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Tamoil: e mo’!? necesse un approfondimento, utile alle consapevolezze ed all’azione (2° parte)

“Mi sembra opportuno puntualizzare, con modestia ,sul caso “Tamoil”e più precisamente sulle medaglie d’oro da attribuire. I politici non colgono spesso la differenza tra la funzione pubblica e quella privata, che, quasi sempre, tendono a sottovalutare.

  17/03/2019 11:54:00

A cura della Redazione

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L'ECODOSSIER Tamoil: e mo’!? necesse un approfondimento, utile alle consapevolezze ed all’azione (2° parte)

 “Mi sembra opportuno puntualizzare, con modestia,sul caso “Tamoil”e più precisamente sulle medaglie d’oro da attribuire. I politici non colgono spesso la differenza tra la funzione pubblica e quella privata, che, quasi sempre, tendono a sottovalutare.

Gino Ruggeri,come ormai è noto a tutti,costituendosi parte civile nei riguardi della Tamoil,ha rischiato personalmente,senza avere nessun tornaconto e senza aspettarsi nessuna gratificazione,ma solo nell’interesse della collettività. Oreste Perri,e ne parlo con amicizia ed affetto, ha agito all’interno della sua funzione e carica pubblica, senza rischi e conseguenze personali,se pur con molta capacità e diligenza nel condurre una trattativa estremamente delicata per salvaguardare i lavoratori,ma era ciò che,per la sua mansione pubblica,i cittadini si aspettavano. Il suo impegno con la Tamoil nella trattativa a salvaguardia dei lavoratori,non avrebbe impedito,legalmente,che il Comune si fosse costituito anche parte civile. Comunque,grande merito e riconoscenza,ma non gli va attribuito la stessa onorificenza di Gino Ruggeri. L’azione intrapresa da Gino Ruggeri ci porta anche a riflettere che è doveroso ed estremamente importante proteggere i posti di lavoro, senza, però, sottovalutare la nostra salute. Una riflessione su Taranto è d’obbligo. Ritengo che coniugare il lavoro e la salute,o meglio,la morte,non è certo di facile soluzione,ma è ormai indispensabile affrontare,con priorità,l’enorme problema.”Giorgio Mantovani -

Il contributo pervenutoci da Giorgio Mantovani (che non è solo un amico ed il Presidente della Società Filodrammatica, ma che è anche uno stimato professionista ed attento osservatore) aggiunge stimoli a guardare agli sviluppi della vicenda Tamoil. Al di fuori degli stereotipi di maniera, che si sono incagliati sulla questione della medaglia (o delle due medaglie) ed in quella sorta di auto appagamento che può diventare il traguardo dell’azione civile fin qui promossa. In merito abbiamo anticipato nel precedente articolo il nostro punto di vista. Rispetto al quale non abbiamo nessun motivo per aggiungerci alle schiere di coloro che, sulla vicenda, si sono messi a guardare il dito e non la luna. Svilupperemo un ulteriore approfondimento. Non prima, però, di aver dato conto di due iniziative, che meritano di essere richiamate.

Incontro tra la delegazione del Comitato per il riconoscimento a Gino Ruggeri ed i capigruppo consiliari

Come prevedibile, ma non esattamente scontato, l’iter per il conferimento della medaglia al merito all’encomiabile cittadino, che rappresentò Cremona come parte civile al processo versus la Tamoil, ha tratto impulso e certezze da una serie di incontri avvenuti in sede istituzionale. Ravelli, Melega e De Rosa sono stati ricevuti dal Vice-sindaco Maura Ruggeri e dal Presidente del Consiglio Comunale Simona Pasquali. Successivamente la stessa delegazione ha incontrato i capigruppo, in vista della seduta del Consiglio Comunale, che, prima della chiusura del mandato, compirà un gesto civile molto edificante e simbolio. Quale sarà il riconoscimento della Medaglia d’oro al merito. Su cui si è registrato, cosa non ricorrente nel corso della consiliatura, l’unanime consenso di tutti i gruppi (PD, Misto, Forza Italia, M5S, Lega, Fare Nuova la Città). Abbiamo, in proposito, chiesto a Sergio Ravelli, che ha partecipato agli incontri in sede comunale e che, in questi anni, è stato il motore dell’iniziativa di denuncia e di sensibilizzazione nei confronti dell’affaire Tamoil, un commento in merito agli approdi dell’iniziativa. Che, di seguito, pubblichiamo. Il caso Tamoil, epifenomeno del caso Italia di S. Ravelli L'epilogo di oggi è figlio di una lunga lotta durata oltre trent'anni, condotta da un manipolo di radicali che con forza, determinazione e competenza hanno saputo essere protagonisti e determinanti nella difesa dei diritti di un'intera comunità. Mai come in questo caso risulta perfettamente calzante il motto del filosofo francese Henri Bergson citato spesso da Marco Pannella: “La durata è la forma delle cose”. Ma il 'caso Tamoil' non si chiude con la sentenza definitiva emessa dalla Corte di Cassazione. Restano ancora da scrivere alcuni importanti capitoli di questa incredibile saga in salsa italiana. Molte incognite e pesanti interrogativi gravano sulla comunità cremonese. Quale sarà il destino del sito Tamoil, un'area di oltre 750 mila mq. situata a ridosso del parco del Po? Per quanti anni ancora la società libica manterrà attivo il polo logistico? Di conseguenza, in presenza di questa residuale attività industriale, sarà possibile imporre alla Tamoil la bonifica anche solo parziale del proprio sito? Ancora, il Ministero dell'ambiente, finora totalmente assente, sarà parte attiva nell'azione civile per rivendicare i giusti e consistenti risarcimenti per i danni ambientali causati dalla raffineria? Sono queste le problematiche ancora aperte che potranno essere risolte positivamente solo se l'intera comunità cremonese sarà coinvolta e avrà voce in capitolo nella vicenda. L'azione di pochi, "pazzi" radicali non può più bastare. Nel maggio 2015 è stata approvata, con grave ritardo rispetto ad una precisa direttiva europea, la legge n. 68 sui reati ambientali. Sicuramente il processo a carico dei singoli manager Tamoil avrebbe potuto essere molto più incisivo in presenza delle norme della legge 68, soprattutto se applicate nei confronti della società Tamoil in quanto tale. In ogni caso, quando si è costretti ad applicare una legge pur importante come quella sugli eco reati spesso è troppo tardi, il danno è già stato fatto. Anche in ambito ambientale prevenire è meglio che punire, perché i danni arrecati sono difficilmente reversibili. Come ha giustamente rilevato il giudice Guido Salvini, "spetta innanzitutto alle autorità politiche e amministrative esercitare la loro opera di prevenzione e di controllo. Prevenzione e controlli che sono clamorosamente venuti meno nel caso Tamoil". Si pensi al ruolo, disastroso, svolto nella vicenda dal dipartimento di Cremona di Arpa Lombardia. Nel corso del processo sono emerse tutte le gravi carenze di questo ente istituito, appunto, per la protezione ambientale. La fotografia scattata nel corso del lungo procedimento giudiziario è impietosa ma veritiera: "I dirigenti sono di nomina politica e sono un'arma spuntata. Le verifiche vengono sempre effettuate in contraddittorio con l'azienda. Si aggiunga la poca professionalità, la poca percezione della realtà, la poca conoscenza delle problematiche riguardanti i grandi impianti industriali, il ritardo nell'avviare le procedure amministrative, la sudditanza rispetto alle problematiche economiche ed occupazionali dell'azienda". Un'ultima considerazione. Cremona e la Tamoil sono soltanto un epifenomeno. L'Italia è piena di casi simili. Taranto e l'Ilva è l'Italia, Napoli e la terra dei fuochi è l'Italia, Genova e il ponte Morandi è l'Italia. Nel caso Tamoil è accaduto che un manipolo di militanti del Partito Radicale è riuscito a "giocare alla democrazia" ovvero è riuscito a costringere le squadre in campo (istituzionali e non) a fare il proprio dovere, a svolgere il proprio ruolo nel rispetto delle leggi vigenti. A volte capita che il piccolo Davide riesca a sconfiggere il gigante Golia. Ma quasi sempre capita l'opposto.

Per questo è tempo che le comunità locali rialzino la testa contro ogni forma di inquinamento, da quello ambientale, più evidente, a quello economico, sociale e politico, più difficilmente disvelabili. Questo sarà possibile solo se sarà restituito ai cittadini, che sono le principali vittime dei tanti disastri ambientali sparsi nel nostro paese, il diritto alla conoscenza, dal quale scaturisce uno dei principi di base che connotano uno stato liberale: il conoscere per deliberare. Anche a partire dalla conoscenza di questa "storia inquinata". -----

 

Nella stessa giornata, in cui sono avvenuti gli incontri di cui abbiamo detto, si è svolta una seguita conferenza organizzata dal Circolo cremonese di Lega Ambiente e focalizzata sul tema “Il caso Tamoil di Cremona: dal disastro ambientale al risarcimento dei danni”. I lavori sono stai introdotti dal presidente del Circolo, Pier Luigi Rizzi e dal Responsabile del Centro di Azione Giuridica di Legambiente Lombardia, avvocato Sergio Cannavò. Il pannel della seguita riunione prevedeva, oltre all’intervento dell’Assessore Comunale Alessia Manfredini, la messa in campo della squadra dei legali che si sono fatti carico in sede giurisdizionale dell’azione intrapresa da un gruppo di soci appartenenti ad alcune società canottieri. Gian Pietro Gennari, Claudio Tampelli, Annalisa Beretta e Alessio Romanelli, Vito Castelli. Diciamo subito che lo sviluppo del dibattito ha completamente corrisposto l’aspettativa di chi scrive e (cosa che conta molto di più) del settore “specializzato” di opinione pubblica, interessato ad essere particolareggiatamente edotto soprattutto sugli snodi giurisdizionali della vicenda. Tutti bravi i protagonisti della conferenza. Ma, in particolare, va dato atto al contributo dell’avv. Gennari e dell’avv. Tampelli, che, avendo seguito sin dall’inizio e per tutto il percorso legale, hanno fornito un quadro completo e dettagliato (anche nei suoi risvolti tattici) di una encomiabile resistenza civile. Che, diversamente, si sarebbe infranta sugli scogli della endemica indifferenza, dell’inazione, della stima dei pericoli derivante dalla constatazione della soverchiante dell’avversario. Premettiamo che l’iniziativa legale, destinata ad aggiungersi alla costituzione di Gino Ruggeri, che ha fruttato, in aggiunta alla consapevolezza di aver fatto una cosa giusta dal punto di vista della testimonianza civile, poco più di 300 euro alla trentina di soci delle Canottieri Bissolati e Flora, riguarda uno dei profili della complessa questione. Certamente di non trascurabile importanza, ma, ad avviso di chi scrive, non l’unico e comunque conclusivo della vicenda. Volendo essere stringati, diremo che la sentenza ottenuta dal pool dei valenti avvocati cremonesi presenta un aspetto suscettibile di influenzare la giurisprudenza in un ramo in cui c’era e ci sarebbe molto da costruire sul terreno della certezza dell’autodifesa civile. Soprattutto, in materia di tutela dell’ambiente e della salute. Come si sa, i “poteri” sanno difendersi da par loro e ricorrono a bocche di fuoco difensive, rispetto alle quali l’area dei cittadini danneggiati, singoli o collettivi, si muove in salita. Da tale punto di vista, va aggiunto che la difesa della raffineria inquinante le ha provate tutto. A cominciare dal tentativo di accreditare una discontinuità tra le varie gestioni (Camangi fino al 1949, Raffineria Italia fino al 1954 e Amoco e Tamoil, successivamente fino ai tempi nostri); che, se provata, avrebbe messo in carico a quelle più remote (e, per giunta, guarda caso, non perseguibili, per prescrizione processuale e per avvenuta cessazione della ragione sociale) le imputazioni ed i risarcimenti. Si deve, hanno precisato Gennari, Beretta e Tampelli, alla fattiva collaborazione degli agenti di polizia giudiziaria se il castello delle tesi temerarie e delle ricostruzioni aziendali ad usum delphini è stato accartocciato dalla fattualità delle controdeduzione delle indagini e dalla sintesi della parte civile. Fermo restando che non c’è nessun intento di azzardare parallelismi, come Al Capone fu beccato per evasione fiscale, il management Tamoil soccombe in giudizio a causa dell’inceppamento delle incongruenze emerse dall’approfondito esame dell’autodenuncia presentata nel 2001 e della loro confutazione in sede processuale, per una marachella marginale. Che, visti i risultati, deve aver decisamente convinto il giudice. La banana, su cui è caduto l’impianto difensivo, è rappresentata dalla reticente (per non dire, controfattuale) comunicazione dell’azienda in ordine agli affidamenti circa l’inesistenza di presupposti inquinanti, da una parte, e, dall’altra, dalla messa in campo della normale diligenza. Così, come dimostra la sentenza, non fu; considerato che è stata letteralmente smontata la tesi secondo cui le percolanti sostanze inquinanti avrebbe interessato solo l’area aziendale (e non quelle circostanti). Conseguentementeì ai trenta canottieri comparenti il giudizio ha riconosciuto il danno derivante dall’aver frequentato le strutture e l’area associativa, significativamente interessate alle conseguenze inquinanti, nella presunzione, dedotta dalle rassicurazioni, di vogare, giocare a tennis, bagnarsi in piscina (in acqua interferita, forse, da comuni emunzioni da falda), abbronzarsi in un contesto sostenibile.

La sentenza, si diceva, farà sicuramente giurisprudenza anche fuori Cremona; perché, andrebbe ricordato, la nostra città non fu l’unica ad essere “privilegiata” dal contatto con la presenza del petrolchimico. Nei tempi brevi, però, la sentenza è destinata ad un impulso bandwagoning. Che, diciamo subito, non deve essere percepito in termini di disvalore. Perché non solo è lecito, ma anche auspicabile che le migliaia di soci, organizzati dalla Società basate sul Po, organizzino ed estendano questa sacrosanta act. D’altro lato, i relatori hanno assicurato, la società, che è malandata e ridimensionata e, soprattutto, non è più la potenza di un tempo (fino ad indurre i soggetti intermedi comunitari alla prostrazione da piattino in bocca), “ha capienza”. E, anche se fossero un migliaio gli ulteriori comparenti, a colpi di 300 euro a cranio, verrebbero soddisfatti. In questo senso azzardavamo che l’approdo non è di trascurabile importanza, ma non l’unico e comunque conclusivo della intera vicenda, giurisdizionale e politico-istituzionale. Premesso che gli effetti del percolamento da macchinari, impianti, condutture, tali, tanti e assolutamente costanti da far pensare ad una sorta di groviera, hanno riguardato un quadrante a monte dello stabilimento, cosa che in teoria, secondo la tesi difensiva (scardinata dalla parte civile e dal giudice), non avrebbe dovuto danneggiare le aree poste, come le canottieri a valle, pare giunto il momento di porre qualche domanda. In primis, siffatta collocazione esime dall’obbligo di rispondere delle responsabilità di danni provocati a valle? Al fiume, ad esempio, alle falde, alla canalizzazione degli scoli. Nei cui confronti da anni è definita una legislazione che è arrivata tardivamente rispetto alle denunce, ma che monitora lo stato dell’arte e si avvale di una fitta rete di strumenti ordina mentali e sanzionatori. In secundis, appare il caso di segnalare che, presumibilmente, si deve ad una sorta di filosofia da frontiera dell’Ovest, in cui molto era concesso, questo groviglio di conseguenze nocive, di cui, ripetiamo, la menomata fruizione delle attività ludico-remiere costituisce uno degli aspetti. Essendo in presenza non di una manifesta volontà di dolo, ma presumibilmente di comportamenti suscettibili di dolo eventuale, sarebbe giunto il momento, cosa che faremo nel breve prosieguo di questa riflessione, per alzare gli sguardi dal sottoterra al cielo. Perché o noi non siamo debitamente informati oppure su questo aspetto (l’inquinamento dell’aria e dei suoli circostanti e l’interferenza nella salute degli umani e del genere animale) ci sono ancora molte pagine da scrivere. E, se è concessa la supposizione, tale profilo è, in termini di importanza, soverchiante rispetto a quanto fin ora è stato denunciato, accertato, sanzionato. Chi ne ha titolo batta un colpo. Il fatto che la Tamoil non produca più e, quindi, non inquini, non significa che non abbia inquinato. Inoltre sarebbe doveroso che i pubblici poteri dicessero e facessero qualcosa di più sul terreno dell’accertamento di una eventuale correlazione tra il potere inquinante di tanti decenni di esercizio e l’eventuale splafonamento delle medie locali rispetto a quelle nazionali, della morbilità oncologica delle parti molli. Che è una prerogativa delle città che hanno avuto od hanno il privilegio di ospitare un petrolchimico. Mantova docet. C’è un ultimissimo aspetto, rivolto al futuro, della vicenda su cui ci pare non si sia andati oltre i balbettii e gli abbozzi. Vale a dire: che fare adesso? Della Tamoil che non raffina più, ma deposita ingenti quantità di idrocarburi (nei medesimi contenitori?). Si pensa di lasciare tempi comodi al decommissioning, inteso come smantellamento di quei catorci che si sono rivelati gli impianti, e di decontaminazione di tutto quanto possa averne tratto pregiudizio? Oppure (sia pure senza maramaldeggiare), evitando ammuine e facce feroci ad usum comunicativo, si pensa di stare sul pezzo e di tallonare la Società perché operi strettamente nei tempi e nelle prescrizioni, che discendono dagli accordi? Da ultimissimo, segnaliamo che sulla prefigurazione degli scenari successivi allo smantellamento ed alla riconversione non ci siano idee molto chiare. Ognuno, infatti, azzarda in base al proprio osservatorio. La tesi prevalente, ci pare di cogliere, è la più suggestiva, ma anche quella più tra le nuvole: allargare a dismisura il parco al Po (a beneficio della qualità della salute e dell’indotto del turismo). Alzi la mano chi non lo vorrebbe!

 

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