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L'EcoRassegna della stampa correlata - "Oltre i limiti del tafazzismo"

Sulle lettere di Enzo Maraio e Stefano Carluccio

  08/11/2021

Di Redazione

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Mai avremmo voluto vergare la chiosa delle performances dei due Avanti, l'uno contro l'atro armato. Soprattutto, mai avremmo voluto leggerle. Cionondimeno, vincendo una riluttanza, giustificata dal timore di gettare benzina sui latenti impulsi a buttare alle ortiche la tonaca della militanza, ci apprestiamo a pubblicare integralmente le testimonianze di Enzo Maraio (su Avantionline) e di Stefano Carluccio, direttore editoriale (sull'Avanti di Milano). 

Avevamo, un anno fa, punzonato questa rubrica, molto apprezzata dai nostri lettori (specie di orientamento socialista) che per anni sono rimasti privi di un riferimento essenziale (per l'impegno militante) rappresentato dalla “stampa socialista”, nello spirito fecondo di favorire, con la diffusione delle idee e del confronto, un progetto che avesse come sbocco, da un lato, la messa a punto di un riattualizzato Progetto di impronta liberalsocialista e, dall'altro, la convergenza operativa su un unico movimento in grado di testimoniarlo. 

In tale spirito, abbiamo, grazie all'impronta collaborativa del Direttore di Avantionline, Mauro Del Bue e del Direttore Editoriale dell'Avanti di Milano Stefano Carluccio, abbiamo operato per un significativo rimbalzo nella giurisdizione della nostra testata dei due periodici di impronta socialista. 

In provincia di Cremona sono partiti circoli a Crema, Soncino, Pizzighettone, Cremona e nel casalasco. La notizia ha inondato il quotidiano locale e le testate telematiche. In qualche modo venendo recepita, anche dalla stampa indipendente, come segnale di arricchimento del panorama editoriale politico e di un potenziale nuovo soggetto di testimonianza socialista. 

Volendo essere franchi, questa cosa della potenziale convergenza di testate e testimonianze organizzate del campo socialista sembra a questo punto, aver scaldato solo i nostri cuori. 

Infatti, pur restando essa in astratto compatibile col buon senso e con l'ordine naturale delle cose, appare protestata dagli sviluppi. Dagli sviluppi che sembrano aver abbandonato il fair play di un confronto civile e dissotterrato l'ascia. Presumibilmente, data la vastità anche del background di incompatibilità politica, mai definitivamente abrogata come strumento “dialettico” dal profilo fratricida e dagli esiti potenzialmente devastanti. 

In tutta la sua deprecabile evidenza si sta infiammando una guerra intestina fra i due Avanti, sviluppata da un casus belli apparentemente incardinato nella rivendicazione della titolarità formale, ma, evidentemente, destinato a scandire un'irricomponibilità politica. 

Per ragioni di età, che ci consegna alla categoria dei vecchi e che ci impone doveri di chiara testimonianza, non possiamo derogare dall'auspicio e dalla volontà di convergere e di unire. Non di dividere e di praticare il contenzioso legale.  

L'Avanti (anzi "gli" Avanti), a prescindere dai titoli formali, sono, sul piano ideale e morale, di tutti i socialisti. L'unico modo di risolvere le diatribe è far convergere il progetto socialista. 

Adesso resta "solo" da rimettere insieme i "cocci". La linea-guida dottrinale e il progetto ci sono. Il gruppo dirigente, per quanto assottigliato dalla "livella", ce n'è in abbondanza e di altissima, inarrivabile qualità, rispetto ai nostri i competitors. Occorre convergere in un unico movimento capace di polarizzare le contiguità riformiste e liberalsocialiste.  

Il Socialismo italiano può ripartire, come sta avvenendo in tutto l'occidente, solo se si converge, se si ritrovano le comuni radici riformiste dell'ultimo ciclo della vicenda del PSI, se si pratica in questo percorso, dalle basi banalmente scontate ma dalle intuibili difficoltà di armonizzazione, un'etica rigorosa. 

Siamo tra coloro che hanno vissuto (oltre che idealmente anche “fisicamente”) il lungo ciclo del tentativo di archiviare la pregressa sovranità limitata del PSI e di dispiegare appieno il vero brand del socialismo riformista e liberale. 

Ne abbiamo esaltato il valore e le potenzialità, soprattutto a vantaggio della modernizzazione del nostro Paese. 

Abbiamo fatto parte del “fine corsa” di questo tentativo e non abbiamo abbandonato la nave. 

Conosciamo perfettamente le dinamiche che operano nei contesti del “tutti a casa”. 

Senza restare a fare la guardia al bidone della benzina, non ci siamo ritrovati in nessuno dei tentativi di resilienza e neppure nelle prove di salvare il salvabile (della possibilità di continuare la testimonianza politica e le carriere). 

Dice bene Carluccio, quando stigmatizza implicitamente il testa-coda del progetto di una parte della “diaspora” di offrire i servigi socialisti ad una ricomposizione della sinistra formattata dalla nomenklatura dell'ex “ditta” delle Botteghe Oscure e snodata lungo la filiera PDS, DS, PD. Appare, invece, controfattualmente ed inutilmente provocatore, quando lumeggia una connivenza tra il motore giudiziario di Mani Pulite e agenti provocatori interni all'establishment di Via del Corso. 

Non ne siamo al corrente; non ne abbiamo avuto percezione né in corso d'opera né a posteriori. Non escludiamo nulla, a distanza di quarant'anni. Ma Carluccio sa cosa ha scritto e, come bravo giornalista e come rispettato esponente socialista, ha l'obbligo di spiegare. 

Di spiegare una circostanza, che, se verificata, avrebbe un valore sia di arricchimento delle consapevolezze attorno alla fine del ciclo socialista e del PSI sia (nel caso il factchecking coinvolgesse dinamiche ed individui presenti negli attuali contesti) di collocazione in ben diversa prospettiva del tentativo in corso di reductio ad unum della testimonianza socialista in Italia. 

Se è consentito “splafonare” dal perimetro occasionale della diatriba innescata dalla rivendicazione del titolo di proprietà della testata socialista (paradossalmente alla vigilia del 125° anniversario della fondazione, ad opera del nostro fondatore Leonida Bissolati), ci appelleremmo all'emendamento andreottiano, secondo cui “a sospettare si fa peccato, ma spesso…”. 

Continuiamo ad appartenere alla scuola di pensiero secondo cui l'operazione di disassamento di un sistema politico durato mezzo secolo e imperniato (principalmente) sul delisting del ciclo craxiano abbia segnato sul piano della civiltà giurisdizionale, istituzionale e del rispetto umano l'azimut della barbarie. 

Ma, dato che ci siamo, azzarderemmo anche che, a partire dalla seduta della Camera del luglio 1992, i piani alti dell'establishment socialista non le abbiano indovinate tutte. Almeno sul terreno di un rapporto meno opaco con la militanza e l'opinione pubblica. 

Sarebbe bastata una postilla a quel “non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico…”; una postilla che ammettesse la partecipazione anche dei socialisti a questa costumanza, motivata dalle esigenze della politica ma non di meno illegale, e che chiedesse scusa agli italiani. 

Pur sapendo cosa ci tireremo in testa, azzardiamo che la salvezza del PSI nel ruolo di libero player della vita politico-istituzionale (di per sé impresa disperata, data l'intensità delle batterie in senso contrario schierata ad alzo zero) si sarebbe potuta, in teoria, avvalere della replica del comportamento di quei capitani, che lasciano per ultimi o non lasciano punto la nave. 

Saremmo reticenti, se non rivelassimo fino in fondo il sospetto che la piega della “bagatelle” giudiziaria sulla titolarità della testata Avanti non sottintendesse la dinamica carsica della riemersione di cattivi propositi.  

È andata così, al di là dei reali proponimenti, alcuni nobili, alcuni inficiati dalle contaminazioni di certi dna italici. 

Prendersela ingenerosamente con Bobo Craxi per i 300 voti conseguiti a Roma dalla lista socialista, può voler sottendere una volontà di protrarre vecchie malmostosità di clan o di dinastia oppure una direzione politica di marcia per il futuro della testimonianza socialista. 

Che, look our lips, non può in alcun modo prevedere ripiegamenti verso quel che resta di Forza Italia e/o verso il più trainante centro-destra. 

Tanto per essere chiari. Tra qualche mese, dicevamo, sarà il 125° della fondazione dell'Avanti, che giustamente sostiene Carluccio “non è un giornaletto, ma rappresenta la storia italiana”. Lo sappiamo bene noi che da un decennio continuiamo, a pieno titolo legale, ad editare la testata fondata da Bissolati, suo primo direttore. 

Siamo i primi, di fronte a tentativi proditori, a scandire “giù le mani dall'Avanti!” (e.v.)

La verità sull'Avanti! 

Enzo Maraio 4 Novembre 2021 In primo pianoPrima Pagina 

La politica non si fa nelle aule dei tribunali e Stefano Carluccio dovrebbe saperlo bene. Ha scelto le vie giudiziarie portando il Psi innanzi al Tribunale di Roma e ha perso. Piaccia o meno l'Avanti è parte della storia del Psi e, ancora una volta, la furbizia di qualcuno non ha pagato. Eppure molti di noi, il sottoscritto per primo, avevano addirittura fatto un'apertura di credito nella speranza che le continue diaspore, che hanno distrutto il partito, potessero essere lasciate definitivamente alle spalle. A tale disponibilità si è risposto con un ricorso giudiziario per chiedere in uso esclusivo marchio, testata e un risarcimento. A Carluccio è andata male, e di seguito riporto il dispositivo della ordinanza resa dalla Sezione XVII del Tribunale di Roma, specializzata in materia di impresa, con la quale ha rigettato il ricorso presentato da chi aveva messo in dubbio il nostro legittimo uso dei loghi e dei marchi da sempre indissolubilmente legati alla storia centenaria del PSI. 

 “Alla luce di tali elementi la registrazione del marchio ‘Avanti!', nella medesima veste grafica di quello notoriamente in uso dapprima al Partito socialista italiano fino al 1994 e poi ai soggetti che i liquidatori nominati in sede congressuale hanno ritenuto essere successori del primo, si rivela invalida per carenza del requisito della novità, ricorrendo le condizioni previste dagli artt. 12 lettere a) e b) e 25 co. 1 lett. a) c.p.i.. 

In ogni caso, anche volendo ritenere valida la registrazione del marchio da parte della società editrice Giornalisti editori, avvenuta in data 5 luglio 2012, a seguito di domanda proposta in data 14 dicembre 2011, dovrebbe ritenersi fondata l'eccezione di decadenza formulata dal resistente, ex art. 26 c.p.i., in ragione del non uso del segno da parte del presunto legittimo titolare per quasi dieci anni e quindi ben oltre 

il termine previsto dall'art. 24 c.p.i.: dalle stesse allegazioni della parte ricorrente si desume, infatti, che lo stesso avrebbe acquisito la titolarità del marchio con atto trascritto l'8 luglio 2020 intraprendendo poi l'iniziativa editoriale di pubblicazione del periodico contraddistinto dal marchio Avanti! dal 1° maggio 2021, allorché era già maturata la decadenza del diritto trasferitogli per non uso ed il marchio era invece 

pacificamente utilizzato dal resistente, per stessa allegazione del ricorrente dal 2012. 

Per tali ragioni, le domande della parte ricorrente nei confronti della resistente sono respinte”. 

In ragione della soccombenza, il Giudice ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento 

nei confronti del PSI delle spese del procedimento.

Stefano Carluccio direttore editoriale 

Vorrei rassicurare compagni, amici e lettori che l'Avanti! proseguirà regolarmente le sue pubblicazioni. La annosa e noiosa polemica con il PSI di Nencini va avanti da oltre 10 anni. Ora c'è un'ordinanza sulla cui portata reale (non inibitoria per la pubblicazione del giornale e non competente sulla attribuzione della proprietà della testata), i nostri legali stano stendendo un comunicato pubblico per la giornata di lunedì; dopo un meticoloso esame dell'atto e sui suoi effetti reali, assai al di sotto dell'ingiustificata euforia spumosa che si mette in circolazione. Inutili commenti insignificanti come al solito: la cosa va oltre la lite tra i "polli di Renzo", ma arriverà a chiarire la dinamica dello scioglimento del Partito Socialista, in base anche alla collaborazione di un clan di kapò interna al PSI con Mani pulite e con il PCI- Pds. Uno scioglimento che ha portato come in un "domino" la caduta della DC, dei partiti laici con conseguente destabilizzazione del sistema politico e sociale della prima Repubblica e il prevalere dei poteri forti della finanza e delle privatizzazioni, nella seconda. L'Avanti! non è un giornaletto, ma rappresenta la storia italiana. Volere appropriarsene per chiuderlo è tentare di ripetere la chiusura del PSI. 

Ora rassicuro che nulla cambia; ma l'occasione offre l'avvio di un chiarimento che andava fatto da decenni per comprendere la crisi istituzionale, sociale politica ed elettorale di oggi che ha radici in quell'episodio di cui alcuni attori sono ancora attivi per evitare che qualcosa si muova al di fuor del proprio bunker. 

300 voti al nome Craxi nella città di Roma, è roba da consiglio di quartiere; indica un clan fittizio che con il Nuovo Corso di Craxi e Martelli (come si diceva un tempo) ha voluto tagliare ogni legame. Col Psi c'è riuscito, con l'Avanti! non ci riesce. 

L'ordinanza non lo prevede. 

Ma ne parleranno con scienza giuridica gli avvocati lunedì. Buona domenica a tutti e AVANTITALIA! 

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