L’ECOPOLITICA L’analisi dei socialisti sulla situazione politica alla luce dei risultati elettorali
Ovviamente, si capirà, nella lettura dei socialisti. I quali, nell’imminenza dell’election day di domenica 26 avevano, in difformità della direttiva nazionale del PSI, espressamente invitato ad un voto per la lista italiana espressione dell’appartenenza al PSE.
L’esito, con il fallimento del quorum della lista Bonino, fornisce più di un elemento di riflessione a riguardo dell’evitabilità della dispersione del voto.
Su tale valutazione si innesta coerentemente la scelta di continuità di un indirizzo che non può non mantenersi per il futuro aderente, soprattutto considerando il momento di marginalizzazione degli equilibri che hanno consentito il processo unitario europeo ed un lungo periodo di pace, stabilità, sviluppo e benessere, ai cardini del socialismo liberale, laburista, riformista.
Negli attuali contesti contraddistinti dalla tendenza ad imputare esclusivamente ai tradizionali movimenti l’origine e la conseguenza dei cambiamenti indotti da una globalizzazione sfuggita al controllo della politica riformista ed ai poteri istituzionali, sovrannazionali e nazionali, deve crescere la consapevolezza che la sinistra riformista non reggerà il confronto con un quadro significativamente influenzato dall’apparire e dal consolidarsi da forse inaspettatamente nuovi movimenti, specie della Lega in Italia, rivelatisi alla distanza capaci di plasmare il senso comune degli italiani ed, in particolare, dei ceti sociali e delle culture un tempo appartenenti al vasto bacino della sinistra.
Il loro venir meno non data recentemente, bensì ascende all’inizio del percorso intrapreso dal movimento post-comunista, in Italia pervicacemente impermeabile alla prospettiva di un approdo al pensiero riformista, laico, progressista della socialdemocrazia.
Sparite le grandi fabbriche, che assicuravano un vasto bacino occupazionale, e venuto meno il ruolo delle grandi organizzazioni sindacali, i lavoratori sono costretti a convivere con disuguaglianze crescenti e lavori incerti impalpabili.
Non v’è chi non veda l’urgenza per i movimenti di ispirazione lavorista e riformista di scandire l’esigenza di una forte discontinuità col capitalismo selvaggio, motivato dalla massimizzazione dei profitti a scapito di eque retribuzioni ed alimentato dalla rivoluzione tecnologica, che se non governata può spingere verso relazioni sociali estreme. Il progetto della socialdemocrazia deve partire inequivocabilmente e prioritariamente dalla ricerca di nuovi equilibri socioeconomici, come base di un assetto civile che ridia sicurezza e dignità civile a tutti.
In questo senso la Comunità Socialista auspica che tale sforzo di analisi e di elaborazione progettuale veda l’impegno di tutte le culture e le sensibilità di una sinistra, capace di essere inclusiva sul cardine della scelta strategica del riformismo.
In merito ai risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, i socialisti registrano, unitamente alla permanenza ad una tendenza continentale punitiva nei confronti delle forze cardine del sistema, non già, come qualcuno interessatamente sostiene, un’inversione della tendenza, ma sicuramente un arresto della marginalizzazione.
Il consenso all’area di centro-sinistra, infatti, non indica un recupero, semplicemente dice sulla base numerica che il PD, al di là dei valori percentuali fuorvianti per un’analisi serie e fattuale, che non c’è stata la slavina.
Il PD a trazione del nuovo assetto post-renziano non ha recuperato se non in minima parte gli zero virgola sottratti dagli scissionisti; ma quel che è più grave non riesce a recuperare la cospicua massa di consensi, in precedenza calamitata dal populismo di sinistra del M5S e recentemente refluita verso il populismo tout court di Salvini.
Il centro-sinistra deve uscire dall’autoreferenzialità e dall’autoipnosi esercitate dal dogmatismo del passato, prendendo consapevolezza dei fenomeni che hanno contribuito ad emarginarla, a principiare dal ripudio dell’abitudine di svilire, quando non di demonizzare, l’avversario da cui è messa in sofferenza a causa della maggiore capacità di penetrazione del messaggio.
In merito alla centralità della questione migratoria, il centro-sinistra non deve assolutamente operare una conversione ad u convergendo anche in parte sulle posizioni preclusive. Perché, in tal caso, le fasce di opinione non totalmente omologate preferirebbero l’originale. Bensì deve prendere atto della non sostenibilità, sul terreno sia dell’azione di governo che del riscontro elettorale, della formula dell’accoglienza indiscriminata e senza limiti testimoniata e permessa dal ciclo governativo del centro-sinistra. Similmente, sulla questione della sicurezza, fortemente incardinata nell’offerta politica populista, non può limitarsi a definire fascistoidi e razzisti coloro che abilmente la sfruttano elettoralmente.
Il tema della sicurezza, sensibilmente avvertito specie dai ceti meno difesi, deve essere affrontato dalla sinistra come elemento reale di una resilienza sociale e civile, in grado di assicurare un diffuso senso di condivisione comunitaria.
Per quanto si riferisce all’andamento elettorale locale, nessuno può responsabilmente sfuggire alla incontrovertibilità dei numeri. Sulla provincia, che in passato fu matrigna con i movimenti populisti, il 26 maggio è calata un’onda lunga che disassa i vecchi equilibri sul territorio “rosso”.
Se si eccettua l’isola del capoluogo e di qualche circoscritta realtà, il responso del voto “politico” conduce la sinistra ad un quasi uniforme rating minoritario.
Il dato risulta migliorato (ma non uniformemente) nelle realtà in cui il centro-sinistra si è presentato nelle vesti di “civismo” riformista.
Condizione questa, per alcuni aspetti ravvisabile nella fattispecie dell’andamento del capoluogo, il cui esito è affidato al turno suppletivo.
Per quanto mai organicamente appartenuta all’asset che da un quarto di secolo ha amministrato Cremona, i Socialisti alla vigilia del voto, aveva orientato i propri riferimenti ad un voto favorevole alla giunta uscente. Nei confronti della quale avevano operato fin dai tempi delle primarie di coalizione e per i cinque anni successivi, oltre che una netta distinzione sul retroterra teorico/pratico del civismo di sinistra anche corpose riserve sul progetto gestionale.
Donde consegue il mantenimento delle ragioni sia di una visione laica del potere istituzionale sia dell’ancoraggio di qualsiasi progetto amministrativo alla conoscenza della storia istituzionale della Città, alla profondità strategica delle scelte coerente con la vocazione e con una fattuale lettura del contesto, alla ricerca permanente di una visione di interdipendenza dei livelli istituzionali e di coesione comunitaria, sul piano politico e della rappresentanza culturale, sociale ed economica. Una visione che induce, per essere chiari, a dire che le città non si amministrano con gli slogans.
Per quanto privi di ruolo nella variegata alleanza che ha gestito per cinque anni il Comune e che oggi si ricandida a governare, i socialisti rivolgono ai propri aderenti a valutare una gestione che, al di là degli eccessi comunicativi e a non apprezzabili posture, può essere considerata meritevole di una continuità.
A patto che riveli nel lasso che ci separa dalle urne del 9 giugno una capacità di rettifica su alcuni aspetti nodali. Il primo riguarda l’obbligo di circostanziare prima del voto ai propri elettori cosa il candidato Sindaco intenda per conferma della squadra. Se tale circonlocuzione sottende la riproposizione sic et simpliciter dell’assetto uscente (a cominciare del duplice ruolo di Sindaco e di assessore alla cultura) e non, come sarebbe più opportuno, una profonda ridefinizione dei criteri ispiratori e la ricerca di contributi esterni ad equilibri spartitori, è bene saperlo.
Analogamente, i Socialisti indicano la necessità di correggere la linea progettuale attorno a questioni nodali quali: l’assenza di visione per il raccordo di un ruolo del Capoluogo nella dimensione quanto meno comprensoriale; una più accorta politica urbanistica che faccia giustizia della sistematica adesione al mutamento di destinazione d’uso dei suoli a beneficio della grande distribuzione; politiche culturali indirizzate a reali consumi culturali e non spesa quasi esclusivamente destinata al mantenimento di un teatro comunale che persegue ben altre priorità; politiche dell’ambiente, della mobilità, della vivibilità che abbiano come progetto la preservazione dell’ambiente e l’elevazione della qualità della vita e non discendano da visioni dogmatiche e da aggregati gestionali di stampo dirigistico.