“Servono nuove esperienze, nuove competenze, serve un ricambio generazionale” … diciamo…più che l'entrée dei motivi ispiratori del cambio di fase nella formazione della “squadra”… qualcosa che stava di mezzo tra lo sforzo di ripulire il somatico incrostato da tre decadi di occupazione del potere municipale e la necessità di “mettere in riga” la compagnia (quasi tutta) degli aspiranti a rioccupare od occupare ex novo ruoli apicali o semplici strapuntini.
Nel corso di un game dilatatosi sin dai prodromi (in termini di timing, di intensità e forse di etichetta) oltre il necessario (diciamo) e planato ad una coda supplementare (non edificante) di dialettica da ballatoio. Non tanto sui temi, che già in corso d'opera sono stati trattati a minimo sindacale, bensì sulla sequenzialità tra l'endorsement in materia di cambio di fase ed effettivi criteri ispiratori nella formazione della squadra.
Non disponiamo di agganci suscettibili ad orientare in noi una attendibile formazione di un'idea in merito. E in qualche modo ci interessa effettivamente poco sapere particolareggiatamente chi indosserà le maglie della squadra in campo. Da questo punto di vista l'unico gesto apprezzabile sul terreno della trasparenza del rapporto tra protagonisti della competizione elettorale e corpo elettorale è venuto dallo spitzenkandidat risultato soccombente. Il quale, in un contesto di levata di scudi in termini (immotivatamente) scandalizzati ha (come si farebbe in qualsiasi sistema liberaldemocratico) presentato la propria squadra, nel caso fosse stato premiato dal consenso elettorale.
Così non è stato. Ma ancora non riusciamo a comprendere la levata di scudi del competitor nei confronti di un gesto di trasparenza. Anche se, per effetto di una approfondita conoscenza di certi meccanismi mentali e di un costante monitoraggio delle operazioni in corso, ci siamo fatti l'idea che, dopo e in contrasto coi preannunci riportati tra virgolette, pesa sul contesto di formazione del governo cittadino qualcosa di più di condizionamenti inquietanti. Per il clima di regolamento di conti (confliggenti con la falsa vulgata della massima coesione dell'alleanza cosiddetta civica di centro-sinistra) e, soprattutto, per un approdo che non ci sembra sia funzionale ad un effettivo rinnovamento di apporti.
Quel che, in aggiunta a ciò, si coglie è la totale astensione della formazione risultata vincente dall'onere di sgrossare un programma bulimico a beneficio di un cahier di immediata applicazione. Non diciamo nei primi cento giorni; ma almeno del primo semestre di consiliatura. Periodo nel quale si potrebbe-dovrebbe punzonare l'esecutivo e l'impostazione di nuovi gesti concreti.
Su ciò, al di là di ciò che si percepisce in termini di immaginazione del prosieguo concreto di certe indiscrezioni (ad esempio, in materia di smembramento di competenze assessorili, come nel caso delle politiche culturali, non già su basi logiche, bensì per utilità spartitorie), neanche segnali di fumo, men che meno su temi strategici. Su cui l'intera dialettica elettorale è stata carente.
Ci faremo carico di focalizzarne la priorità, cominciando da adesso a focalizzare la priorità/centralità della questione territoriale. In ciò traendo spunto e materia dall'approfondimento della materia e spirito da due servizi del Corsera di oggi.
Seguendo e per la verità capovolgendolo il ragionamento (Milano è diventata troppo piccola per la metropoli che è diventata) dell'appena cessato (per l'elezione al Parlamento Europeo) assessore meneghino Pierfrancesco Maran, Cremona, secondo noi, è diventata (come aggregato urbano) troppo grande per il piccolo (in termini di fabbisogno antropico, di fruibilità manifatturiera e terziaria, di attrazione extra giurisdizionale) che a sua voltata è diventata. Specularmente capovolta è invece la realtà territoriale, caratterizzata dalla frammentazione dell'entità istituzionale, cui corrisponde un graduale ma irreversibile processo di spopolamento antropico e socioeconomico e di smantellamento in atto dei presidi civili. Sia pure a parti invertite le due facce del fenomeno incardinato nell'agglomerato urbano e nella circostante area comprensoriale descrivono, si ripete con negativi fondamentali apparentemente distinti, una condizione di generale declino. Che nessuna miracolistica beneficiata, fatta di inversione di sentiment dei superiori livelli amministrativi (in particolare, regionali) in termini di marginalizzazione, potrà radicalmente modificare se non saranno reinstallate consapevolezze e propositi in materia di comune visione strategica a prescindere dall'esistente mappatura amministrativa. Era questa la sollecitudine ben presente nelle percezioni e delle consapevolezze in vista della programmazione economica nell'ottica regionale e di un diverso rapporto tra epicentro metropolitano e sud Lombardia, che aveva abbozzato presupposti di interdipendenza progettuale e impostazione di aggregazioni comprensoriali. Una visione questa che traeva suggestioni ed ispirazioni dalla visionarietà dalla "grande Cremona" indotta nelle prime due decadi del 900 dall'impulso di aggregazione sovramunicipale e di rifunzionalizzazione concrete delle vocazioni territoriali. L'inversione di questa virtuosa suggestione sarebbe stata innescata dal nichilismo progettuale in capo al ciclo territoriale che per efficacia percettiva definiremmo la seconda repubblica locale. Inversione di tendenza questa su cui hanno pesato la permanenza accentuazione di un pregiudizio da parte del combinato dei superiori poteri regionali, lo smantellamento sistematico della nervatura delle istituzioni intermedie Provincia e Camera di Commercio), il prosieguo della accettazione conformistica da parte delle istituzioni locali, interfacciate ad una costituency territoriale priva di etica e coesione e di volontà di rilancio. Se si eccettuano "la testa e la coda" (comprensorio cremasco e circondario piadenese/ casalasco) della striscia longitudinale geo-amministrativa di 120 km, il "cuore" (del cremonese lato e stricto sensu) ha sistematicamente smantellato i precordi di visionarietà idealistica e progettualità, nonché l'intelaiatura del potenziale aggregato sovraccomunale. Derivando le conseguenze non si sa se più da una neghittosità cognitiva ovvero dall'assecondamento di una lectio facilior di cultura amministrativa, esclusivamente imperniata nella conformistica accettazione del presente e nella banale impronta del quaeta non movere. Cifra in cui il profilo del ciclo di un terzo di secolo a cavallo tra fine 900 ed inizio terzo millennio si è rivelato incoercibilmente refrattario al qualsiasi tendenza di armonizzazione e convergenza. Rovesciarsi vicendevolmente addosso l'ordine dei negativi fattori incombenti e concomitanti del fenomeno di periferizzazione e di marginalizzazione dai processi strategici e di destinazione delle funzioni e delle risorse (facendoli discendere dall'assenza del territorio provinciale dal parterre del governo regionale, quasi si trattasse di una pregiudiziale perfida Albione nei confronti dell'area sub padana) non farà cavare (in termine almeno di rovesciamento del sentiment) un ragno dal buco. Se l'establishment cremonese (come ai tanto rimpianti tempi dei Vernaschi, Zanoni, Dolci) non ritroverà le ragioni di un forte rilancio dell'afflato di armonizzazione delle consapevolezze e di convergenza ispirata da trasversalità di progetto strategico e di investimento delle scelte gestionali concrete. Sommessamente (e forse sconsolatamente) non c'è che da registrare, in aggiunta ad disastroso consolidato prestazionale, il totale perdurante out the radar elettorale e post elettorale di un tema che, invece, se non altro in dipendenza delle vulgate ad usum delphini, dovrebbe essere stato e, nel prosieguo, essere permanentemente centrale. Almeno in quella decantata (soprattutto ma controfattualmente) impronta di universale predisposizione al superiore bene comunitario. Alla prossima…ed in attesa di contributi dialettici.