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ECO-Election day 8-9 giugno 2024 /quater

  10/06/2024

Di Redazione

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A prescindere dal, per alcuni versi giustificato, raccapriccio diffusamente presente in un vastissimo settore di opinione pubblica e di corpo elettorale nei confronti della deriva del modello liberaldemocratico (di cui l'election day in fase di spegnimento è stato segnalatore) si sarebbe dovuto, in corso d'opera, tener presente la massima churchilliana secondo cui “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. Mah, anche se ci accorgiamo di imboccare un percorso impegnativo di difficile traslazione (nelle consapevolezze), sarà…ma indubbiamente i contesti attuali in qualche misura riserverebbero notevoli disillusioni al grande british bulldog.3

Niente sta fermo ed immutabile. Ma, indubbiamente, quando si inceppa il meccanismo di mandato, che, giova ricordarlo, è il perno e la scaturigine della liberaldemocrazia, il futuro non promette bene. Ok, fortunatamente l'ampio ventaglio del modello liberaldemocratico integra altre prerogative. Ma è indubbio il fatto che quando, come nella temperie in corso, l'esercizio del diritto-dovere, viene sottoposto così vistosamente strapazzato, c'è veramente poco di cui compiacere o semplicemente da glissare. Di questi tempi, si vagheggia di intelligenza artificiale, che porterebbe alla coscienza artificiale, che condurrebbe all'algoetica.

Ma sarebbe molto bene che non smarrissimo la strada. A principiare dalla consapevolezza derivante dalla scansione dei fatti. Al di là del merito delle tendenze così nitidamente segnalate da tempo e rimarcate nella tornata che sta per essere archiviata come mero dato numerico, sarebbe doveroso alzare lo sguardo dal dito e puntare alla luna.

L'elemento macroscopico è indubbiamente rappresentato da un fenomeno che non può essere relegato nell'”astensionismo”. Che quando raggiunge questa intensità è qualcosa di più di una tendenza.

Sulle ragioni dell'astensione, azzarda il concittadino cremasco Severgnini, che non sarà di protesta (sbagliata, ma motivata). Sarà un'estensione menefreghista, la peggiore. Sarà, ma, con tutto il rispetto, non condividiamo. E, aggiungiamo, dai tempi non sospetti dell'invito ad andare al mare (e non perché da molti anni preferiamo, come il senatore Pepito Sbazzeguti, alias Giuseppe Bottazzi, la montagna). Ma nell'intimo e forte convincimento che il dissesto del nostro modello liberaldemocratico sia stato incardinato dallo sciagurato e tafazzante incitamento ad alzare il livello dello scontro politico (tattico o strategico che fosse) rovesciando il tavolo di quello che dovrebbe essere l'asse portante delle prerogative liberaldemocratiche: il voto. Diversamente dal bravo ed autorevole opinionista di origine cremasche, noi azzardiamo, sul piano dell'interpretazione della disaffezione al diritto-dovere, una sorta di combinato sinergico tra le due cause percepite da Severgnini come anteposte motivazionalmente. In combinato di impulsi e messaggio implicito/esplicito. Vale a dire il raggiunto e superato livello di insopportabilità prestazionale e di rango del ceto politicoistituzionale. Oltre il quale, succeda quel che deve (comprese le slavine che, nella storia, hanno delisted la liberaldemocrazia) non è lecito e giusto (secondo i disertori) che la partecipazione al voto suffraghi la trafila regressiva delle prerogative. Se fosse così semplice (il sillogismo tra messaggio inviato e rotta corretta) non ci troveremmo qui a parlarne. E, per quanto ci riguarda, ad esternare vaticini infecondi. Non occorreva il timbro dei risultati punzonati dai numeri, prevedibili e quasi scontati. Non casualmente il nostro palinsesto degli attenzionamenti elettorali è stato minimo sindacale. Salvo un sussulto da 59° minuto della 24ma ora che ci ha imposto un endorsement per una partecipazione al voto. Ecco noi da qui vorremmo rivendicare, come fa Buccini, Il diritto del futuro. A cominciare da quello che attiene alla democrazia.

Cacopardo, in linea con le sue rigorose analisi, fornisce un ampio veritiero spaccato delle conseguenze del voto sui destini dell'Europa Unita.

Se ci è consentito, noi vorremmo azzardare una segnalazione che ci viene suggerita dal bell'editoriale Su l'Economia Corsera di oggi, in cui scrive De Bortoli: l'illusione di bonus e sussidi (pretesi in over dose) tanti diritti e nessun dovere. Esiste un legame neanche tanto sottile tra responsabilità economica e qualità di un sistema democratico. L'inconsapevolezza dei limiti delle risorse pubbliche porta con sé un senso di atrofizzazione dei doveri e lo splafonamento esponenziale dei diritti. Tale postura etica e sociale grava la sostenibilità del modello sia di spesa pubblica sia aggregato comunitario.

Una nuova Europa

di Domenico Cacopardo

Di elezioni europee si è trattato e di esse è opportuno si scriva in un'ottica europea. Di Italia parleremo ben presto.

A Parigi il «Rassemblement Nazionale» di Marine Le Pen raggiunge il 31,4% dei voti e diventa il primo partito di Francia. Va aggiunto che il naturale alleato del Rassemblement, Reconquête, il partito di Eric Zammour in coalizione con gli «Independants et paysans», raggiunge il 5,47%.

BE, Besoin d'Europe di Emmanuel Macron è al 14,6% quando nel 2022 era al 27,85.

A Berlino, la CDU-CSU (i due partiti democristiani, nerbo dei popolari europei) sono con il 30% il primo partito. Il secondo è il partito neonazista, forte soprattutto nei lander della ex-Repubblica democratica tedesca, AfD (Alternative für Deutschland) con il 15,9%. La coalizione di governo (socialdemocratici, verdi e liberali) raggiunge il 33%, il che significa che ha ottenuto il consenso di un tedesco su 3.

Questi due risultati, tra tanti altri, rappresentano la cuspide del diffuso antieuropeismo circolante negli stati dell'Unione europea.

I partiti della «maggioranza Ursula» che governa l'Europa dal 2019 hanno sostanzialmente mantenuto le posizioni, conquistando la maggioranza assoluta e quindi l'autosufficienza in seggi. Il che potrebbe indicare la riproposizione della stessa formula per il quinquennio 2024-2029.

Questo non significa che nulla è accaduto e che non ci saranno conseguenze per il governo dell'Unione. Basta pensare alla Francia: qui il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, utilizzando l'art. 12 della costituzione ha sciolto le camere e indetto elezioni per il 30 giugno e il 7 luglio (ballottaggi). La mossa di Macron, fortemente criticata dalle forze politiche non di destra, costituisce un azzardo. In questo modo, egli intende sfidare l'elettorato francese a ripetere l'exploit dello scorso week-end dando la vittoria alla Le Pen (che ha già candidato come primo ministro il suo pupillo Jordan Bardella): un governo di destra in coabitazione con Macron all'Eliseo potrebbe rapidamente logorarsi e perdere il potere nel successivo redde rationem.

Si capisce tuttavia che si tratta di una mossa rischiosa e, forse, irresponsabile, i cui effetti ricadranno sull'Unione europea.

Prima di tutto l'asse carolingio Parigi-Berlino è stato sconfitto e perde la sua forza direzione e di attrazione. In secondo luogo tutte le politiche dell'Unione che richiedono il consenso degli stati troveranno una insormontabile difficoltà nel governo francese, espressione del Rassemblement e di Reconquête. Molto riguarderà i temi economici e può essere oggetto di negoziati e compromessi.

Ma il punto in cui l'Europa che conosciamo incontrerà ostacoli insormontabili è la politica adottata a sostegno dell'Ucraina. Non c'è dubbio che Marina Le Pen nutra una esplicita (e compromettente) amicizia nei confronti di Vladimir Putin e che sarà difficile proporre una politica unitaria dell'Unione rispetto all'aggressione russa all'Ucraina.

Preoccupante altresì il successo, in Germania, di AfD, partito che guarda al nazismo e che si colloca nell'area dell'antagonismo di estrema destra. Per il momento, si prospetta la stabilità del governo attuale, ma in prospettiva occorre diffidare, dato che AfD diventerà uno dei principali soggetti di una rete di forze di destra estrema votate alla riproposizione dei disastrosi nazionalismi del secolo scorso.

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