti”. Un precedente storico fu quello dello scontro tra Serrati e Nenni, tra fusionisti e “lealisti” una battaglia in cui l'Avanti! ebbe un ruolo decisivo per non liquefare il Psi nel bolscevismo nascente. Stavolta è andata peggio.
1 - Rino Formica: “Per questo intervento che mi proponete di fare, pensavo che anziché una riflessione di ordine molto generale anche sulla crisi di sistema nazionale nell'interno di un disordine di carattere internazionale, sarebbe utile partire proprio dal fatto che parliamo sul giornale Avanti!. Perché riprendiamo il filo di una Testata della tradizione per esporre le nostre idee? Perché la testata si identifica con una storia, una memoria. E qui il punto provoca una domanda profonda e anche inquietante: “Le ragioni fondative di questa testata, le ragioni della costruzione del socialismo così come lo si conosce sin dall'inizio dell'800 è una condizione ancora attuale o no?” Altrimenti non ci sarebbe ragione di riprendere non solo il nome della testata, ma anche la grafica del suo nome. L'Avanti! così come torna è il ricordo di una bandiera e di una lotta politica che iniziò nell'800 e che andò assumendo il carattere non solo di indicazione di una prospettiva storica, ma anche di attuazione della lotta necessaria per la modifica degli equilibri politici, economici e sociali per riuscire a realizzazione quella prospettiva storica. Allora, prima domanda: “C'è una prospettiva storica e politica del socialismo?”. Mi pare che questo punto sia fondamentale, anche perché nella esperienza delle riedizioni dell'Avanti! negli anni passati e sotto vari impulsi dal 1993 - quando cessò le pubblicazioni - in poi, l'Avanti non è più stato strumento di un partito organizzato, ma ha cercato di assumerne - “nella crisi del socialismo organizzato” - delle ragioni di qualificazione. Ricordo il tema del Socialismo largo che fu promosso sull'Avanti! nel 2012 con le prime uscite in edicola dopo la chiusura del giornale. Quello fu un tentativo per riaprire il discorso della funzione ampia che andava al di là della frantumazione, della granulazione post-crisi del Partito Socialista storico fino al suo autoscioglimento. Aprire ad un socialismo chiamato “largo” per evitare di dare alle varie ispirazioni di ricomposizione socialista, delle aggettivazioni a fini strumentali, quasi che ne giustificassero la sopravvivenza settaria separata della tradizione dentro ad altri corpi, altre entità, altri contenitori. Aggettivazioni che erano inconsciamente un'accettazione del principio che la disfatta del socialismo organizzato come storicamente è stato nella società italiana nel ‘900, fosse oramai da considerare superato. Questo elemento ci fa riflettere. Perché? Perché ci porta più indietro nella riflessione. Perché i socialisti sopravvissuti dopo la crisi del '93-94 nella dispersione e anche nella sopravvivenza in varie formazioni o isolatamente, cercarono di affrontare il momento della ri-composizione dopo la de-composizione? Cercarono la ricomposizione attraverso le proprie strumentali aggettivazioni per non fare i conti con un elemento fondamentale: Nel '92-94 non ci fu Resistenza socialista, questo è il vero punto drammatico della storia finale della formazione organizzata del socialismo italiano del ‘900, e pesa ancora oggi!
2 - Perché non ci fu resistenza socialista?
Anzi, non solo non ci fu resistenza, ma nella residuale formazione sopravvissuta nel '94, ci fu una CORSA ALLA DISSOCIAZIONE con la tradizione socialista e alla ricollocazione altrove. E questo è un punto centrale che pesa sulla difficoltà della ricerca di una linea attuale della prospettiva socialista. Pesa sulle fondamenta su cui rifondare organizzativamente il socialismo, sia pure nell'interno di un socialismo largo, di una formazione che pur si “avvantaggi” della crisi generale della sinistra per riportare legittimamente e autorevolmente le ragioni vitali di una lunga e grande storia.
Nel 93-94 viene sciupato il patrimonio autonomo di costruzione del socialismo italiano, ma anche della sua capacità di entrare nella storia degli altri partiti, e la crisi di produzione politica del Psi diventò un elemento di debolezza anche per gli altri partiti.
E questo ci porta ad una terza riflessione: il socialismo fu contemporaneamente azione civile, azione politica, trasformazione di civiltà. Fu civiltà.
3 - Civiltà non significa solo partito, è un concetto assai più ampio. Che significa socialismo come civiltà senza essere nuovamente (od eventualmente) forma-partito?
Ecco perché vedo che il socialismo non può morire: perché ha questa essenza di civiltà che non è una forza legata al contingente della lotta politica. La prospettiva futura nella globalizzazione è il socialismo universale. L'Era della civiltà del socialismo universale. Che non può non essere che fondato su alcuni principi fondamentali: l'uguaglianza. La società per cui lottò il Partito socialista era quella in cui si sarebbero ridotte le ineguaglianze. Secondo elemento: la giustizia. Uomini giusti che con saggezza devono poter dire come sia separabile il bene dal male senza strumentalizzare il male o il bene per ottenere consenso o punizione dell'avversario. La libertà. Che cos'è la libertà? Non è l'isolamento individuale che concede ad ognuno di poter fare ciò che vuole. La libertà è prima di tutto la libertà degli altri, la collocazione della mia libertà all'interno della libertà degli altri. Fondamentale. Un altro elemento che nasce col movimento socialista è l'aspirazione alla diffusione del sapere, il sapere per tutti. È una delle ragioni fondamentali che strappa uno degli elementi più odiosi che esistono all'interno della società: l'umiliazione della diseguaglianza culturale, l'“Ignorante di massa” di fronte alla “elite gerarchicamente colta”.
4 - Oggi il problema di prospettiva è il superamento dello “Stato in ultima istanza”: nasce una grande questione: come incide il superamento delle barriere statuali nella capacità di presa globale nel “superamento degli ostacoli” su scala globale. Questa è un'intuizione del socialismo dell'Ottocento. L'intuizione socialista dell'Ottocento fu che non era possibile creare le condizioni di un mutamento di Civiltà, e non solo di equilibri economici, sociali, civili ed istituzionali, senza l'INTERNAZIONALISMO.
L'Internazionalismo diventò una ispirazione non di trasmissione di ragioni quotidiane tra le forze del cambiamento, ma come “desiderio di unificazione sentimentale”.
Fu un sentimento, l'Internazionalismo.
Il problema nuovo di oggi diventa: come si costruisce un internazionalismo globale?
Il ritorno all'interno dei tradizionali confini statuali dell'azione socialista è assolutamente insufficiente. Come si fa a dire che la Repubblica è fondata sul lavoro, quando le decisioni sul lavoro e per la “rimozione degli ostacoli” alla società democratica e giusta, non possono essere assunte solo nel proprio paese? Una delocalizzazione di produzione non può essere risolvibile con una soluzione di tassazione. La localizzazione deve essere organicamente ordinata a fini della soluzione del problema originario.
In sostanza il passaggio che è di fronte ad una prospettiva socialista è come si entra in una società internazionale di eguali, giusti, con la diffusione del sapere. Appunto, come si entra?
Qui la battaglia è nei territori, si ritorna ai territori. Deve essere combattuta per stabilire come in ogni singolo territorio, sia nell'ambito delle comunità ridotte come i municipi, sia nell'ambito intermedio delle aggregazioni provinciali e regionali, sia nell'area degli Stati. Si chiama convergenza programmatica. Anche con frontiere mobili. Perché tra Stati e Stati (tra italiani e francesi, tra italiani e tedeschi, tra francesi e tedeschi, ecc.) che sono in condizione di poter avere una integrazione su singoli temi ne avvicinino il momento della prospettiva internazionale unitaria.
Le forze di resistenza alla prospettiva del socialismo universale sono infinite. Ma la più pericolosa è il Sovranismo ridotto: facciamo da soli, stringiamoci nella nostra realtà ed in essa cerchiamo di risolvere i problemi. È una tendenza che negli ultimi 10 anni stava prendendo corpo, ma l'ha interrotta la Pandemia. Perché la pandemia ha posto un problema di universalità ineludibile della soluzione sanitaria in ogni singolo Paese attraverso un concerto globale.
5 - Sarà una lotta difficile, perché anche nelle forze organizzate in chiave progressista si vede la necessità di una gerarchia nel mondo. Gerarchie di cui anche le sinistre beneficiarie localmente di questi vantaggi, restano gelose. Perché ogni allineamento porta con sè una riduzione consensuale del proprio vantaggio raggiunto. Dunque occorre una adeguata forza culturale e politica.
Ci sarà una riduzione dei picchi di benessere raggiunto. Non è una regressione, ma un fermo biologico. Insomma, si muove un convoglio globale. E nei convogli la regola è che la nave più veloce non lascia indietro la nave più lenta, la aiuta ad accelerare. Ma al contempo deve rallentare per non distanziarla e perderla dal convoglio. E questo non significa che nella nave più veloce bisogna ridurre le condizioni di vita, ma solo è necessario che essa non corra autonomamente. Ecco serve una forza promotrice ed inserita in questo equilibrio nel convoglio globale.
6 - Perché, domando ancora, non ci fu resistenza socialista all'aggressione politico-giudiziaria di quegli anni?
Si è scritto molto sull'antifascismo, si è scritto molto sull'anticomunismo, ma non si è scritto nulla sull'antisocialismo: non solo da chi non è stato socialista (il che è comprensibile anche se non giustificabile). Tantomeno si è scritto sull'”antisocialismo tra le fila dei socialisti”. Qui Formica ricorda i fatti del Congresso di Scioglimento nel '94 alla Fiera di Roma di cui fornisce all'Avanti! il verbale e le firme dei liquidatori. “A quel punto il partito socialista diventa inutile e sia l'ex PCI che la DC poterono dialogare direttamente. Nell'ex PCI nacque una classe dirigente disinvolta che aveva come compito quello di punire la iniziativa guerrigliera del PSI della seconda metà degli anni '70 e degli anni '80 e, contemporaneamente di offrire alla DC una funzione di ombrello protettivo, illudendosi che la loro forza li avrebbe digeriti. E arriviamo alla nascita del PD. Ma la storia millenaria della abilità dei cattolici che fanno politica, ha divorato il residuo delle illusioni del Partito comunista ed oggi c'è un PD a direzione post-democristiana. Per questo serve chiarire quell'errore di dissociazione, per non ripeterlo se si vuole riprendere “la via maestra del socialismo”. Quell'errore fu sminuire la portata universale dell'identità specifica del socialismo, la sua missione storica per l'umanità. È un virus che circola ancora e che vuole portare il socialismo dentro altri corpi, formazioni, contenitori, o addirittura svenderlo per i propri interessi. Esso va riconosciuto e reso impotente. L'espiazione è stata già compiuta. Siamo vaccinati. Ma la eventuale ripartenza deve avere solide basi di conferma storica e morale di sé stessi.