Il Deputato cremonese del PD, Luciano Pizzetti, non ha mai fatto mancare il suo contributo, anche durante l'emergenza sanitaria. Protagonista in questi giorni, insieme ad altri quattro colleghi, per aver "strappato" al Presidente del Consiglio risorse aggiuntive per i territori maggiormente colpiti dagli effetti del COVID-19. Artefice della visita, del 28 aprile scorso, del premier Giuseppe Conte a Cremona, ci rilascia questa breve, ma intensa intervista con la quale tratta dell'attuale stato della nostra provincia e sulle possibili strategie d'uscita del Paese intero dalla crisi. Infine, un parere sulle immancabili polemiche attorno alla festa del 25 Aprile.
Onorevole, ci potrebbe spiegare, con estrema sintesi, i fondi per 200 milioni di euro che lei con altri parlamentari del PD provenienti dalle province di Cremona, Piacenza, Brescia, Bergamo e Lodi, è riuscito a fare includere nel prossimo decreto governativo di aprile in favore di questi territori tra i più colpiti dalla pandemia?
Questi territori sono stati particolarmente e drammaticamente colpiti dalla pandemia. Lodi e Cremona ancor prima degli altri. Gli ospedali di Crema e Cremona hanno accolto subito i pazienti provenienti da Codogno. Al di là delle zone rosse o arancioni, da noi il restringimento della vita sociale è accaduto nei fatti ancor prima delle determinazioni ufficiali sul lockdown. Le attività economiche di commercianti, ristoratori e baristi, albergatori hanno avuto contrazioni già da febbraio. Dunque è doveroso che a queste zone sia riconosciuta questa condizione anticipatrice di quanto poi si è generalizzato. Che possano contare su risorse aggiuntive a quelle nazionali. L'ho proposto insieme ai colleghi parlamentari del PD di queste province. Ci abbiamo lavorato. Il Governo ha accolto questa richiesta. Noi l'abbiamo quantificata in 200 milioni di euro. Mi auguro che questa sarà la somma che verrà inserita nell'imminente decreto di sostegno all'Italia. Queste risorse andranno ai Comuni per consentire di sostenere la ripartenza socioeconomica.
Lei considera la prossima fase come quella più cruciale, se affrontata sotto il profilo della “giusta tempistica”, per salvare e rilanciare il tessuto socio-economico dei territori. Poi, però, fa anche cenno al post emergenza nel quale sarà la “giusta strategia” a determinare la vera rinascita del “Sistema Italia”. A cosa si riferisce esattamente?
Penso che la qualità della vita si misuri da tanti fattori. Non solo dal PIL espansivo, non solo dalla certezza di una sanità di livello. Il benessere sociale dovrebbe essere il metro di misura. Se sono ricco ma sto male non godo di grande qualità. Se sto bene in salute ma sono povero non godo di grande qualità. Con questa pandemia noi rischiamo nuove povertà in settori vasti e che fino a tre mesi fa si gestivano in autonomia e relativa sicurezza. Avevano una prospettiva decorosa. Questa prospettiva ora s'indebolisce e la speranza di farcela rischia di crollare. Ecco perché occorrono rigore e flessibilità nelle misure da adottare. Rigore nei comportamenti individuali e sociali, flessibilità nel consentire il riavvio del lavoro. Nella consapevolezza che nella pandemia vi è chi comunque è protetto e chi no. Chi da due mesi non ha alcuna forma d'introito da lavoro e ha la famiglia da sostenere non può restare a guardare le stelle un altro mese ancora. C'è un problema di sostenibilità. Non puoi pretendere da una persona che la sua ambizione sia quella di morire sano. Devi chiedergli di operare in sicurezza, per sé e per gli altri, per poter vivere sano. E aiutarlo a farlo. Oltre a ciò c'è una questione enorme. In un mondo globale se tu non vai almeno al passo degli altri, perdi quote di mercato e t'impoverisci. A differenza della crisi del 2008, qui crollano due bastioni della nostra economia che allora avevano tenuto: internazionalizzazione e turismo. E il debito cresce. Socializzi il Covid e massimizzi le perdite. Ecco, occorrerebbe avere questa consapevolezza per far ripartire con gradualità e forte determinazione il “Sistema Italia”. Nessuna fuga, in nessuna direzione.
Ci potrebbe indicare una breve scaletta di “progetti cantierabili” (o quasi) a breve, a medio e a lungo termine che possano rilanciare stabilmente l'economia italiana e, di riflesso, apportino concreti benefici sociali nei territori come il nostro?
La prima questione è, come raccomandava inascoltato Guido Carli molto tempo fa e quanto mai attuale, ridurre fortemente “lacci e lacciuoli”. La burocrazia eccessiva frena e impedisce, senza garantire efficacia e legalità. Un Paese che ogni volta, quando si verifica un'emergenza, deve ricorrere ai commissariamenti per bypassare le norme e consentire di agire celermente, è un paese malato di cancro normativo. Per fare un esempio, il codice degli appalti così non funziona. Né sul pubblico, né sul privato. Occorre che le ingenti risorse che l'Europa metterà a disposizione vengano messe in circolo subito e non facciano la fine dei pregressi cofinanziamenti. Lo Stato non deve tornare ad essere padrone ma cominciare ad essere imprenditore. Deve fungere da volano. Gli investimenti sulle opere pubbliche necessarie debbono essere liberati. Da noi il raddoppio ferroviario Mantova-Codogno deve essere considerato prioritario, rivedendo al ribasso i tempi immaginati e completandone il finanziamento. La connessione del territorio in banda ultra larga è indispensabile, pena restare sempre in coda e mai in testa. Realizzare il collegamento stradale mediopadano veloce da Milano verso Brennero e Adriatico è una necessità, senza di esso l'isolamento crescerà. Gli investimenti sulla qualità ambientale in un'area così antropizzata e produttiva sono una condizione assoluta.
Se avesse “carta bianca” come interverrebbe sulla sanità nel suo quadro d'insieme? Mi spiego meglio: considera “revisionabile” l'attuale sistema nazionale/regionale all'interno del nostro welfare state secondo il modello cosiddetto “Beveridge”, o pensa a qualcosa di diverso?
Il COVID 19 ha fatto emerge qualità e debolezze del sistema sanitario lombardo. Un sistema molto in verticale e poco in orizzontale. Con elevate qualità ospedaliere e basso reticolo territoriale. Un sistema che cura bene le malattie ma non le pandemie. Così com'è configurato il sistema lombardo non è in grado di dare risposte efficaci in termini di salute pubblica. Occorre perciò non che venga cancellato come sostengono i detrattori ideologici, ma che sia aggiornato per renderlo più efficace e più adatto al bisogno di offrire una migliore assistenza sanitaria a tutta la popolazione. Dunque occorrerà investire una quota parte delle risorse del MES per far sì che, accanto all'eccellenza ospedaliera che ogni anno cura 160 mila persone malate provenienti da fuori regione, si strutturi un altrettanto eccellente sistema sanitario di comunità. Perciò è una boutade illogica la proposta di Forza Italia di costruire un nuovo ospedale da 700 posti a Cremona. Perché insegue lo stesso modus operandi che ha generato le inefficienze riscontrate. Perché è un'operazione costosa che porterà con sé la chiusura degli ospedali di Crema e Oglio Po. Perché non investe sulla territorialità. Serve invece che i direttori generali dei nostri ospedali presentino un progetto di ammodernamento e efficientamento delle tre strutture, con relativi costi. Su questo dovremmo impegnarci tutti, confrontandoci per decidere la scelta più utile e per ricercare insieme i finanziamenti necessari alla realizzazione degli interventi. Non serve una gara a chi la spara più grossa. Ovviamente servirà rivedere il funzionamento e la gestione delle RSA. In tutto il mondo nelle RSA è stata una vera carneficina. Le persone più fragili anziché più protette sono risultate le più esposte. Ponendo anche rilevanti questioni etiche. Affinché non accada davvero mai più occorre capire come ripensarle. A tale scopo una riflessione che porti ad una riorganizzazione, serve molto di più di un'inchiesta penale che individui presunti colpevoli nella fase dell'inconsapevolezza e dell'impreparazione. Fuori dall'emergenza si potrebbe davvero pensare a una commissione d'indagine parlamentare, utile a capire per concorrere a fornire approcci nuovi e più umani. Anche per questo in alcun modo condivido la mozione del PD lombardo volta ad azzerare i vertici della sanità regionale. Per i tempi e per il merito. Indubbiamente occorre rivedere l'assetto istituzionale della Repubblica. Non per ricentralizzare bensì per delineare in modo più netto ed efficace le funzioni e le competenze di Stato e Regioni. Inserendo la clausola di supremazia nazionale in condizioni di emergenza. Se la riforma della Costituzione proposta nel 2016 non fosse stata bocciata, oggi saremmo stati nelle condizioni di gestire meglio e con maggior appropriatezza questa pandemia.
L'Italia è un paese sostanzialmente “ingessato” da circa 25/30 anni, soprattutto culturalmente e politicamente. Cosa ci manca per creare quella “sana discontinuità” che permetta il passaggio definitivo (anche dal punto di vista degli assetti istituzionali e costituzionali) ad una seconda Repubblica mai sbocciata nei fatti dopo Tangentopoli?
Manca la cultura riformista. Manca la percezione dell'importanza di questa cultura. Vogliamo i cambiamenti in casa d'altri ma siamo refrattari a che valgano per noi. Io non temo che scompaia la sinistra, temo che essa non possa più incontrarsi con le culture del riformismo laico e cattolico perché sono queste ad essere scomparse, con grave nocumento della sinistra stessa che per salvarsi accarezza il ritorno all'antico. L'Italia da tempo non conosce più lo spirito del liberalismo. Norberto Bobbio per i più è morto non solo fisicamente. Ma i nuovi “ismi” a partire da quello ambientale, poco varranno se disancorati dai pensieri lunghi, se questi pensieri non torneranno al centro dell'agire politico. Ci vorrà tempo, ma dovremo pur risalire la china di un pensiero che ormai non è neppure debole, è semplicemente nullo e svolazza leggero sui social. Auspico una grande ripartenza del pensiero politico, filosofico, economico che sappia interpretare e guidare i grandi cambiamenti per affermare l'interesse generale o bene comune che dir si voglia.
Per concludere, un suo pensiero sulle solite polemiche riguardo alla festa del 25 aprile che anche quest'anno non sono mancate. Le indico, come interessante spunto, un commento all'epitaffio alla base del bronzo “in onore dei caduti per la libertà” che Dante Ruffini realizzò nel 1963 e che è esposto alla cittadella degli studi in via Palestro:
IN ONORE DEI CADUTI PER LA LIBERTÀ
E DI QUANTI SONO PARIMENTI SDEGNOSI
DI ESSERE OPPRESSI E DI FARSI OPPRESSORI
Semplicemente inascoltabili. Da tempo ormai è assodato che la Liberazione non è stata la vittoria di una parte ma della libertà e della democrazia. Il negazionismo serve a celare questa verità da chi ha un rapporto mai chiarito con quei fondamentali. Lo si vede meglio nel tempo del populismo e del sovranismo. Eppure qualcosa è comunque cambiato o sta cambiando. Io ho molto apprezzato il saluto del presidente Fontana in occasione del 25 Aprile, con quelle parole egli ha rappresentato pienamente anche me. Non posso dire la stessa cosa di Salvini o Meloni. C'è chi continua a contrapporre l'Inno Nazionale a Bella Ciao. Non comprendendo che sono entrambi canti di libertà. Con genesi differenti ma con un unico fine. Si tengono per mano e non applicano il distanziamento. Perciò le parole di Ruffini dovrebbero essere scolpite nei cuori e nelle menti di chi si sente cittadino italiano, non solo su un basamento bronzeo. Anche in questo dramma pandemico che ha colpito noi italiani, chiunque nel mondo abbia voluto esprimerci solidarietà, lo ha fatto in due modi: proiettando il tricolore della nostra bandiera e cantando Bella Ciao. Perché il 25 Aprile del 1945 è rinata l'Italia intera. Con l'Italia è risorta l'Europa. Il 25 Aprile è la nostra Pasqua civile.
Grazie