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L'EcoRassegna della stampa correlata/2

Nasce il Governo Draghi

  13/02/2021

Di Redazione

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Mauro Del Bue del 12 Febbraio 2021 BlogLocchiodelbue

Nasce il governo Draghi con forte connotazione politica. I vari partiti inseriscono loro uomini e Draghi inserisce meno della metà di tecnici. Non si potrà dire che Renzi ci abbia guadagnato sul piano del potere. Solo Bonetti rientra e per di più alle Pari opportunità. Ha vinto la partita politica e questo può bastargli. Certo che il Pd che passa dal “O Conte o le elezioni” a un governo con la Lega (Giorgetti al Mise, Garavaglia al Turismo, la Stefani alla disabilità), avrà i suoi problemi. Tre ministri sono Pd (Franceschini alla Cultura, Guerini ala Difesa e Orlando al Lavoro), quattro sono dei Cinque stelle (Di Maio agli Esteri, Patuanelli all'Agricoltura, D'Incà ai Rapporti col Parlamento, la Dadone ai giovani), tre a Forza Italia (Brunetta alla Pubblica amministrazione, la Gelmini agli Affari regionali e la Carfagna al Sud), più la Bonetti (Italia viva) alla Famiglia, e Speranza, Leu, alla Sanità. E sono 15. Poi ci sono 8 tecnici nei settori dell'Economia e della Pubblica Istruzione che Draghi ha preferito tenere sott'occhio. Ottima la Cartabia alla Giustizia. Non c'è il ministero dello Sport che probabilmente farà capo alla presidenza del Consiglio. Che dire? Tanti, tanti auguri al governo di salvezza nazionale e al presidente del Consiglio. Dobbiamo crederci se vogliano salvarci. Il futuro dell'epidemia e dell'economia è incerto. Possiamo uscirne solo con l'apporto incondizionato di tutti. E soprattutto con un presidente del Consiglio stimato in Europa e nel mondo. Bisogna avere fiducia. Un governo di salvezza nazionale é un vantaggio unico che non può essere sprecato. I precedenti sono quelli degli anni settanta e dell'immediato dopoguerra. Nel primo caso, però, l'unità nazionale, dovuta alla lotta al terrorismo e alla crisi economica, era guidata da un monocolore democristiano. Nel secondo caso tutti i partiti, uniti dalla lotta antifascista, componevano un esecutivo non meno eterogeneo dell'attuale, peraltro diviso, almeno fino al 2 giugno, dalla discriminante repubblicana e poi dalla appartenenza a due mondi contrapposti. Oggi penso che il governo di (quasi) tutti possa godere di minori pregiudiziali ideologiche e di un comune senso della necessità di servire l'Italia nella sua fase più difficile. Si é fatta la migliore scelta possibile. Da molti mesi personalmente mi auguravo l'unità nazionale con al suo capo da Mario Draghi. Ci siamo arrivati. Sono contento di avere scritto, contrariamente a quello che pensavano i più, che Mario Draghi non si sarebbe voltato dall'altra parte e che pressoché tutte le forze politiche lo avrebbero seguito. E anche che il panorama politico sarebbe stato scomposto. Questo è avvenuto. Si parte per la guerra alla pandemia, per un eccellente Recovery Plan e per lo sviluppo sostenibile. Non c'è un minuto da perdere.

Non ci sarebbe bisogno neanche del titolo, tanto è evidente il richiamo al film monicelliano, più di ogni altra opera cinematografica del periodo, evocativa (fino ad entrare irreversibilmente nel linguaggio e nelle suggestioni) del senso di fine ciclo. Con il che, tanto per essere chiari, dichiariamo di non voler affrontare hic et nunc una vasta disanima su una valenza ciclica (tanto è implicita nelle cose). 

Anche se è evidente che il traguardo della crisi governativa attivata un mese fa non è da ascrivere ad una fattispecie ordinaria delle dinamiche politico-istituzionali. Ne parleremo più a lungo nel prosieguo. Ma già sin d'ora vogliamo evitare di assumere, pro bono pacis, la cattiva postura del medico pietoso (notoriamente artefice di deragliamenti clinici).  

Come argomenta Mauro Del Bue, direttore dell'Avantionline, nell'articolo di apertura di questa rubrica, “si è fatta la migliore scelta possibile”. E su ciò è difficile non convenire. Ma esortiamo ad alzare lo sguardo e a cercare di percepire che il governo Draghi sancisce la conclusione di un percorso caricato di valenza sistemica. In quanto ha manifestamente coinvolto i perni identificativi della prassi costituzionale fin qui seguita, smottati sotto il peso dell'ormai evidente incapacità di assicurare all'ordinamento un funzionamento lineare ed efficiente. Può essere accettato come percorso fisiologico la sommatoria, nell'arco di un ventennio, di due o tre governi del presidente o di emergenza e di unità nazionale, intervallati da governi per i quali non c'è stato un preciso mandato del corpo elettorale? 

Conveniamo con l'analisi di Del Bue: non c'erano alternative (che non integrassero un ulteriore degrado) all'approdo a questo governo panacea. Se fosse stato solo un problema di “governo migliore” (come aveva auspicato Antonio Polito sul Corsera) potremmo dichiarare raggiunto l'obiettivo. Anche se a minimo sindacale, anzi a minimassimo sindacale; se si considera il rating degli ultimi tre o quattro governi (in cui non parti sanamente includiamo anche quelli di centrosinistra). 

È pur vero che modelli istituzionali, più collaudati di quello italiano, hanno mostrato, insieme alle vistose brecce nella tenuta dell'intelaiatura comunitaria, qualche impasse. Ma il default dell'impianto liberaldemocratico del nostro Paese ha messo a nudo vistosi elementi di disassamento. Quale l'ormai certificato disassamento dell'associazionismo politico di massa, che per mezzo secolo ne fu l'architrave (per di più aggravato dall'illiquidimento del pensiero politico), la rarefazione dell'etica civile, la crescita esponenziale del trasformismo (funzionale ai percorsi emergenziali), il quasi irreversibile declassamento della qualità della classe dirigente, il pervicace rifiuto di affrontare organicamente l'efficientamento dell'ordinamento istituzionale. 

Chiudere questa fase con l'ingaggio di civils servants di indubbio maggior rango apre quanto meno una speranza. Impiccarsi ad aspettative miracolistiche, prive di un indispensabile aggancio alla realtà, non farebbe altro che avvitare la crisi sistemica. 

Ma, come premesso, non vorremmo parlare di questi aspetti generali. 

Ma quel tutti a casa ha una valenza più circoscritta. Riguardo lo stato dell'arte del socialismo italiano. Ne abbiamo già parlato in precedenti riflessioni. Con le quali, tra l'altro, abbiamo dato vita alla “lavagna”, concepita come una sorta di pannel espositivo, capace di attivare un accesso sinergico alle testimonianze socialiste, ancora attive. 

Fino a qualche settimana fa avevamo accarezzato l'idea di uno sforzo di armonizzazione e convergenza. Per il quale controfattualmente era ed è auspicabile un'inversione nella tendenza che ha portato alla polverizzazione di testimonianze, minoritarie ma diffuse. 

Neanche cuori indomiti e stomaci forti come quelli di cui disponiamo appaiono sufficienti ad avere reale contezza dell'indotto provocato dalle recenti opere dell'unico socialista presente nei consessi parlamentari. Si deve a lui se il piccolo, ma giustificato e dignitoso PSI è approdato al nulla ed alla perdita totale del diritto di tribuna. 

Non si può certo rampognare la liofilizzazione del PSI come partito di massa, senza tener conto del processo generale di polarizzazione dei contenitori associativi. Ma il PSI, prima di Boselli e poi di Nencini, era diventato sempre più piccolo nella logica di contrasto preventivo a qualsiasi, diciamo, OPA. Intendendosi qualsiasi, si sa mai, progetto volto ad ampliare la platea degli aventi causa nella definizione delle linee politiche e della selezione degli organi dirigenti, ad ogni livello. 

Sia mai; è restato e doveva restare una piccola entità, impenetrabile all'allargamento della platea dei militanti ed impermeabile agli impulsi di ricerca di strade di resilienza. 

Le recenti performances di un leader autoreferenziale, che lo hanno maldestramente visto inforcare (con gesti sconcertanti) la direzione opposta a quella che avrebbero preso gli eventi, hanno avuto la conseguenza non solo di privare il campo socialista di spartito e testo per affermare il proprio ruolo di testimone del pensiero liberalsocialista, ma, soprattutto, di confinarlo nella dimensione dell'impronunciabilità. 

Destino strano questo. Proprio adesso che molti appiccicano sulla divisa del premier le mostrine di liberalsocialista e contemporaneamente scivola via l'unica testimonianza titolata a rappresentare questi valori! 

Di positivo c'è che, in controtendenza con questa immane epilogo (che andrà rimosso) del “tutti a casa”, sopravvivono e si potenziano in una dimensione prevalentemente territoriale segnali di presenza socialista. 

Ne sono una prova il nuovo Avanti! dell'edizione milanese diretta da Martelli e l'Avantionline diretto da Del Bue. In aggiunta ad altre testate e presenze associative di ispirazione socialista. 

Occorre ripartire da qui. Per rispetto dei militanti la cui vita non traccheggia tra la prima e la seconda “chiama”. Nella consapevolezza che l'ideale socialista ha ancora qualcosa da dire alla società.

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