L'intervento chiamò in causa l'inattualità della dedica della porta d'accesso alla città, che, tra le più importanti dal punto di vista viabilistico, diventa particolarmente paradigmatica e significativa per il suo rapporto diretto ed immediato con il Fiume.
Avevamo, nell'occasione, manifestato una certa idiosincrasia nei confronti dell'uso, sempre più intenso e strumentale della toponomastica. Anche consapevoli del fatto che cambiare di nome alle vie ed alle piazze non è mai un'operazione a costo zero ed una sine cura avevamo speso qualche considerazione sull'opportunità di una moratoria in tal senso. Vero è, tuttavia, che, per quanto la tendenza abbia segnato negli ultimi anni un'accelerazione, il meglio di sé l'abbia fornito nel passato.
Ci sono due profili nell'opportunità di ripristinare l'antica denominazione delle piazze e delle vie, manomesse a scopi strumentali nel passato. L'opportunità, da un lato, di reintrodurre nella toponomastica il rimando non partisan alla tradizione ed alla storia della città. E, dall'altro, il dovere, dal punto di vista dell'obiettività storica, di porre rimedio a manomissioni, i cui perduranti effetti appaiono in netto contrasto con la verità e con l'inattualità.
Quasi novant'anni fa il ceto dirigente di allora, fortemente influenzato dalla retorica patriottarda e nazionalistica, finalizzata ai non certo fecondi programmi del regime, purgò denominazioni che fondava nella tradizione, nella cultura e nei costumi della città. L'accesso alla città dalla direttrice meridionale cambiava di nome con un'inopinata dedica al discusso comandante della più bruciante sconfitta collezionata nel quadriennio bellico.
Le responsabilità del protagonista in negativo di Caporetto non erano ancora state sottoposte a verifica né storiografica né fattuale.
Benché manifestamente in contrasto coi fatti, la versione del diretto interessato (comunque rimosso nell'immediato prosieguo dal comando) non fu contrastata, come verità ed onore dell'Italia avrebbero dovuto pretendere.
Luigi Cadorna, come nessun comandante anche il più fellone avrebbe fatto, scaricò la responsabilità della disfatta su alcuni reparti ritiratisi, come ricorda oggi sul Corriere lo storico Antonio Carioti, “senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico”.
Insomma, una specie di sciopero militare, come in realtà si stava facendo nell'esercito russo.
Cadorna si era ben distinto per una conduzione autoritaria ed antipopolare; di cui il sempre crescente livello di fucilazioni e di disumanità dei combattenti fu rivelatore di una cultura incompatibile con il carattere di popolo che avrebbe dovuto assumere il fronte interno.
La reazione italiana, propiziata da un'inversione di rapporto tra vertici militari e combattenti e popolazioni, sarebbe stata alla base del capovolgimento delle sorti del conflitto militare. La priorità di sconfiggere il nemico aveva messo ai margini l'ineludibile dovere di accertare i fatti. La vittoria addirittura tolse dall'agenda civile tale dovere. Il fascismo, interessato, come gli ambienti nazionalisti, a mistificare la verità, colse, a futura memoria, l'opportunità di accreditare la versione del disfattismo. La generalizzata manomissione della toponomastica a beneficio di Cadorna, che Mussolini ben presto avrebbe nominato Maresciallo d'Italia, fu finalizzata alle mire dell'incipiente transizione autoritaria ed autoritaria, interessata a fornire una base accusatoria nei confronti del nemico interno alla revoca delle prerogative liberali e democratiche in Italia.
Anche per questa opportunità di ripristino della verità storica, la nostra testata sostiene l'iniziativa della Associazione culturale Cremona com'era con cui si postula il ritorno della antica denominazione della Piazza. Stamane, simbolicamente nel centesimo anniversario della tragedia di Caporetto, un gruppo di sostenitori ha presentato alla città il risultato della raccolta di oltre 100 firme. La petizione è stata depositata in Comune.