Nel presentare questa edizione, dedicata all'approfondimento dell'election day delle Amministrative, non ci faremo sfuggire il link di Elena Boschi, che, apparentemente derubrica il rango politico della tornata, ma che, in realtà, rimette le cose a posto nella gerarchia dei valori (sempre manomessi dall'insopprimibile tentazione di strumentalizzare tutto, quando si preannunciano, si aprono e si chiudono le urne). L'inossidabile e brava ex ministra, che venne qui a Cremona durante la campagna referendaria del 2016, ieri ha fatto un'esternazione, forse banale per i molti abituati a guardare il dito e non la stella: “al Comune si sceglie il Sindaco, non l'ideologia.” Un concetto forse un po' semplificato. Ma per affermare un concetto che dovrebbero presiedere permanentemente l'approccio alle competenze dei diversi livelli istituzionali. Evitando la pratica, suggerita dalla bulimia politichese dei “ravanei, remulass, barbabietole e spinass tre palanche al mas”.
Essendo molto ben chiaro che i leader, che hanno fugacemente (se fosse permesso, fraudolentemente) calcato i territori a mero scopo propagandistico, con una scansione da éspace d'un matin, si eclisseranno dallo scenario locale non appena si sarà esaurita anche la filiera degli “straordinari” del ballottaggio.
Una toccata e fuga, per accalappiare i voti e per ribadire anche nelle contee il peso delle leadership, e poi chi (reciprocamente) se li ricorderà più. Loro a Roma a ribadire il loro leaderismo; noi sui territori ad esercitare un mandato amministrativo, che assomiglia sempre più (soprattutto, nella nostra realtà di riserva dei nativi, periferizzati e dalle entità rimpicciolite e vassate dalla marginalizzazione esercitata dai centralismi, statali e regionali) ad una insopportabile pena accessoria.
Del che si dovrebbe aver contezza, a mente, soprattutto, della difficoltà, certificata dall'impossibilità di esercitare le dinamiche di conferimento del mandato, in un Comune non tanto piccolo (come Robecco d'Oglio), in cui, come è già avvenuto in alcune realtà locali, non si sono presentate programmi di consiliatura, candidati e liste. In un altro, Torricella del Pizzo, piccola ma non banale entità politico-amministrativa, si deve al cuore buttato oltre l'ostacolo da un gruppo di giovani se le chiavi del Comune non si sono consegnato ad un Commissario Prefettizio (ruolo che nella vecchia declaratoria militante era considerato il peggio del peggio che potesse capitare).
Da adesso (e per Crema tra una decina di giorni) la musica è finita e gli amici se ne vanno. Gli eletti (sia quelli con ruoli esecutivi sia quelli con mandato di controllo) si stanno mettendo ai remi. Nella inaggirabile consapevolezza che il Comune è (storicamente, ma sempre più negli ultimi decenni) l'avamposto del rapporto tra cittadinanza basica e “potere”.
E qui occorrerà tener conto (molto!) del saggio aforisma della Boschi. Anche se non andrà perso di vista il fatto che l'impianto politico delle istituzioni locali, per quanto debba essere sfrondato dagli eccessi ideologici, non dovrà mai perdere di vista la cornice che inquadri linee guida di fondo, progetti e metodi di azione.
Diversamente la testimonianza civile degli eletti finirebbe per applicarsi a sguardi corti, privi di profondità strategica. Poi la “dialettica” ci sta; perché dal condominio in su è più che giustificato il senso della competitività.
Dobbiamo rivelare di aver tratto un senso edificante dall'osservazione di come si sono svolte le cose nel nostro territorio. Assolutamente corrette nelle piccole realtà. E, sostanzialmente, accettabili nella realtà di Crema. Diciamo ciò per un dovere di obiettività, ma anche come auspicio che le cose procedano così anche nelle due settimane del “ballottaggio”.
Ciò premesso, pubblichiamo, per concessione degli autori, i contributi dell'editorialista e scrittore Domenico Cacopardo e del Direttore di Avantionline Mauro del Bue.
AMMINISTRATIVE 2022
Nell'articolazione delle realtà interessate dalla tornata elettorale di domenica scorsa, alcune tendenze possono identificarsi. Salvo ulteriori conferme che si avranno nella celebrazione dei ballottaggi e, successivamente, nell'evolversi della politica nazionale, per la quale si prepara una fase di pesantissime difficoltà: i perdenti -a livello nazionale- vorranno recuperare immagine e clientele, i vincenti affonderanno sui loro temi preferenziali.
Ora, si può dire che emergono un fattore «M», come Matteo Renzi e come Matteo Salvini e un fattore «G» come grillini.
Per la prima volta, Italia Viva paga la presenza del suo fondatore e leader, Renzi, diventato d'improvviso un fattore negativo nella competizione. Può essere che, quando si voterà nelle politiche, la sua personalità saprà tornare a essere un elemento traente. Oggi, anzi ieri, il partito di Renzi paga il conto che l'opinione pubblica presenta al suo capo, compresa l'ultima fatica letteraria, «Il mostro» che si rivela un mero «cahjer de doleance» incapace di suscitare antipatia nei confronti delle vittime del suo «je accuse» e simpatia per l'autore.
Sulla strada del ridimensionamento del consenso si è inoltrato Salvini che non conferma nemmeno i risultati del 2018 (-2%) e che non sfonda nelle isole e al centro-Sud e che ovunque viene ridimensionato. Per compiere un esame analitico degli errori (e degli orrori) dell'azione politica del leader della Lega occorrerebbero pagine di giornale. Le abbiamo segnalate volta per volta, salvo poi abbandonarle per la madornalità delle più recenti. Lunedì in Conferenza-stampa, Salvini ha affermato che conta la coesione del centro-destra. Un'asserzione banale applicabile a ogni schieramento politico che nasconde la realtà di una competizione con Fratelli d'Italia nella quale lui s'è rivelato perdente. Eppure, un caso di scuola come quello che si sta verificando nel centro-destra dovrebbe aprire un dibattito serio, in casa Lega, per capire cosa c'è che non va, a parte il leader, e per definire una piattaforma di rilancio programmatico e organizzativo. Nell'altalena del consenso leghista risulta evidente la necessità di una correzione del tiro e della comunicazione.
In ogni caso, il centro-destra va e va anche perché nel suo schieramento hanno un peso crescente (fenomeno generalizzato) i Fratelli d'Italia -rigorosamente coerenti con le proprie scelte e capaci di far dimenticare gli imbarazzanti episodi del recente passato, in particolare l'assalto alla sede romana della Cgil- e le liste civiche. Un fenomeno che non può essere trasportato nel confronto politico e che incide sulle possibilità di previsioni attendibili.
Disastrosa la performance dei 5Stelle e non solo nella città di Beppe Grillo (che, quindi, lo conosce bene). È vero che nelle amministrative la presenza dei grillini spesso evapora e si volatilizza. Ma è anche vero che nelle elezioni passate, Roma, Torino, Livorno hanno testimoniato che il movimento riusciva a realizzare una certa presa nell'elettorato in specifici contesti.
La “prova del budino” cioè del governo locale ha bocciato tutti gli esponenti del grillismo che, ormai dovrebbe avere iniziato l'ultimo suo giro di valzer, sotto la direzione di Giuseppe Conte, un poveretto che sembra capitato lì, dove è stato posto, per caso.
La conseguenza seria di questo affondamento riguarda il Pd, il suo gruppo dirigente “duro e puro”, formalmente capeggiato da Enrico Letta, cui è riferibile lo slogan elettorale -fallitissimo- del “campo largo”.
Il “campo largo” del Pd s'è ristretto e di molto. Ed è molto difficile che possa riprendere il ruolo che era riuscito ad assumere con la giravolta (il cui merito va ascritto a Renzi) della formula di governo giallo rossa, subentrata alla coalizione giallo verde.
Certo, e la storia della seconda Repubblica lo dimostra, il Pd gode di uno zoccolo duro di consensi che ha costituito la base su cui si sono costruite varie formule politiche allargate a partiti ‘amicì e alleati. L'ultima annessione si realizzò con la costituzione, appunto, del Partito democratico, sommatoria di Ds e di Margherita.
Ora, con questo gruppo dirigente, con un alleato da tempo in evaporazione, le prospettive sono scure: su di esse difficilmente si aprirà il cielo a illuminarne gli orizzonti. Non si riesce a scorgere l'attrattività necessaria per convincere un ampio pezzo dell'area centrista a votare il Pd e i suoi fragili e radicali alleati.
Inesistente il peso dei centristi: ma questo è un effetto noto e determinato dal sistema elettorale maggioritario che costringe alle coalizioni. Ci vorrebbe un'inchiesta specifica per stabilire se e quanto hanno influito sui risultati elettorali di domenica gli esponenti centristi e i relativi raggruppamenti, i partitini.
In essi, si dovrebbe contare per la creazione del «rassemblement» di cui si va parlando. Un'operazione volta ad aggregare gli europeisti italiani e coloro che si riconoscono nell'esperienza di Draghi al governo. Rispetto a essa, la consultazione di domenica ci ha detto che sarà meglio che Matteo Renzi decida di prendersi un giro di riposo, visti gli effetti del suo schierarsi.
Mesi tribolati ci aspettano, per ragioni globali, per ragioni continentali, per ragioni tutte italiane.
Chi conosce il gioco non può sottrarvisi sia per l'insufficienza del personale politico in circolazione, sia per i rischi che il «Sistema Italia» sta correndo.
Renzi -sempre lui- ha torto marcio quando chiede di trasformare l'elezione del governo del Paese in una competizione da celebrare con il sistema comunale. La riffa comunale che si vorrebbe estendere all'Italia intera sarebbe la scelta ci affonderebbe per sempre.
Le sfide però non sono perdute per sempre: c'è un 49% di italiani che non è andato a votare. Se un partito, uno schieramento o un leader riuscisse a penetrare nella loro mente con proposte e idee attrattive, convincendone una parte ad andare a votare, molte cose potrebbero cambiare non necessariamente in meglio.
Nulla è per sempre. Nemmeno l'astensionismo.
Domenico Cacopardo
La scelta del Pd
Mauro Del Bue 14 giugno 2022 L'EDITORIALE
Le elezioni amministrative non vanno confuse con le politiche. Subiscono forti condizionamenti dalla presenza dei candidati (si vota con le preferenze tanto vituperate per le. consultazioni politiche), dall'andamento delle precedenti amministrazioni e in particolare dalla popolarità dei sindaci (che vengono eletti direttamente). In Emilia-Romagna, al voto delle ultime europee, il centro-destra, con il boom della Lega, era in maggioranza, ma alle comunali che si svolgevano negli stessi giorni l'80% dei comuni è stato conquistato dal Pd più alleati. Se vogliamo scorgere nelle comunali che si sono svolte in diverse città (le più popolose Genova e Torino, ma da non trascurare Verona, Padova, Parma, l'Aquila, Pistoia, Como, Monza, Frosinone, Catanzaro, Messina ecc.) una linea di tendenza politica dovremmo tentare di metterle in relazione con gli ultimi sondaggi elettorali per verificare se il voto di ieri ne conferma la direttrice o meno. A ben guardare i risultati direi di sì, almeno in questi dati: la maggior presa del centro-destra, che perde generalmente quando si divide, clamoroso è per ora il caso Verona, rispetto al centro-sinistra, soprattutto quando la coalizione, per la presenza dei Cinque stelle, perde l'ala destra (Azione, Italia viva, e altre), la dèbacle del movimento Cinque stelle, che i sondaggi danno ancora sul 13-14 per cento, ma che dopo la botta di ieri potrebbero retrocedere di parecchio, la superiorità nel centro-destra di Fratelli d'Italia sulla Lega (se avviene anche alle comunali, dove la Lega vanta una più antica radice territoriale, alle politiche sarà ancora più accentuata), la presenza di un terzo polo che, generalmente sponsorizzato da Azione, risulta tutt'altro che trascurabile, anche se, con l'attuale legge elettorale per le politiche, che prescrive a ogni lista sul proporzionale un'opzione di coalizione sul maggioritario, un eventuale terzo polo risulterà di più difficile espressione. Davanti al Pd una scelta. O mantenere l'alleanza coi Cinque stelle, se il movimento di Giuseppe Conte non si sgretolerà prima delle politiche, o aprirsi alle forze laiche e riformiste, con Azione, Più Europa, Italia viva, mi auguro i socialisti, senza per questo rompere con Leu (se esiste ancora) e con i Verdi. Il campo largo, se solo puntato su un accordo a tre, Pd, 5 Stelle, Leu, è un campo troppo stretto. Ed è, questa, una sinistra senza centro. Un vero centro-sinistra non può che comprendere Pd, Leu, Verdi, Azione, Più Europa, Italia viva e Psi. E questa coalizione, magari con qualche frammento di Cinque stelle capitanato da Di Maio, sarebbe più competitiva nei confronti del centro-destra a trazione meloniana, sopratutto se proponesse la continuità di Mario Draghi alla guida del governo. Con questa proposta potrebbe sparigliare nel centro-destra, approfittando delle tensioni e delle disponibilità che sono state manifestate in settori di Forza Italia, ma anche nella Lega. La scelta dunque é semplice. Anche perché sarebbe davvero produttiva. Ma a volte la politica é complicata dagli uomini e dai loro interessi. Poi si lamentano perché la gente non va più a votare…