Una costituente per tutti i riformisti o un nuovo polo liberalsocialista
Io non sono in condizioni di dare consigli al Pd. Posso però, ho anche scritto un libro al riguardo, dire poche parole sulla crisi della sinistra italiana, che non è mai stata maggioranza se non alleandosi con partiti di centro (ai tempi del Pci Berlinguer aveva teorizzato il compromesso storico con la Dc). Qualcuno pensava che, finito il comunismo e con esso il Pci, si sarebbe potuto dar vita, una volta superato il cosiddetto fattore K, a un'alternativa socialdemocratica, come negli altri paesi europei. Questo sarebbe stato possibile se fosse stata accettata l'unità socialista, che il nuovo Pds rifiutò ancor prima dell'esplosione di Tangentopoli. I post comunisti non intendevano dare ragione a chi aveva ragione. Non volevano finire come si disse allora “in braccio a Craxi”. Si preferì un'altra strada. Lo stesso nome, “Partito democratico della sinistra”, appariva un diversivo rispetto alla strada maestra della unificazione della sinistra storica sulle posizioni del socialismo democratico. E la strada portò, dopo un maldestro tentativo di D'Alema di cooptare qualche socialista nei Diesse, all'obiettivo raccomandato da Veltroni e praticato da Fassino, di unificare il loro partito con la Margherita, un partito ove era sfociato il vecchio Partito popolare, costituito dalla vecchia sinistra democristiana, anche se capeggiato da Francesco Rutelli. Veltroni concepì il nuovo Pd come un soggetto americano, seguendo le sue propensioni a non considerare il sistema politico europeo come punto di riferimento. Infatti il Pd non aderì né al Partito socialista europeo, né all'Internazionale socialista. Nell'indifferenza assoluta dei valori e delle ragioni della storia il nuovo Pd preferì poi, un anno dopo la sua nascita, l'accordo con Di Pietro a quello col Ps, puntando nel contempo ad una velleitaria vocazione maggioritaria. Il primo passaggio fu una sconfitta. Vinse Berlusconi che poi governò fino al 2011. Avanti un altro. Arrivò il reggente Franceschini, ma solo per aprire la strada a Bersani che avrebbe dovuto stravincere le elezioni del 2013, smacchiando giaguari e ghepardi. Ma nel 2013 il Pd e i suoi alleati non vinsero affatto. E non riuscirono neppure a convincere i Cinque stelle a un governo del cambiamento. Arrivò l'ex sindacalista socialista Epifani. En attendant Renzi. E il Pd fu costretto a dar vita a un governo con Forza Italia e poi, anche dopo la sostituzione di Letta con Renzi, con una parte di essa, il Nuovo Centro Destra. Renzi riuscì a sfondare alle elezioni europee raggiungendo il 40% per scivolare poi sul referendum costituzionale e scendendo alle politiche del 2018 addirittura al 18%. Ma intanto Bersani, D'Alema Epifani e Speranza avevano scelto la strada della scissione fondando il MDP. Per un anno all'opposizione, il Pd si mise poi a disposizione dei Cinque stelle per evitare elezioni anticipate che avrebbero consegnato il governo a Salvini. Prima Zingaretti disse che non l'avrebbe mai fatto, poi seguì Renzi e accettò la nuova alleanza. Di lì a poco Renzi e i suoi uscirono dal PD fondando Italia viva dopo che Calenda aveva fatto la stessa cosa fondando, con Richetti, Azione. E siamo all'oggi. Renzi apre la crisi e il Pd sostiene il presidente Conte, lo difende fino al punto di lanciare la parola d'ordine “O Conte o le elezioni”. Arriva al punto di concepirlo come leader di una futura coalizione elettorale. Poi accade che la crisi non si risolva e che Mattarella incarichi Draghi di formare il governo. E il Pd, in barba a tutto quello che aveva solennemente dichiarato, si rimangia la parola e decide di appoggiare Draghi. Nel contempo Conte si propone come leader dei Cinque stelle e l'abbinata con un ex presidente sempre difeso e anzi elevato a capo della coalizione porta, secondo un sondaggio, ad una grave flessione elettorale del Pd che scivolerebbe al 14%. A fronte di tutto questo penso che servirebbe una riflessione profonda. Può un partito senza storia, senza identità, senza una piena coincidenza con gli altri paesi europei, essere ancora utile alla sinistra riformista italiana? Può un partito cosi elettoralmente permeabile, perché non suscita l'emozione di un'appartenenza, essere vincente? Può, in particolare, un partito del quale il suo segretario dice di vergognarsi, essere attrattivo? Servirebbe una vera costituente della sinistra italiana, per dotarsi di un nome uguale a quello degli altri partiti europei, di un programma di riforme sociali, ma anche civili, penso ad una grande battaglia sul tema della giustizia, a riforme istituzionali e costituzionali, penso a un presidenzialismo o a un semipresidenzialismo alla francese, ad un profondo riassetto dei rapporti tra lo stato centrale e le regioni, abrogando la sciagurata riforma del Titolo V. Se tutto questo si concluderà, come temo, con una semplice riverniciatura di una macchina ormai senza benzina e superata da altri modelli, si sarà persa forse l'ultima occasione. In questo caso ancora più indifferibile sarà la creazione di un soggetto o di un'alleanza riformista, liberalsocialista, che unisca tutte le forze in campo in questa area e si apra a quanti, anche nel Pd, vorrebbero militare in un partito senza doversi vergognare.
L'Eco del Popolo (per opzione unilaterale) non solo si offre come opportunità di rimbalzo di importanti analisi di respiro nazionale, che, diversamente, purtroppo (per i noti motivi se non proprio di ostracismo, sicuramente di oscuramento o marginalizzazione), resterebbero relegate alla sfera degli autori, degli impaginatori e di un ristrettissimo bacino di aficionados impenitenti o di compulsivi smanettoni on line, ma (riprendendo il filo dell'incipit: L'Eco del Popolo), finalizza questo rimbalzo a beneficio (si spera reciproco) del mantenimento dell'esercizio cognitivo-dialettico.
L'Avanti!, per intenderci milanese diretto da Claudio Martelli, e l'avantionline, diretto da Mauro del Bue, costituiscono una bocca di fuoco di approfondimento e di divulgazione di eccezionale valore.
Insospettabile in capo ad un retroterra frammentato e, probabilmente, polverizzato ed irricomponibile come entità di valenza identitaria e nazionale.
In dicembre, pubblicando gli editoriali “natalizi” delle due testate avevamo osservato che, sul cammino della sistemazione teorica e dell'aggregazione organizzativa del movimento socialista vennero prima le “testate”: L'Eco del Popolo di Leonida Bissolati che due anni dopo avrebbe sostenuto il compagno di banco del Liceo Manin (Filippo Turati) a dar vita a "Cuore e critica".
Insomma, per dire che la costruzione del movimento sarebbe venuta dopo la messa a punto, attraverso il lavoro propedeutico dell'analisi e del confronto/divulgazione giornalistico, come punto d'approdo.
Si sa che adesso non succede così. Quattro amici al bar o il Drago del bar del Giambellino mettono a frutto il loro talento (frequentemente molto simile alla farneticazione) capiscono l'antifona del processo di “liquidazione” dell'apparato cognitivo e della comunicazione (esasperata dalle convulsioni mediatiche). Trovano un “imprenditore” abile nelle piattaforme e si ritagliano un format difficilmente inavvertibile.
Ed ecco fatto un movimento, destinato (a dimostrazione della saldezza della capacità critica) a scalare gli audiences e a macinare performances di consenso a due cifre.
Non succedeva così a fine 800. Per fare il loro partito i Socialisti impiegarono un bel po' di tempo. Soprattutto, dovettero (o vollero) testarne la sostenibilità attraverso il lavoro propedeutico di alcune loro testate.
Quindi, L'Eco del Popolo e Critica Sociale. Poi, nel ferragosto 1892 a Genova la fondazione del PSI; che, quattro anni dopo, per chiudere il cerchio di sarebbe dotato di un organo di stampa nazionale.
Perché questo non breve preambolo (a finalità non neutre)? Semplicemente per rilevare che in quel che resta del movimento socialista italiano (di cui è impossibile dire che sia dotato di una forma partito) resta la risorsa di un diffuso apparato editoriale.
Per chi volesse immaginare un tentativo resiliente (dal generalizzato stato agonico dell'associazionismo politico di massa), si tratterebbe di una feconda precondizione. Da cui ripartire.
A condizione, però, che fosse in campo una reale volontà di armonizzazione e di convergenza delle volontà e dei progetti politici.
Del Bue sviluppa, al pari di chi scrive, un'analisi molto aderente allo stato di fatto, non solo del campo della “sinistra”, ma lato sensu della politica.
E pone opzioni non contrapposte, ma differenziate.
In tale visione strategica, l'opzione del polo lib-lab per chi scrive non è subordinata risultante dalla criticità del percorso riaggregativo di quel che resta del PSI, ma è la principale e unica, in assoluto.
Abbiamo un deposito progettuale stratosferico ed attualizzato. Per arrestare la deriva del sistema liberaldemocratico in vistosa panne e per dare futuro alla sinistra riformista.
Su questa sorta di “gestione stralcio” del PD non c'è materia di giudizi divaricati. Semplicemente si sta esaurendo per consunzione. Anche in periferia.
Evitando, comunque, di andare per semplificazioni, chiediamoci: cosa manca al campo socialista per riproporre una sua funzione nell'area che gli è naturale (che è la sinistra moderata e riformista)? Manca la "griffe", il marchio identificativo ed omologante all'esercizio politico ed istituzionale. Occorrerebbe, con la convergenza socialista, consolidare il perno fondante di quell'area lib-lab, insita nelle riflessioni di Del Bue. Purtroppo, non si vedono molti scalmanati in giro a sostenere un tale progetto.
Forse qualcosa si muove dalle parti dell'Avanti! di Milano. Dove si parla di una riunificazione talmente generica, da far temere il pericolo di un caravanserraglio destinato al deragliamento di un progetto ricompositivo, dotato di un minimo di sostenibilità.
Un progetto che, ça va sans dire, non “entusiasma” gli animi ed i propositi degli apparatniki depositari delle “prerogative” (simbolo, nome e briciole di scambio ormai in evaporazione).
Ma questi si comportano con la disperazione del bunker per difendere le piccole prebende, che ha condotto (anche sul piano della decenza) all'asfaltatura del PSI.
Nessuno che vivesse del suo e fosse scevro da calcoli opportunistici, metterebbe in cima alle sue ambizioni un progetto di OPA del micro PSI.
Che resta in mano ed in disponibilità di un oligarca, che lo gestisce ad libitum; semplicemente bloccando i meccanismi di partecipazione, di formazione degli organi, di controllo democratico.
Attraverso modalità apparentemente innocue, come il rifiuto delle tessere e dell'indizione dei congressi.
Un modulo, questo, ignominioso e desueto per la storia del socialismo italiano. Una prassi che va denunciata per favorire quanto meno il ripristino della legalità e la speranza di una ripartenza.
Che passi per la riapertura dell'accessibilità alle tessere, al commissariamento dei vertici, alla Costituente. Bisognerebbe spostare su questo progetto attivo gente come Spini, Martelli, Acquaviva, Intini, Covatta e tutti quei compagni di rilievo che non hanno buttato alle ortiche la tonaca dell'idealismo e della passione socialista. (e.v.)