Diciamolo francamente (e lo diciamo con l'orgoglio di chi, per non girare la schiena, ne ha passate tante) l'evocazione del Socialismo non è mai stata, neanche ai tempi in cui c'era una certa compiacenza verso il filone idealistico-umanitario, tanto pacifica, almeno dal punto di vista di un riscontro condiviso.
La scala Mercalli dell'intensità ostile, che incorporò anche la proscrizione derivante dall'etichettatura di “social fascismo”, si é tarata, negli ultimi quattro decenni, sui picchi dell'ostracismo decretato tanto nei confronti del gruppo dirigente che della dottrina politica.
Il percorso costante ed ineluttabile del pensiero liquido e della politica leggera (che ha disegnato un impari rapporto tra la politica ed i poteri) non poteva, inoltre, che consegnare il pensiero socialista ad una, nelle intenzioni, obsolescenza irreversibile.
D'altro lato, andrebbe anche aggiunto che i brandelli di socialismo operanti in gestioni stralcio a livello planetario ed in particolare in Europa han fatto poco, con il loro francobollarsi ad una ossessiva ragion di gestione, per aprire squarci di attualizzazione dell'aggregato teorico-pratico. Che, tra luci ed ombre, aveva, a partire dal secondo dopoguerra messo a segno importanti tappe sul terreno dell'affermazione dei diritti civili, della giustizia sociale, della compartecipazione del laburismo alla vita economica.
Come si ricorderà, in Italia il ciclo della caccia alla streghe di Mani Pulite e della transizione alla cosiddetta Seconda Repubblica fu manifestamente indirizzato, ex cunabula, alla smagnetizzazione di qualsiasi infinitesimale traccia che rimandasse, almeno come pietra di paragone, all'intelaiatura della cultura socialista.
I trent'anni che ci separano da quell'abbrivio sono qui a testimoniare che quella che fu la sinistra massimalista di rito filosovietico non considerò mai tra le opzioni possibili la convergenza con i perni della, lato sensu, teoria socialista.
Ne è prova, al di là delle sparute testimonianze di radicalismo (una sorta di opposizione di Sua Maestà), la totale deriva del baricentro dei semilavorati e dei rottami, scaturiti dall'annientamento dell'osservanza filosovietica, su un campo difficilmente identificabile come sinistra laburista, riformista, socialista liberale.
Dopo trent'anni sono alla ricerca delle cause che hanno drenato gran parte del tradizionale consenso sulle sponde del populismo, che, anche per assenza di un'offerta saldamente richiamantesi al lavoro ed alla giustizia sociale, è diventato riferimento stabile dei bacini di voto e di militanza della vecchia sinistra.
Ce ne siamo fatti una ragione; anche se apparentemente stride il motivo per cui (volendo usare la ben nota traccia semantica del proclama di Diaz, insistano nel restare raggruppati al PSE i resti di quello che fu uno del più potente partito comunista del mondo, ormai costretti a risalire in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza nella prospettiva rivoluzionaria.
Onestamente, andrebbe aggiunto che se il post-massimalismo è morto, non se la sta passando molto bene neanche il suo competitor laburista e liberalsocialista.
Insomma quel che vogliamo osservare è che da un po' di tempo, mentre la “ditta, risultante dalla convergenza catto-comunista, continua imperterrita a non considerare metabolizzabile nel proprio aggregato teorico la cultura politica socialista, emerge sporadicamente qualche endorsement manifestamente in contrasto.
Forse sul piano dottrinario non costituirà il più autorevole degli sdoganamenti, ma ha fatto, nei giorni scorsi, una certa impressione, la rivelazione, in contrasto con la descritta tendenza e con un consolidato sentiment, del cantautore di Pàvana Guccini di essere sempre stato un simpatizzante socialista ed elettore del PSI.
Ma, volendo attingere a più autorevoli quarti di riabilitazione dell'attualità del socialismo, non possiamo non riferirci a due recenti esternazioni.
Il Sindaco di Milano, consegnato sin dai suoi esordi nella scena istituzionale alla fattispecie del civil servant vagamente orientato a sinistra, se n'è recentemente uscito con un difficilmente equivocabile
È l'ora del cambiamento: serve un nuovo socialismo - La sinistra deve recuperare un'idea politica di società
Outing che difficilmente farà felice la nomenklatura dem sempre alla ricerca, come direbbe Franco Battiato, un centro di gravità permanente, al di fuori di qualsiasi interpretazione esoterica, stabilisca un punto di equilibrio interiore che gli potrebbe permettere di non cambiare idea di continuo. Soprattutto di riaccreditare il bacino di opinione e di consenso sottostante alla nomenklatura stabilmente ministerialistica come suscettibile di incarnare fondatamente la rappresentanza della sinistra riformista.
Scansando abilmente l'immancabile triangolazione dal forte appealing mediatico con l'ultimo ciclo socialista (l'evocazione di Craxi), l'apprezzato Sindaco della capitale lombarda, nell'intervista di Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera non lascia spazio all'immaginazione sulla sua interpretazione
Il socialismo non appartiene alla storia, ma all'avvenire. Solo in Italia è considerata una parola morta.
Su tale perno Sala ci ha costruito un saggio (edizioni Einaudi) intitolato “Società: per azioni”, con una specie di sottotitolo dagli intenti didascalici “Affetti ed emozioni, azioni e produzioni - le idee per il nuovo socialismo dell'epoca planetaria. Per realizzare lo spirito e l'utopia, una società composta di azionisti dalle risorse infinite: tutti noi.”
Ce lo siamo letto, facilitati da uno stile asciutto ed immediato, in un battibaleno e ne estraiamo, a corredo del consiglio a leggerlo, un cuore.
Beppe Sala presenta qui un testo terso di cultura e proposta politica. Interpretando i temi che caratterizzano un'autentica visione globale, propone la struttura di una nuova forma per il socialismo del XXI secolo e affronta i nodi storici che determinano la vicenda internazionale e italiana. Bisogna ragionare su una diversa idea della politica, del governo, del mondo, degli affetti e delle azioni necessarie per pensare a una società piú equa. Sala, da sindaco di una città nevralgica come Milano e da politico che crede nella missione civile e politica della sinistra, insiste sulla necessità di una connessione tra le grandi città mondiali, nella prospettiva di una utopia concreta: una comune società per azioni, basata sulle risorse infinite delle persone che vi partecipano. Non la Città-Stato, ma la Città-Mondo è il perno di un mutamento di prospettiva. Essa rappresenta in sé il mondo: chiunque vi è incluso, chiunque ha diritto di cittadinanza, purché intenda e dunque abbia la possibilità di inserirsi nella logica attiva del benessere comune.
Altrettanto illuminante è l'intervista il past president francese François Hollande ha recentemente rilasciato a Valter Veltroni per il Corriere della Sera.
Hollande può essere individuato come l'ultimo anello del socialismo europeo, la versione francese del new Labour e della tedesca neu Mitte (anche se le ascendenze del ciclo presidenziale socialista hanno come riferimento l'iniziale profilo neogiacobino di Mitterand).
Il suo è stato un pervicace voler essere aderente ad una mission socialista che ha escluso altra collocazione che non fosse la “gestione”.
Dice (al bravo intervistatore, che nel ruolo di accreditato giornalista dovrebbe interrogarsi sul tempo e le opportunità perse nei ruoli politico-istituzionali)
La sinistra ha avuto responsabilità di governo in quasi tutta Europa, durante gli anni duemila. Ma non ha visto e compreso la dimensione della crisi. Ha dimostrato di saper gestire, anche bene, la cosa pubblica, ma non di interpretare altrettanto bene le angosce sociali. La questione migratoria ha mutato poi l'orientamento della base popolare della sinistra spostando verso la destra populista importanti settori della classe operaia e degli strati più deboli della società
Chapeau, monsieur le President! Ha compreso una parte consistente del problema del declino del socialismo continentale. Anche, se secondo chi scrive, la questione è molto più vasta e profonda.
In tal senso ci viene in soccorso l'analisi dello studioso (altrettanto) francese Dominique Reynié, la cui analisi parte dall'assunto secondo cui la democrazia moderna, formatasi nel 900, si è fermata in prossimità dell'avvio della globalizzazione. Il sistema di mercato, ispirato dallo Stato Sociale, aveva integrato le masse, in qualche misura associandole sia pure marginalmente nei processi decisionali e riuscendo a distribuire risorse in una forcella variabile ma non macroscopicamente iniqua.
Il fatto nuovo del terzo millennio è rappresentato sia dalla globalizzazione che ha scardinato l'equilibrio tra potere economico e potere politico, che aveva messo a punto il welfare state, sia dalle ricadute dei flussi migratori e del modello multiculturale, metabolizzati nell'armamentario della sinistra (in particolare quella italiana).
Il crollo dell'assistenzialismo diffuso e consolidato, potenziato dal rifiuto di un nuovo impianto distributivo esteso alla platea migratoria ritenuta estranea, è coinciso con il venir meno dei perni fondanti di un equilibrio politico durato dall'immediato secondo dopoguerra.
Da cui l'innesco di un processo che ha fatto rifluire una parte significativa del tradizionale bacino di riferimento della sinistra politica e sociale verso le suggestioni populistiche.
Insomma, con questi spezzoni di consapevolezze attinte sul campo, riteniamo esistano le condizioni per avviare sulla nostra testata una profonda analisi della questione socialista.
Partendo dal contributo che abbiamo sollecitato e che ci è pervenuto da Franco Benaglia.
inizia la sua testimonianza politico-istituzionale nelle file socialiste, all'inizio degli anni 70. Esordisce come segretario della sezione di Cortemaggiore, Comune di cui diventa Sindaco nel 1973. Nel 1980 viene eletto segretario della Federazione Provinciale di Piacenza e nel 1985 Presidente della Provincia. Assume incarichi interni di crescente responsabilità a livello nazionale e regionale. Quando Valdo Spini nel 1983 diventa vicesegretario nazionale, Benaglia lo sostituisce nella responsabilità dell'Ufficio Formazione Quadri della Direzione Nazionale del PSI. Nel 1990 è eletto Sindaco del Comune di Piacenza.
Penso che non ci sia niente di nuovo. Anche perché alcune domande sono retoriche. Perché la vittoria di Trump o Bolzonaro fa parte di un concetto democratico di alternanza...e io dico purtroppo.
In Francia, proprio nello schema dell'alternanza, il socialismo ha vinto con Mitterrand utilizzando la legge gollista. Dopo il ciclo socialista è ritornato il gollismo.
In Germania abbiamo assistito a governi di alternanza fino al secolo scorso, poi, solo la grande coalizione. Cosa vuol dire questo? Perché la sinistra brava a fare le battaglie e che riesce ad andare al governo poi perde? E' forse per via della solità classe dirigente che per paura di sparire accetta qualsiasi compromesso pur di restare a galla, rinunciando a condurre (per mancanza di stimoli) le stesse battaglie politiche che l'avevano portata al governo. Questa è la storia della SPD degli ultimi anni, ridotta ad un partitino. Ci ricordiamo la SPD degli anni 80? Rimproverava i partiti socialisti del sud Europa di essere troppo teneri!
La mia conclusione è che il socialismo e la sinistra ritorneranno senz'altro. Non prima, però, di essersi riappropriate delle "vere battaglie politiche", con una classe dirigente rinnovata, ambiziosa e disponibile a lavorare con precisi obiettivi.