Questa edizione segnala, forse più delle precedenti, lo spirito largamente rappresentino dei contributi e delle sensibilità con cui la comunità si sta mobilitando di fronte all'immane tragedia in corso in un quadrante geopolitico distante più di duemila chilometri da noi; ma che è diventata l'epicentro delle nostre percezioni e consapevolezze quotidiane.
Ad alimentare e ad orientare le quali concorreranno gli apporti della nostra Lavagna, in cui riportiamo, debitamente autorizzati, importanti editoriali dell'editorialista di Gazzetta di Parma, Domenico Cacopardo, e del direttore dell'Avantionline, Mauro Del Bue.
Ma anche l'incipit di questa edizione costituisce il segnale simbolico di quell'aggregato di nitidezza cognitiva, di testimonianza civile e di solidarietà che va sempre più allargandosi nell'opinione pubblica.
A questo dramma umanitario si risponde con forte consapevolezza, sicuramente; ma anche mettendo in campo le sinergie di solidarietà e di cultura ed arte.
E, appunto, l'apice di questo volersi mobilitare insieme l'evento organizzato dalla Società Filodrammatica Cremonese (nella nostra gallery - ndr), in partnership col Comune; che è ad un tempo occasione di lirica di livello ed opportunità di far pervenire idealmente l'afflato della cittadinanza cremonese attraverso l'arte di importanti professionisti del canto e della musica e del mezzo soprano Nadyia Petrenko.
Eventi come questi rappresentano il punto più elevato della mobilitazione comunitaria.
Fatta di testimonianza civile, ma anche di gesti concreti, fatti di aiuti indirizzati ad bacino di umanità che ha bisogno di tutto.
Nelle precedenti edizioni abbiamo lanciato l'appello diretto ai nostri lettori di sostenere le inziative di raccolta. Tra queste quella di ACLI.
GRAZIE A DIO!
Il convoglio destinato a Zaporizhzha (UCRAINA) è partito. 30.000 kg (30 tonnellate) di beni di prima necessità a sostegno di una città in condizioni di assoluta emergenza umanitaria.
Cosa possiamo dire... GRAZIE a tutti. Tutti tutti. Non riusciamo a fare un elenco perché davvero siete stati tantissimi a contribuire a questa grande opera. Associazioni, comuni, parrocchie, privati, etc... GRAZIE A TUTTI!!
Il tir arriverà tra circa una giornata e mezza a Parking TIR, 37-552 Mlyny, Polonia al confine con l'Ucraina. Li ci sarà un tir della Croce Rossa di Zapirizhzha ad aspettarci per il trasbordo del materiale. Il tutto sarà consegnato dal tir direttamente nella città ucraina colpita duramente dalla guerra.
Vogliamo dire grazie anche alle persone che oggi hanno donato parte del loro tempo per aiutare a caricare. Grazie
Come poteva mancare la benedizione di Don Daniele al tir e all'autista per il lungo viaggio.
Vi terremo aggiornati con le foto delle consegne.
GRAZIE DAVVERO DI CUORE.
#Pellegrinicongioia #noiperglialtri #lacaritanonavramaifine
Errore di calcolo
Sarà folle come sostengono in tanti, compreso Ken Follett, lo scrittore che ha anticipato ciò che sta accadendo a Est, sarà perduto nelle spire mortali di adulatori e corifei, fatto sta che Putin ha completamente sbagliato i suoi calcoli: l'operazione di polizia di 3 giorni che gli avrebbe permesso di insediare a Kiev un governo fantoccio (la merce sempre disponibile e ovunque, tra chi non possiede una bussola morale e vive nell'opportunismo e per l'opportunismo) è fallita e presto, prestissimo rimarrà impantanata nel disgelo che ha iniziato a farsi vedere dopo le nevicate dei giorni scorsi.
Non è infatti possibile che le forze armate russe avessero avviato l'operazione affidata loro dal capo supremo verso la fine di febbraio, ben sapendo che entro il 15 marzo il disgelo avrebbe reso le strade e le steppe impraticabili ai carri armati e ai mezzi logistici che ne alimentano la vita e la potenza di fuoco. Il calendario mostra con chiarezza come sia stato commesso un grave errore di calcolo che è costato e costerà un rilevante prezzo politico, consistente in primo luogo nella crisi del mercato domestico e, probabilmente, la rottura del patto non scritto ma perfettamente funzionante tra l'autocrate del Kremlino e le classi medie urbane, abituate ormai all'agiatezza e alla disponibilità di informazioni.
La psicosi che percorrere le autorità moscovite è tale che le forze armate hanno ricevuto il divieto di procedere ai funerali militari dei caduti, un modo come un altro per nascondere le morti sul campo e il loro rilevante numero. Insomma, aveva ragione Volodimir Zelinski quando sosteneva che la prima arma dell'Ucraina era la verità.
L'orrido e fatale meccanismo che s'innesca intorno ai despoti, di cui hanno scritto i grandi della storia a partire da William Shakespeare, ha colpito ancora. Dopo Mussolini, preso per i fondelli dai suoi gerarchi e dai suoi generali (della cui attendibilità anche attuale è doveroso dubitare anche perché -lo sapete?- l'Italia ha un numero di generali superiore a quello di Francia e Germania messe insieme) che spostavano da un luogo all'altro i piccoli carri armati, vere bare a motore, del nostro esercito in modo da fargli credere che disponessimo di un numero ben maggiore del reale -in sostanza, una manipolazione del dittatore da parte dei suoi uomini di fiducia- Hitler che ancora dal bunker di Berlino accerchiata dall'Armata rossa dava ordini ad armate non più esistenti, lo stesso Stalin le cui truppe furono spazzate via in poche ore dopo l'attacco del territorio russo da parte della Wehrmacht il 22 giugno 1941, un'ennesima data sbagliata per ritardo, visto che il generale inverno arrivò a operazioni in corso bloccandole, fino a Putin che intendeva risolvere in breve tempo il problema della «pulce» Ucraina e che ora si trova impantanato con le sue armate corazzate, munite del modernissimo YT-14 Armata potente, veloce, imbattibile, salvo il fatto che consuma fiumi di carburante che deve essere portato in loco attraverso linee di comunicazioni lunghe ed esposte agli attacchi degli ucraini. Ed ecco che, la guerricciola prende una strada diversa, quella della distruzione scientifica dei centri abitati, dei civili e dei militari, con strumenti di cui la Russia dispone ampiamente: i cannoni, sì i vecchi cannoni un tempo usati per abbattere le mura di difesa di Amiens, oggi sono bocche da fuoco che eruttano proiettili potenti, tradizionali o armati a grappolo, sicché un colpo, un solo colpo può compiere una strage. Per non parlare delle bombe thermo-bariche che prosciugando l'ossigeno in un raggio di un centinaio di metri uccidono tutti gli esseri viventi che vi si trovano dentro. E delle bombe chimiche -fornitegli dai russi- lanciate a piene mani dagli uomini di Assad, il despota siriano, sui ribelli filo-occidentali o curdi, ora pronte all'uso nei confronti del popolo ‘fratellò ucraino.
Quanto si dice che dovevamo sapere e dovevamo provvedere si dice una cosa giusta e una sbagliata. Sin dall'occupazione del Donbass, a opera di formazioni dell'esercito regolare mascherate da milizie e dei killer mercenari della Wagner (dice molto la fuga dei russofoni che, invece, in quelle zone dovrebbero sentirsi protetti) e della Crimea, l'Occidente avrebbe dovuto rendere l'Ucraina una fortezza inespugnabile. Non l'abbiamo fatto per una serie di ragioni, la principale delle quali è che in un paese democratico, la chiamata alle armi o la mobilitazione a favore di un'altra nazione non possono essere mai preventive, sempre successive.
Quindi, ora è il momento delle artiglierie, dei bombardamenti aerei (che peraltro espongono i velivoli all'ancora esistente difesa aerea ucraina e ai micidiali missili Sting) a tappeto e dei missili: un armamentario lanciato indiscriminatamente sui centri abitati e sulle basi militari per terrorizzare tutti, prima che le fanterie avanzino tra le macerie e i cadaveri. Un meccanismo utilizzato nel 1944 e nel 1945 e che ha permesso all'Armata rossa di partire da Stalingrado e attivare a Varsavia, rasa al suolo prima dai tedeschi e poi dai russi, e a Berlino. Un meccanismo bestiale, indiscriminato che colpisce tutto, ospedali, cronicari, asili, scuole, insomma tutto un territorio.
Come accadde a Berlino, un armamentario che non riesce però ad azzerare la resistenza. Nella capitale del Reich, benché i militari normali fossero decimati e ridotti a una sparuta minoranza, truppe formate da anziani delle squadre territoriali e da fanciulli richiamati in armi nelle SS e nell'esercito resero difficilissima l'occupazione russa, l'arrivo davanti al parlamento con l'ammainare la svastica e sostituirla con la bandiera rossa. A Kiev sarà più dura, giacché essa è presidiata da volontari (segnalo la piccola brigata Free Island) e dalle forze armate, colpite dai bombardamenti, per il resto intatte con gli armamenti individuali, tra i quali sono compresi i missili, e uno spirito combattivo accresciuto dalla brutale, violenta cecità del nemico.
Insomma «it's a long way to do».
Lo spettacolo in Italia è imbarazzante. A esso ci dedicheremo presto, prestissimo.
Caino e il lupo
60 km di carri armati sulla via di Kiev sono la manifestazione evidente e agghiacciante dei termini dell'aggressione in corso da parte di Vladimir Putin, ormai entrato nei panni di grande criminale di guerra, nei confronti degli ucraini e della loro repubblica.
La questione, prima che politica, strategica, etnica è una questione morale, la stessa posta dalla Genesi col racconto dell'assassinio di Abele da parte di Caino o da Fedro con il lupo e l'agnello. Essa segna un discrimine ed è il discrimine del disonore, quello tracciato nel 1938 da Winston Churchill, dopo i patti di Monaco, nel quale all'aspetto etico si accoppiava la lucida precognizione di ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche mese: l'aggressione della Polonia, la guerra mondiale, la strage degli innocenti ebrei, zingari, omosessuali, alienati mentali.
La scelta dell'Italia, dell'Europa e dell'Occidente è la scelta dell'onore.
Dedichiamoci ora ai malpancisti italiani, a coloro che prospettano ‘distinguò e indicano le responsabilità dell'Occidente per avere sostenuto e simpatizzato per l'Ucraina in danno della Russia.
La demenziale ricostruzione degli eventi, operata in diretta con il mondo da Putin, ha fatto presa su menti deboli o su menti influenzate dall'opportunità, meglio dall'opportunismo politico.
Certo la Russia ha perso la guerra fredda e ha fatto i conti con la sconfitta dopo la gloriosa vittoria del 1945. Chi ha perso, in verità, è stato il comunismo sovietico, quello dei carri armati su Budapest (e dell'assassinio del presidente ungherese Imre Nagy e del generale Pál Maleter) e su Praga (con arresto del presidente Alexander Dubcek), quello della permanente repressione della libertà, quello del Patto di Varsavia. Il colpo di genio di Ronald Reagan, preparato dopo un decennio di lavoro e approfondimento da parte dei «think-tank» repubblicani, fu costituito dall'escalation della guerra fredda con lo schieramento in Europa, Italia compresa, dei missili Cruise a testata nucleare e con l'avvio del programma Guerre stellari, una rete di satelliti capace di ‘vederè immediatamente un lancio di missili e quindi di abbatterli.
L'Urss non fu in condizioni -economiche e tecnologiche- per mettere in atto contromisure, iniziando così la strada del declino e della resa. Se un insegnamento si può trarre da quelle vicende è che il popolo, anche russo, privo dell'oppressione terroristica del KGB, sceglie la libertà. E quindi un sistema di potere come quello impiantato da Vladimir Putin si regge sul terrore e sulla repressione interna. È facile immaginare cosa significhi per il tiranno del Kremlino un paese confinante libero, con un linguaggio non lontano da quello russo e con una libera televisione comprensibile dai russi stessi.
Ora torniamo ai nostri malpancisti in buona e in cattiva fede che sostengono che l'Occidente ha provocato Putin circondandolo con una serie di stati aderenti alla Nato.
Nel 2014, le forze armate russe hanno occupato la Crimea. Territorio assegnato dalla medesima Urss agli ucraini è prevalentemente abitato da russofoni. Io stesso su ItaliaOggi sostenni, a torto (me ne rendo conto oggi e me ne scuso con senso di vergogna), che la Russia aveva ragione. Come ‘aveva ragionè ad armare le minoranze russofone del Donbass e a sostenerle nella loro cruenta ribellione a Kiev.
Ed è naturale che dopo queste aggressioni e queste mutilazioni territoriali, la repubblica ucraina cercasse sostegno dall'altra parte, cioè dall'Occidente. L'Ucraina è uno stato cuscinetto, appunto, tra Occidente e Russia e deve tutelare sé stesso.
L'idea di uno statuto finlandese applicato agli ucraini, alla luce dei fatti accaduti, è impensabile, visto che significherebbe il semplice trasferimento degli stessi nell'ambito del potere russo.
I malpancisti dicono che è colpa degli Usa perché Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Albania, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro, Romania e Slovenia sono entrate nella Nato. Al netto di Finlandia e Svezia (che hanno ora chiesto di entrare) si tratta di tutti gli stati confinanti con la Russia meno la Bielorussia. La scelta di questi stati è stata una scelta libera non imposta. Anzi imposta dal timore che la vicinanza con la Russia di Putin crea nelle loro popolazioni.
Del resto, l'art. 5 del Trattato Nato stabilisce: «… un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America settentrionale, deve essere considerato come un attacco contro tutte …» Più difensivo di così …
Ho una nuora polacca e sporadicamente sono stato in Polonia. L'aneddoto che circola in quel paese di antica civiltà è il seguente: «Se un polacco incontra un tedesco e un russo, chi uccide per primo?» Risposta: «Il tedesco.» Domanda: «Perché?» «Prima il dovere e poi il piacere.»
I sentimenti antirussi non sorgono per indicazione governativa o per suggerimento degli occidentali. Sorgono perché tutti quei milioni di europei hanno toccato con mano cosa significhi l'occupazione russa e cosa sia la mano dei regimi dispotici e polizieschi moscoviti.
Perciò e per l'abusiva occupazione della Crimea e per la rivolta del Donbass, l'Ucraina è stata costretta dal despota del Cremlino a chiedere l'appoggio dell'Occidente.
Ho avuto a che fare con i pensosi sostenitori dell'equilibrio strategico e delle ragioni della Russia. Nessuno di essi, tuttavia, si rende conto che l'equilibrio strategico è saltato e che oggi il mondo si trova di fronte all'ipotesi di una primazia cino-russa.
Il contrastarla con gli strumenti di cui dispone la democrazia, primo fra tutti la libertà (che è uno strumento formidabile e rivoluzionario) è un dovere morale, prima che civile, un obbligo nei confronti di noi stessi, dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Un obbligo che competerebbe anche all'Anpi (l'associazione dei partigiani) che smentisce i caduti italiani nella lotta per la libertà prendendo inaccettabili posizioni di neutralità e di distinguo. Un obbligo che compete ai pacifisti: oggi non basta chiedere che le armi cessino di sparare. Oggi non bastano i vuoti slogan del passato. Il pacifista di oggi deve prima di tutto affermare la responsabilità di Caino e del lupo nei confronti dell'agnello e chiedere che egli, Caino o lupo, cessi l'aggressione nei confronti degli ucraini.
La lotta che si profila casa per casa a Kiev non è l'inutile strage. È la feroce strage messa in opera dalle armate di Putin nei confronti di un popolo eroico, un popolo molto simile al russo ma che ha assaggiato e apprezzato il profumo e il sapore della libertà.
Non chiedete che Kiev diventi città aperta! Non disarmate le vittime!
Sono gli ucraini per primi ad avere diritto a difendere sé stessi e le loro città. Putin non potrà sostenere a lungo questa inutile, criminale strage degli innocenti.
Perdente
Vi sembrerà un paradosso, ma credo che Vladimir Putin stia perdendo la sua battaglia. Anzi, l'ha già persa nel momento in cui, dopo 3 giorni di aggressione criminale, l'Ucraina non è crollata e lui non ha potuto insediare a Kiev un suo governo fantoccio presieduto, probabilmente, da Oleg Ivanovic Jankovskij, l'uomo più odiato d'Ucraina, persino di più di Putin, l'uomo che ha ordinato il 21 febbraio 2014 la strage di Piazza Maidan: 100 manifestanti uccisi delle sue forze di sicurezza. È evidente la sproporzione delle forze in campo che, alla fine, dovrebbe permettere all'armata russa di prendere possesso del territorio ucraino: ma non è detto, se il prezzo si rivelerà troppo alto per Putin e le sue forze armate. Alcune semplici considerazioni, facilmente ricavabili dalle cronache.
Le forze armate russe sono incappate in una serie di battute d'arresto che ne dimostrano l'attuale grave inefficienza. Alcuni esempi. Per occupare uno degli aeroporti di Kiev sono ricorse al lancio di truppe aviotrasportate prive di copertura aerea: un bersaglio facile per gli ucraini che hanno trasformato il lancio in una strage. Solo l'intervento successivo di reparti corazzati ha permesso di mettere sotto controllo l'aeroporto. I 60 km di mezzi militari dispiegati sulla strada che da Nord conduce a Kiev sono una indiscutibile manifestazione di insipienza tattica: gli ucraini, dotati di missili a spalla e di panzerfaust hanno giocato al tiro a segno con carri armati e autobotti. I mezzi strettamente bellici distrutti in tutto il territorio ucraino superavano il 12 marzo i 1200 pezzi (300 quelli ucraini).
Naturalmente le artiglierie fanno eccezione: erano il fiore all'occhiello dell'esercito zarista, dell'Armata rossa, lo sono ancora. Così come sono utilizzabili tutti gli armamenti che operano da remoto: aerei, missili e cannoni navali.
Di fondo ci sono due problemi che incidono sulle attività militari: il primo deriva dall'estrazione KGB di Putin che avrebbe comportato l'inserimento in posti di comando delle forze armate di ufficiali provenienti proprio dal KGB. Il medesimo Valerij Vasil'evic Gerasimov potrebbe avere precedenti nei servizi segreti (la sua medesima ‘dottrinà sarebbe stata elaborata nel KGB). Tradizionalmente gli apparati militari russi odiano il KGB e i suoi esponenti: e questo dimostrerebbe tante disfunzioni verificatesi sul campo. In ambienti informati, si dice che i militari sarebbero contrari alla scelta dello sterminio delle popolazioni civili e dell'interruzione armata dei corridoi umanitari: questa scelta sarebbe prerogativa della gente dei servizi segreti formata alla spietata guerra delle spie.
Ulteriore testimonianza delle difficoltà di Putin sono il ricorso alla feroce milizia cecena di Ramzan Kadyrov, alle truppe bielorusse (estremamente inadatte viste le simpatie tra i popoli bielorusso e ucraino che avrebbero già avuto l'effetto di spingere alla diserzione molti soldati) e, infine, i 16.000 tagliagole siriani, uomini di Assad. Quest'ultimo particolare apre una interessante finestra nello scacchiere medio-orientale: i 16.000 erano la milizia di Assad che ha eliminato uccidendo tutti i viventi gli abitanti di Aleppo, città che aveva resistito per anni. La loro partenza per l'Ucraina apre un varco nel ritorno delle formazioni curde e di quelle anti-Assad (Isis, Al Qaeda, ma anche le formazioni democratico-rivoluzionarie). E nello scacchiere ucraino potrebbero rivelarsi un buco nell'acqua: i siriani non parlano russo né ucraino, non conoscono il territorio e non sono abituati al clima. Possono non essere elemento risolutivo, anche se il loro compito fosse di seguire le truppe corazzate nelle città e di ‘ripulirè le macerie.
La mossa più significativa, però, è la richiesta di aiuto rivolta da Putin alla Cina. E non tanto per il suo esito, quanto perché manifesta una insufficienza di mezzi e di uomini che nessuno avrebbe potuto immaginare 20 giorni fa.
Questo della Cina è un bel tema: l'alleanza tra Russia e Cina ha aperto a Pechino l'accesso alle immense risorse minerali russe. Se escludiamo petrolio e gas, la Russia offre la più grande varietà di materiali preziosi per lo sviluppo economico e per le nuove tecnologie, oltre all'oro e ai diamanti. La richiesta di aiuto rivolta da Putin a Xi Jinping è la prima mossa sulla strada di una Russia servente per la Cina.
Cosa che, fatalmente, susciterà reazioni a Mosca e nel complesso sistema industriale e finanziario dell'impero ex-sovietico.
Un'ultima considerazione: il governo russo è stato definito una cleptocrazia. Gli esperti dicono che almeno un terzo delle grandi somme investite in armamenti è finito in mazzette e in arricchimenti privati. Perciò una spontanea domanda: può una cleptocrazia avere delle forze armate efficienti ed esenti dal morbo letale della corruzione?
È ragionevole, a questo punto, ritenere che Putin per salvare il proprio potere e ciò che rimane del suo prestigio compromesso, realizzi il passo successivo nell'escalation, quello che non vorremmo nemmeno pronunciare: il ricorso all'arma nucleare, nella versione tattica che avrebbe effetti limitati su un'area definita (genere Kiev). Questa, però, sarebbe la sua fine.
Ps: presidenti di Polonia, Cekia e Slovenia sono andati ieri a Kiev. Hanno più coraggio di Francesco.
IV settimana di guerra- Verso lo show
Oggi entriamo nella IV settimana di guerra e, probabilmente, nell'ultima decade della stessa.
È opinione largamente condivisa che se il governo ucraino e le sue forze armate non collasseranno nella prossima settimana, non collasseranno più. Putin da perdente si potrebbe trasformare in sconfitto. Solo la sconfitta ha rimosso dal potere gli autocrati che si sono succeduti sul trono dello zar o su quello altrettanto dorato dei suoi successori ‘laicì.
L'altro elemento che sta maturando (uso il gerundio per cautela: potrei usare l'indicativo) è l'istituzione della nota «no-fly-zone» sui cieli ucraini. Si tratta di una misura adottata di frequente dall'Onu e dalla Nato in condizioni belliche e parabelliche occorrenti per costringere l'avversario a desistere o per determinarne la sconfitta. Essa consiste nel divieto di sorvolo dei cieli di una determinata area e nella contemporanea vigilanza del rispetto del divieto da parte delle forze aeree delle nazioni coalizzate, in questo caso la Nato.
Benché Putin abbia dichiarato che considererà l'istituzione della «no-fly-zone» un atto di guerra, gli osservatori ritengono che si tratti dell'unico mezzo a disposizione dell'Occidente per arrestare il genocidio in corso in Ucraina e per impedire il successivo attacco ai paesi baltici e alla Polonia, dei cui piani sono emersi particolari inquietanti.
L'esperienza del 1938 ci insegna che despoti del genere di Putin debbono essere affrontati con fermezza, impedendo loro di perseguire una permanente aggressione alle nazioni vicine, l'azzeramento delle loro istituzioni, in una parola l'affermarsi di una politica imperialista.
Le sanzioni non bastano a impedire il bagno di sangue innocente e penso al personale sanitario e ai pazienti ricoverati nell'ospedale di Mariupol presi in ostaggio dalle milizie di Putin. Le sanzioni che, peraltro proprio ieri hanno costretto la Russia a non pagare gli interessi su un prestito internazionale (un evento da default), avranno effetto crescente nei prossimi mesi. I ceti urbani borghesi che sono stati nutriti dalla propaganda di stato, ma altresì si sono abituati ai contatti con l'Occidente -e ai relativi benefici- saranno i primi a pagare il prezzo della follia del loro presidente. Ma ciò che importa oggi è che lo spargimento di sangue sia fermato non con la resa di Zelenskij e dell'eroica popolazione ucraina, ma con provvedimenti idonei a fermare l'Armata russa.
Sento già gli amici del fascismo moscovita ribellarsi alla prospettiva: del resto ieri dallo sparuto gruppo di rifondaroli (del Pci) si sono levate proteste per una circolare dello stato maggiore italiano che invitava i comandi a verificare lo stato di manutenzione dei nostri mezzi militari e dei nostri armamenti. Una misura che -se devo dire la verità- arriva con il solito colpevole ritardo: è da febbraio che il ‘romor' di sciabole giunge da Oriente.
Domenico Cacopardo
Tra doppiopesismo e arrendismo
Mauro Del Bue del 9 marzo 2022 L'editoriale
Faccio fatica a sopportare non solo i doppiopesisti, ma anche gli arrendisti. I secondi son quelli che raccomandano la resa degli ucraini in nome della pace. Partiamo dai primi. Ad esempio da quelli che si scoprono assolutamente non violenti, pacifistissimi per principio a fronte della guerra di Putin, e che hanno un turbinio di crisi di coscienza per l'invio di armi alla resistenza ucraina. Ma se chiedi loro: “Ma allora eravate contrari anche all'uso della violenza durante la Resistenza, alla rivoluzione cubana e alla guerriglia del Che in America latina?”, allora arricciano il naso, si danno una sistematina agli occhiali, aggrottano le ciglia e ti rispondono che era diverso e via con le condizioni e le analisi, che poi attenuano di molto anche le loro crisi di coscienza. Sono questi, di destra o di sinistra, che protestano per la decisione del sindaco Sala di pretendere da Valery Gergiev, un grande direttore, di condannare Putin o, in assenza della condanna, di lasciare la direzione de La dama di picche di Ciaikovskiy. Ho forti perplessità anch'io sulla decisione del sindaco di Milano. Ma gli intellettuali, eccoli a protestare in nome del sacro principio dell'autonomia della cultura, che dovrebbe però valere sempre. Si ricordano costoro le discriminazioni del maestro Furvangler, accusato di essere stato anche in combutta con Hitler? Valeva anche per lui il sacro principio dell'autonomia della cultura nel 1945? Ci pensano bene prima di risponderti, e via ancora con i tempi che erano diversi e le condizioni oggettive e soggettive e altre panzane. I doppiopesisti basta poco per metterli in difficoltà. Ma loro continuano imperterriti a darci lezioni. Lezioni morali, lezioni sui principi, quando le loro sono solo valutazioni politiche. E i principi vanno spesso a farsi benedire. Non posso dire che abbiano un debole per Putin. ci mancherebbe. Capiscono anche loro che Putin non é Lenin e neanche Gorbaciov. E che se c'è un sistema retto con principi di destra é oggi quello russo: capitalismo che arricchisce a dismisura dieci o venti oligarchi e tiene nella miseria il popolo, nazionalismo sfrenato, regole illiberali e oggi francamente poliziesche della vita interna. Capisco di più una debolezza di destra che di sinistra. Quello che resiste nei doppiopesisti é la contestazione della civiltà occidentale, quel masochismo farisaico che spinge anche il leader cinese a ritenere l'occidente in una crisi irreversibile di “decadenza” della quale l'Oriente può approfittsre. Paolo Mieli lo ha opportunamente ricordato e oggi Federico Fubini annota sul Corriere che da questa guerra (l'Onu vuole che la si definisca “conflitto”, testimonianza di una sua crisi non solo lessicale, ma politica) é emersa una nuova e piena solidarietà tra le nazioni europee e tra queste e l'alleato americano. E quindi, sostiene paradossalmente Fubini, può essere che dal male possa nascere un bene. E cioè che l‘Occidente, difendendo in tutti i modi i suoi valori di libertà, dimostri di non essere per nulla in condizioni di decadenza. Ma mi danno fastidio oggi anche gli arrendisti. Una nuova categoria che pare stia lievitando. Questi ragionano più o meno così: visto che con ogni probabilità, dato il divario delle forze in campo, l'Ucraina è destinata a soccombere, perché Zelensky non firma la resa evitando così un numero maggiore di morti? Se non lo fa si porta sulle sue spalle la responsabilità di futuri massacri. Questa assurda eterogenesi del fini, o meglio realtà capovolta, patrocinata da Vittorio Feltri, ma anche da Belpietro e da altri, non solo delegittima il coraggio dei resistenti ma attribuisce addirittura a loro la responsabilità della continuazione del conflitto. Meglio dunque la viltà del coraggio perché la viltà porta pace e il coraggio porta morte. Se questo principio valesse sempre allora l'unica legge mondiale alla quale dovremmo rassegnarci é quella del più forte. Il più debole deve soggiacere al più forte. Non deve ribellarsi mai perché il più forte poi schiaccia te e i tuoi. Intanto non sta scritto in nessun libro del futuro come si evolverà questa guerra. Finora grazie alla resistenza Putin si trova a dover ammettere di aver sbagliato tutti i suoi calcoli. Tanto che un negoziato oggi potrebbe perfino partire, cosa dirà Lavrov in Turchia non é dati saperlo, da posizioni diverse rispetto a quelle di partenza. Ad ogni modo saranno gli ucraini a decidere il loro futuro. E soprattutto il loro presente. Se ritengono, come é oggi evidente, di combattere per difendere la loro terra, noi dovremmo dissuaderli e indurli alla resa? O piuttosto sostenerli nella convinzione che in Ucraina, come in Spagna nel 1936-39, si combatte anche per noi, per la nostra libertà?
Il trump-comunismo
Mauro Del Bue del 4 marzo 2022 L'editoriale
Esiste nei confronti dell'aggressione criminale di Putin all'Ucraina, che sta costando insopportabili perdite militari e civili e distruzione e rischi di esplosione di centrali nucleari, una variegata area di giustificazionismo, che ha origini in nuove tendenze a riscoprire l'uomo forte e in mai sopite allucinazioni anti occidentali. Si tratta di una spia accesa sia a destra, sia a sinistra, che s'illumina allo stesso identico modo.
Partiamo da destra. Trump non é stato solo uno dei tanti presidenti americani. È stato un capo tendenza a livello mondiale. Indifferente a quanto accade nel mondo (America first), comprensivo verso la strategia egemonica russa, ha oltrepassato il Rubicone della democrazia, giustificando addirittura l'invasione della sede del Congresso americano e non riconoscendo l'esito delle elezioni presidenziali che l'hanno visto sconfitto. Mai in passato un presidente americano aveva osato tanto. E nel mondo le destre al confine tra democrazia e autoritarismo non sono da meno. Penso alla Le Pen in Francia o a nuove tendenze estremistiche presenti in pressoché tutti i paesi europei. Con quale rispetto manifestano per le istituzioni liberali? Penso a Orban che costruisce una democrazia illiberale alzando nuovi muri, il che non è solo un ossimoro, ma un modello sperimentato dallo stesso Putin. Anche costoro contestano il processo di unità europea, si rinchiudono in pericolosi nazionalismi fuori tempo, concepiscono l'emigrazione solo alla stregua di un problema di sicurezza (Salvini prima ha affibbiato ai poveri migranti che teneva a mare l'aggettivo di palestrati e ieri di drogati). Costoro sono sempre stati dalla parte di Putin e ora balbettano, condannano ma, inviano armi però fosse stato per loro non le avrebbero inviate. Parlano di negoziati che non esistono. E di comprensioni delle ragioni dell'aggressore che non é ha mezza. Trumpiani, anti europei, uniti dal mito del superamento della democrazia quale finora l'abbiamo conosciuta. Poi c'è, a sinistra, e devo dare atto che nel Pd, anche grazie a Letta, non ha attecchito, una vecchia pregiudiziale anti americana, anti occidentale. Che Fratoianni sia stato, assieme a qualche grillino, l'unico a opporsi all'invio di armi in Ucraina, mentre sono sicuro che le avrebbe volentieri inviate ieri l'altro in Colombia per sostenere il Che, non impedisce di osservare quanto questa tendenza sia radicata nella società. E soprattutto tra gli intellettuali, tra i professori, i filosofi a cui l'invasione russa dell'Ucraina scombina i loro sillogismi ideologici. Il gioco è semplice. Quando l'aggressore è l'America, condannano in tutti i modi l'aggressore, non approfondiscono, non parlano di pace ma di vittoria dell'aggredito (ma siano agli anni settanta, perché loro sono fermi lì e da lì non li smuovi), quando l'invasore è qualcun altro restano quasi muti, anzi, nel caso di Saddam, che aveva invaso nel 1991 il Kuwait, piovono in piazza cogli occhi rossi, con bandiere, improvvisano comizi e sit-in e con le donne in nero protestano cogli Usa, anche se l'intervento era stato deciso dall'Onu e non con Saddam. Li interpreta bene, costoro, lo strano atteggiamento di una professoressa di filosofia ieri presente da Formigli. Costei sosteneva questa tesi: il popolo ucraino deve dialogare anche con l'invasore, sapere riconoscere anche le sue ragioni. Cioè il popolo ucraino mentre i russi gli sganciamo bombe sulla testa non solo non ha diritto di resistere, ma deve intavolare un dialogo col bombarolo. Allucinante, frutto di una mente a cui l'ideologia ha provocato forti scompensi. Diego Fusaro ci ha messo del suo. Meno funebre della professoressa, ha dato tutta la colpa alla Nato che si è allargata ad Est. Ma sono gli stati dell'Est che hanno deciso di aderire alla Nato, cioè di allargarsi a Ovest. Dopo quello che è successo all'Ucraina, e prima alla Crimea, alla Georgia, alla Cecenia, c'è da dar loro torto? Se pressoché tutti i paesi del vecchio patto di Varsavia hanno scelto liberamente di entrare nella Nato una ragione ci sarà. Le parole di Putin che oggi li minaccia (e vuol decidere lui i destini di Svezia e Finlandia) non sono la miglior prova delle loro ragioni? Il trump comunismo è la nuova tendenza che dobbiamo fronteggiare da democratici, europeisti, autentici pacifisti. Estrema destra ed estrema sinistra unite nella lotta? Culturalmente rappresentano un pericolo per il nuovo secolo.
Se l'America avesse invaso il Messico
Mauro Del Bue del 14 marzo 2022 L'editoriale
Immaginiamo. Siamo agli inizi del 2022 e apprendiamo dalla Tv che gli Usa hanno invaso coi loro carri armati il Messico. La motivazione assurda sarebbe da addebitare al fatto che il governo messicano non fa nulla per bloccare il flusso di immigrazione che si dirige oltre il confine statunitense. E che il presidente Biden (sarebbe più credibile ritenere fosse Trump) abbia considerato legittimo invadere questo paese, tra il 1846 al 1848 peraltro in guerra cogli Usa per una complicata questione di confini che permisero agli americani di annettersi il Texas. E pensiamo se anche la Russia avesse deciso di inviare armi alla resistenza messicana, quale sarebbe la reazione in casa nostra. Immaginiamo un tragico evento che non si è verificato né mai si verificherà. Ma procediamo per assurdo. Landini e la Cgil sarebbero i primi, dieci minuti dopo la notizia, a sfilare nelle piazze con i cartelli “Usa go home”, e non comparirebbero certo le bandiere della pace, ma solo inni alla resistenza messicana con riferimenti a Pancho Villa. Le donne in nero sfilerebbero con la solita puntualità, mentre la sinistra ideologica di casa nostra riscoprirebbe i miti di Che Guevara e di Ho Chi Min, accompagnati dall'adesione sofferta di tanti movimenti cattolici. Sventolerebbero a piene mani le bandiere messicane e nessuno parlerebbe d'altro: né della Palestina e men che meno della Cecenia. I pacifisti son fatti così. Diventano bellicosi se il nemico sul campo sono gli Usa e un'invasione di un paese vicino scatenerebbe vecchi rigurgiti anti imperialisti. Luciano Canfora e Diego Fusaro, abbracciati a Marco Capanna, sfilerebbero avvolti con stendardi tricolori, ma messicani, mentre a destra Forza Nuova riscoprirebbe italiche invasioni datate 1943. L'antiamericanismo, frutto della cultura catto-comunista da noi mai morta (e non mi riferisco certo ai Letta e ai Fassino che catto-comunisti non sono mai stati tali) esploderebbe come una bomba. Una cultura anti occidentale che non è mai morta perché l'89 italiano non ha permesso un chiarimento ideologico alla sinistra comunista e il suo naturale approdo all'unità socialista, grazie alla nefasta rivoluzione giudiziaria. Perfino Crozza si sottometterebbe a una trasmissione tragica reprimendo il suo atavico sarcasmo. E Vauro? Beh, qui ci vorrebbe un intero giornale per esprimere la sua indignazione. Potrebbe arrivare a beatificare perfino la civiltà dei Maya e anche degli Zapotechi. E opporla alla corrotta civiltà occidentale. E una vignetta di sicuro non sarebbe risparmiata a un Biden assassino. Così va il mondo. Oggi è successo il contrario e l'Italia non è stata ideologicamente preparata a sostenere la resistenza, assieme all'Europa e alla Nato, di un popolo invaso dai russi. Come quel tale che interrogato da Socrate sul tema della verità aveva paura di conoscere sé stesso. Come poteva conoscere la realtà? Sia bene chiaro. La Russia non ha niente a che fare con l'Urss di Lenin. Putin ha criticato anzi l'invenzione sovietica delle repubbliche che sotto l'impero non esistevano. Poco importa che nella Russia di oggi regni il più diseguale capitalismo della storia dell'umanità con pochi oligarchi (compreso lo stesso Putin) plurimiliardari e il popolo in miseria. Poco importa che questo paese ne abbia invaso un altro che vuole entrare in Europa e non può e vuole entrare nella Nato e non può e che resiste a un'aggressione. Poco importa degli avvelenamenti e degli arresti di chiunque dissenta. Loro sono esplicitamente doppiopesisti e benaltristi. Un conto sarebbe il Messico altra l'Ucraina, e se parliamo di un'aggressione della Russia dobbiamo parlare anche della Palestina e della Nigeria e dell'Etiopia e soprattutto della Libia dove peraltro oggi ci sono i russi coi turchi a comandare. E soprattutto della Nato. E ben che vada augurarci che la pace, non la libertà e l'indipendenza del paese aggredito, trionfi presto. Anche a costo della resa. E se così non sarà allora la colpa sarà tutta di un presidente, attore comico, figurarsi (coi comici ci si può alleare solo a casa nostra) che manda a morire il suo popolo. Mi viene spontanea una sola frase grillina e la dico come si deve: “Ma andate…”