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Sinistra Italiana e questione So...(bip)

L’abbrivio dell’analisi parte da un titolo mutilo, se non addirittura ingannevole.Vi immaginate se avessimo titolato “sinistra italiana e questione socialista”?

  01/11/2015 14:47:00

A cura della Redazione

Sinistra+Italiana+e+questione+So...(bip)

Come minimo avremmo azzerato l’aspettativa di coinvolgere nel nostro ragionamento la platea di coloro che, pur teoricamente interessati a confrontarsi sulle attuali criticità della sinistra italiana, sono portati a cambiare compulsivamente pagina ogniqualvolta si imbattono in quel termine, assurto a paradigma di ogni nefandezza.

Calma e gesso! Non vogliamo (giurin giuretta) alimentare in alcuno modo il rovello recriminatorio del destino (potenziato dalla manina giustizialista) cinico e crudele che ha abrogato il più antico movimento della sinistra italiana. Soprattutto, non vogliamo farci portatori di una rinascita, dalle ceneri o da quel pochissimo che resta, del modello di movimento che fu l’ultimo segmento della lunga parabola del socialismo italiano. Per intenderci del corso cr… (ri-bip); considerato dagli “estimatori”, contemporanei e pregressi, il peggio del peggio.

E non facciamo ciò per un capzioso istinto di marketing editoriale o per la convinzione che le elaborazioni del corso riformista (dalla seconda metà degli anni 70 alla fine di quelli 80) non possano costituire quanto meno elemento di riflessione. Per chi si accingesse ad attingere qualche vago ingrediente dalla teoria del socialismo democratico per la remuntada dai disastri in cui si è ficcata la sinistra.

Quando poco meno di un ventennio addietro, pressati dai richiami della camaraderie, ci presentammo (senza tante illusioni, però) al congresso “rifondativo” del Nuovo PSI, ci fu somministrata la garanzia che il titolare del “ghe pensi mi” ne sarebbe stato la levatrice. La prova? In aggiunta all’alleanza strategica con Bossi, Fini, Casini e le comparse minori della composita compagnia di giro della destra, avrebbe riportato nelle aule parlamentari la vessata dirigenza di Via del Corso 476, sopravvissuta al suo leader. In realtà il cavaliere cannibalizzò l’elettorato socialista ed attinse dalla nomenclatura quadri utili a rimpolpare il suo movimento leaderistico.

Sull’altro versante, si può osservare, decisamente non migliore fortuna (di irrilevanza nella contaminazione della fase nuova con il bagaglio dei trascorsi socialisti) è toccata a coloro che vent’anni fa rinvennero nella Cosa dalemiana le suggestioni e lo stimolo per continuare la testimonianza di sinistra.

Altri restarono in una casa socialista mutante (nelle denominazioni e nelle incorporazioni scandite dall’imperativo di non sparire).

Bisognerebbe chiedere agli epigoni dell’ultimo ciclo come mai i rimandi al pensiero socialista abbiano ceduto fino a farsi uniformare negli standards del pensiero liquido e dei movimenti superleggeri.

Sarebbe stato diverso il destino dei socialisti e del PSI, se il gruppo dirigente non si fosse (politicamente ed organizzativamente) sfaldato, se (anziché indirizzarsi ad un simbolico esilio) avesse continuato ad essere riferimento (almeno morale) dei militanti e dell’elettorato, se avesse osato aprire un serrato fronte dialettico coll’ ircocervo mutante PDS, DS, PD, il cui abbandono della cultura politica di sinistra era destinato ineluttabilmente ad aprire praterie di contraddizioni e di opportunità (per chi avesse voluto coglierle)?

Ma il tandem Boselli/Villetti, per un quindicennio a capo di tutte le start up il cui core businnes fosse la garanzia di un diritto di tribuna, più personale che ideale, decise che alla mission di rifondazione del socialismo italiano bastasse qualche seggio alla Camera ed al Senato, qualche assessorato.

E, pur nella consapevolezza che la rifondazione non sarebbe stata comunque un pranzo di gala, riteniamo che qualsiasi pur sincera volontà di non ammainare la rappresentanza del socialismo riformista avrebbe avuto qualche problema a resistere alle conseguenze, da una parte, del generalizzato abbandono delle basi ideali e, dall’altra, dalla più o meno rassegnata accettazione del prevalere del potere economico sul potere politico.

L’ultima chance per l’azzardo di dare una risposta socialista alla crisi della sinistra italiana, fu la Costituente socialista del 2007. O il suo tentativo, con cui le sparse fronde socialiste, alla convention di Bertinoro, dichiararono la volontà di misurarsi attorno ad un progetto condiviso: riportare nel sistema politico italiano non solo le istanze degli orfani dell’abrogato PSI, ma un inedito schieramento comprendente voci qualificate della componente “migliorista”, decisamente recalcitrante a farsi arruolare nel progetto del PD. La perdita del “trattino” tra centro e sinistra avrebbe rappresentato, infatti, qualcosa di più della conclusione di quel processo di armonizzazione e di convergenza, che, partendo dalla Bolognina, dopo aver collaudato (non sempre con successo) i meccanismi del maggioritario, avrebbe condotto i segmenti trainanti dell’esperienza dell’Ulivo all’annullamento delle preesistenti identità.

D’altro lato, i successivi snodi si sarebbero incaricati di dimostrare che mai e poi mai il post-comunismo italiano abbia avuto la benché minima intenzione di approdare, magari con contributi e profili originali, alla cultura politica della socialdemocrazia.

 Il fatto che, per l’adesione al PSE, occorresse una leadership di provenienza democristiana la dice lunga sulle renitenze post-comuniste ad un approdo, anticipato persino da molti partiti post-comunisti operanti in nazioni per un cinquantennio ristrette nella cortina di ferro. Tale tardivo sbocco, in ogni caso, non accredita la metamorfosi dell’aggregato post-comunista e post-democristiano in senso socialdemocratico.

Saltiamo tutte le pagine relative agli ormai sette anni che ci separano dalla costituzione del PD, per limitarci alla incontrovertibile constatazione che questo format, se corrisponde ai contorcimenti degli orfani di Togliatti e di Berlinguer, inequivocabilmente lascia un vuoto nella sinistra italiana. E fa di essa, rispetto alla tradizione politica europea, una vistosa anomalia; come anomala fu per oltre mezzo secolo l’egemonia esercitata su di essa dal più grande partito comunista d’Occidente.

E per sdrammatizzare un po’, osserveremo che la sinistra italiana, questa sinistra italiana, deve, in termini di smarrimento, essere messa decisamente male se uno dei suoi mostri sacri, quella Sabrina Ferilli che aveva promesso di denudarsi a scudetto rosso-giallo conquistato, oggi amaramente commenta: “La mia sinistra non so bene dove sia finita. Forse in Grecia, in Spagna, o adesso nei laburisti inglesi”.

D’altro lato, il timoniere del nuovo corso democrat, il cui profilo continua a non suscitare in noi fondati motivi di riconsiderazione, sta mettendo in serio imbarazzo i recalcitranti ad una linea di innovazione. Che, spaziando tra le riforme istituzionali ed amministrative (condivisibili, ma con qualche riserva) e la modernizzazione del sistema-Italia (questa, invece, da rimodulare in termini di maggiore aderenza ai valori ed ai principi di giustizia sociale), taglia decisamente l’erba sotto i piedi ai detrattori interni ed esterni. Sedicenti testimoni di un benaltrismo che finisce di fare il verso al mai sopito codice genetico del massimalismo. Che, almeno nei proclami, connotò la parabola del PCIdalla scissione di Livorno alla caduta del Muro.

Ma questa ostilità, ferma restando la nostra allergia nei confronti del talento che ha messo nel sacco “la ditta”, induce sempre più a pensare che l’impronta conservatrice del PCI si riverberi, paradossalmente, anche nella circostanza e nelle modalità di opposizione al leader-premier.

Che assomiglia piuttosto ad una guerriglia, interna al PD e nelle sedi parlamentari, che, ancorché difficilmente diretta all’obiettivo principale di modificare la linea, è diretta al logoramento del leader/premier. Trattasi di illusionpolitik bella e buona.

Che porterà alla chiusura definitiva la “ditta” e consegnerà all’inisgnificanza tutti coloro che nel PD avvertono l’impulso di una più decisa armonizzazione non solo alla cultura politica della socialdemocrazia, quanto alla ricerca dei percorsi per aggiornare le risposte della sinistra ai consistenti mutamenti intervenuti negli ultimi due decenni.

È innegabile il fatto che anche la sinistra europea sia in difficoltà rispetto agli scenari profondamente modificati dalla globalizzazione. Che ha demolito vincoli e confini. Dalla finanziarizzazione, che prevale sull’economia produttiva e che detta le regole anche alla politica. Dall’ostracismo decretato dal combinato dei due precedenti fattori nei confronti del welfare, espressione dell’equilibrio tra politica e capitalismo.

Apoditticamente, il politologo usa Fareed Zakaria politologo usa, fotografa: “La sinistra democratica europea è allo sbando. Rilanciare il suo patrimonio di valori e di idee, i suoi progetti di modernizzazione del modello economico e sociale europeo. Ha perso la voce e persino la testa per pensare, soprattutto quando è al governo. Rilanciare una crescita sostenibile, capace di produrre occupazione, senza mettere in discussione il mercato né i bilanci statali. Dietro la socialdemocrazia c’era un pensiero articolato, attento non solo ai problemi ed alle soluzioni, ma anche valori e principi” 

E.V.

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Foto n.1: Sabrina Ferilli

Foto n.2: Paolo Carletti e Virginio Venturelli

 

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