Cominciamo dalla banalità elettiva sul trascorrere ineluttabile e veloce del tempo. Sarà banale, ma è così! A ciò siamo indotti, oltre che da molto altro, dalla constatazione dei tre anni trascorsi e volati da quel 28 dicembre di tre anni fa. Già, sembra ieri!
Forse, perché ad una certa età il tempo passa, all'opposto di quando si è giovani, in termini inversamente proporzionali all'aspettativa di centellinare ciò che resta dell'esistenza. E/o forse perché la dipartita, prematura e, se non proprio imprevedibile, sicuramente troppo repentina, di Fulvio Pesenti lascia, dopo tre anni, ancora sgomenti. Credo, però, che a questa “impreparazione” ad un evento, che la ratio dovrebbe iscrivere nella pagina dell'ineluttabilità, concorra il combinato di una lunga consuetudine di rapporti e della perdurante nitidezza, dei contorni e della sostanza, della condivisione di molti valori e di molte testimonianze.
Quando si rimpatria, anche per una manciata di ore, nel sito natio, il percorso predeterminato è scontato: il sito del motivo occasionale e, obbligatoriamente, il cimitero (in fondo, logicamente per chi partiva da Gera, allo “stradone”). Dove ricordi i tuoi antenati, che lì riposano nella tomba di famiglia a partire dalla delocalizzazione della seconda metà dell'800, nonché gli amici ed i compagni, con cui hai condiviso parti importanti dell'esistenza. Ecco, Fulvio è rientrato, suo e nostro malgrado, in questo percorso. Per ciò stesso, tanto è ormai entrato in automatico l'impulso a ricordare e a comunicare sub liminalmente, avremmo potuto ritenerci dispensati da formali obblighi da anniversario.
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