Purtroppo, il significativo evento, nonostante l’autorevolezza dell’Associazione ed i messaggi del Presidente della Repubblica e del Presidente della Camera dei Deputati, non ha bucato, come avrebbe sicuramente meritato, gli standards dell’esposizione mediatica.
I lavori, centrati sul tema “Con i valori della Resistenza e della Costituzione, verso un futuro democratico ed antifascista“, sono stati avviati dalla relazione introduttiva del presidente uscente sen. Carlo Smuraglia
Il cui abbrivio non poteva certamente trascurare la riaffermazione della mission storica e la contestualizzazione della medesima negli scenari che, dopo 71 anni, separano dalla conclusione della Resistenza.
“ I tempi si fanno più difficili, ma per noi resta fermo l’imperativo categorico di far svolgere all’ANPI il ruolo che le è stato assegnato dalla storia, senza iattanza, con la consapevolezza e l’orgoglio di ricordare sempre da dove veniamo, chi siamo e chi dobbiamo essere; e soprattutto di come dobbiamo guardare al Paese, non dall’alto di una sorta di inesistente, nobiltà ma con la coscienza critica, di chi vuole, pretende, esige (e ne ha il diritto per l’eredità di cui siamo investiti) che quei valori vengano rispettati, attuati, resi sempre più concreti e tangibili. È questo il senso della nostra attività, del nostro lavoro, in definitiva proprio della nostra stessa esistenza: come un’associazione che non vive di ricordi, ma li fa vivere, guardando al presente e al futuro. Ai dirigenti, agli iscritti, ai vecchi e ai giovani, alle donne e agli uomini deve essere chiaro e fermo che l’ANPI esiste ed esisterà per difendere la democrazia, per praticare l’antifascismo, per ottenere libertà, eguaglianza e dignità, nel nome della fratellanza e della solidarietà, che furono tanta parte della Resistenza e che debbono restare il collante di tutti i sinceri democratici, contro ogni rischio di deviazioni rispetto al percorso che la Costituzione, in nome di tutti i combattenti per la libertà, ci ha perentoriamente indicato.”
Il Presidente Smuraglia rimanda l’enucleazione della permanenza delle ragioni per la testimonianza dell’ANPI al titolo che la maggiore associazione partigiana ha tuttora sul terreno della capacità aggregativa e militante.
Che, ha ricordato con un certo orgoglio ed una certa aria di compiaciuta sfida, conta su una base rilevante di iscritti (oltre 120.000 anzi, per essere precisi, oltre 124.000, con l’aggiunta di quasi 900 tessere di “amici dell’ANPI). “Siamo strutturati su 107 Comitati provinciali e 1482 Sezioni, di cui sette all’estero; 17 Coordinamenti regionali; 3 Responsabili di area. Assicuriamo la presenza in tutto il Paese, compresi gli angoli più remoti e quelli in cui, fino a poco tempo fa, l’ANPI era assolutamente inesistente o ignorata”.
Appare assolutamente interessante e didascalico, questo appariscente rimando della relazione introduttiva del presidente uscente. Ad approcci troppo superficiali ed a percezioni avulse dall’esposizione strutturata tipica della vecchia sinistra potrebbe, infatti, dire poco ed indurre a pensare a finalità da “conto morale”.
Non è così; perché la ricognizione sulla consistenza associativa è mossa, al di là del legittimo orgoglio suscitato dalla constatazione di essere ancora un corpo di massa, dall’intenzionalità di un messaggio non criptico “Un dato fortemente superiore non solo a quello di altre associazioni, ma perfino dei partiti che ancora restano sulla scena.”
Un siffatto messaggio ha come riferimento la scansione della post-produzione congressuale. Che sarà sicuramente incardinata nel prosieguo della feconda testimonianza dell’ANPI tra le nuove generazioni, nel settore scolastico - educativo, nella cultura, nell’impegno per la pace. Ma, come aveva anticipato la Direzione Nazionale licenziando il documento preparatorio e come hanno ribadito la relazione, l’ampia discussione, le conclusioni, la mission dell’immediato futuro (che ha tutti i profili di un presente da tempo iniziato) è inequivocabilmente quella della scesa nel campo della politica, oseremmo dire, “secolarizzata” dallo scontro quotidiano alle viste.
Oddio, non è che l’ANPI, nel passato, abbia consumato il tempo a rimirare l’ombelico della mistica antifascista.
La sua testimonianza è sempre stata del tipo “militante”, inteso nel senso di un certo collateralismo alle ragioni ed alle sottese mobilitazioni della “sinistra”, genericamente intesa e specificatamente comunista. Specialmente quando i temi che agitavano le mobilitazioni attenevano, esemplificando, alla pace ed alla difesa dell’ordine repubblicano.
Memorabile fu la testimonianza antifascista in occasione della battaglia della “legge truffa” del 1953 e del contrasto ai tentativi eversivi del 1960 e successivi.
Osservavamo, a conclusione della cronaca dei lavori del congresso provinciale che “Il baricentro dell’ANPI, per molti decenni griffato dall’egemonia social-comunista (specialmente in fasi contraddistinte dalla marcata influenza delle componenti massimaliste del PCI), si sposterebbe inesorabilmente verso il collateralismo con la sinistra radicale. Con consistenti probabilità di tensioni interne e di criticità nei rapporti con l’affratellata Associazione Partigiani Cristiani, con cui il rapporto collaborativo è stato fin qui particolarmente edificante.”.
Ove, nel prosieguo, si accentuasse la tendenza enucleata “dall’inclinazione di alcune sensibilità a fare dell’ANPI un soggetto associativo dalla ragione sociale snaturata. Una testimonianza su valori fuori tema (le migrazioni, l’acqua bene comune, un pacifismo a senso unico e quant’altro) costituirebbe, quand’anche tali sensibilità fossero fortemente maggioritarie od addirittura unanimi, condizione per una deriva strumentale”.
Ne scaturirebbero sia una metamorfosi del gene dell’ANPI, che da associazione di testimonianza antifascista muterebbe in pieno soggetto politico, sia un serio pericolo per la sua coesione.
Il sen. Smuraglia più che smentire la volontà di un siffatto approdo lo esorcizza, ponendosi (o tentando) “fuori dalla mischia”.
Nel non assolutamente convincente tentativo di separare la scelta di mettersi alla testa con altri soggetti del fronte intransigente del NO alla riforma costituzionale, che sarà oggetto del referendum di ottobre.
Nella relazione il presidente dell’ANPI, scandisce: “Abbiamo ribadito più volte, con estrema fermezza, che non possiamo avere governi “amici” e che non possiamo concepire, in linea di principio, una “inimicizia” di fondo nei confronti di un Governo, o comunque, di una qualsiasi istituzione del Paese, a meno che ci si trovi di fronte a comportamenti di carattere schiettamente fascista o populista, o comunque autoritario... Ma questo non è accaduto; e tuttora conserviamo una linea che non è mai di critica aprioristica, ma di discussione e di critica esclusivamente sulle singole iniziative e sugli specifici comportamenti che ci sembrano meritevoli di essere messi in discussione o anche, nei casi più gravi, duramente contestati ”.
Se si considera lo spessore del relatore, difficilmente ci si può avventurare nel sentiero dell’intenzionalità di un punto d'arrivo che, di fatto, collocherebbe l’ANPI su un versante di discontinuità rispetto alle sue finalità ed alla sua storia.
Ma tant’è; gli snodi dell’intervento di Smuraglia che ha messo in asse il maggior progetto del futuro immediato, sembrano indicare, in filigrana, approdi forse non auspicati nelle intenzioni ma sicuramente imposti dagli snodi concreti.
In materia, Smuraglia ha affermato “Abbiamo ripetuto fino alla noia che non siamo conservatori e non siamo contrari a qualsiasi modifica della Carta; abbiamo altresì chiarito che anche sulla questione della correzione del “bicameralismo perfetto” non abbiamo obiezioni, se davvero si tratta di correzioni e non di stravolgimenti.
Quando si è prospettato il problema del referendum, ne abbiamo ampiamente discusso, in due riunioni del Comitato Nazionale (28 ottobre 2015 e 21 gennaio 2016) e alla fine abbiamo assunto la decisione di partecipare alla campagna referendaria per eliminare del tutto la legge di riforma del Senato e modificare, nella sostanza, la legge elettorale.
Abbiamo ritenuto che questo fosse il nostro dovere e che fosse necessario assumerci questa responsabilità, anche in un periodo per noi non facile e complesso”.
Non si sa se più per esorcizzare conseguenze che non saranno comunque una passeggiata per l’ANPI ovvero se per tentare un’excusatio non petita, il relatore, mostrando di non poter intravvedere all’orizzonte opzioni alternative, considera indubitabilmente: “ l’ANPI avrebbe perso ogni credibilità, perché dopo aver sostenuto questi princìpi in una battaglia, durata ben due anni, sarebbe stato quantomeno incoerente tirarsi indietro al momento delle decisioni conclusive.”
Al sostegno filologico della scelta aggiunge la circostanza del consenso interno conseguito nel corso della fase preparatoria del 16° Congresso: “ Il documento è stato approvato a larghissima maggioranza e che, quando si è votato nei Congressi sul tema del referendum, a riguardo di documenti o emendamenti presentati nel corso del dibattito, la prevalenza dei favorevoli al NO è stata schiacciante (2501 favorevoli e 25 contrari); quasi nulli i voti favorevoli al SI. C’è stato un certo numero di astensioni su quei testi, dimostrativo di qualche perplessità e – magari anche – di contrarietà, sul punto; sono comprensibili e apprezzo anche le astensioni che attestano che vi è una forte tendenza in favore dell’unità dell’ANPI ed una seria preoccupazione (la stessa che abbiamo avuto nei diversi Comitati nazionali che si sono occupati delle riforme), di evitare, in tutti i modi, spaccature. Il bene dell’unità dell’ANPI è prezioso; è sopravvissuto anche a questa modesta diversificazione di opinioni e sopravvivrà sempre, almeno fino a quando prevarrà – come spero – la spirito di appartenenza su ogni altra valutazione.”
Di più Smuraglia, volendo minimizzare forse addirittura scongiurare i pericoli latenti in una temperie mai così critica per i rapporti interni, si affida ad un benaugurante “Risvegliamo un po’ di senso di appartenenza, non farà male a nessuno, anzi ci aiuterà a sentirci più forti ed uniti.”
Un vaticinio, in cui non v’è chi non veda una manifesta contraddizione con il motto della scesa in campo: “Non basteranno le parole, perché la lotta sarà dura, come lascia intendere l’impegno dello stesso Governo in una campagna referendaria estremizzata. Non c’è dubbio che Renzi metterà in campo tutti gli strumenti, per vincere quella che considera una partita decisiva. Noi dobbiamo, con la nostra correttezza, con la nostra lealtà e con la massima apertura e nello stesso tempo con la massima autonomia e indipendenza, combattere questa battaglia seriamente e fino in fondo, per obbedire ad alcuni doveri inderogabili consacrati nel nostro Statuto.”
Se bastassero le tranquillizzanti locuzioni “Dobbiamo usare la forza degli argomenti, la semplicità delle spiegazioni, la chiarezza massima”, ogni criticità sarebbe scongiurata.
Ma nel percorso si sono insediate due circostanze non esattamente promettenti.
La prima concerne la blindatura della testimonianza dell’ANPI nella campagna referendaria. Parliamo di blindatura per riferirci al ripristino di regole, mutuate da un “centralismo democratico” di stampo comunista, che, nella lunga storia dell’ANPI, ha poco albergato nella teoria e nella prassi.
I “paletti” delle prerogative di espressione sono state delineate (per di più dalla tribuna del massimo consesso) secondo un indirizzo che non lascia molto spazio né alla fantasia né ad interpretazioni accomodanti: “Qualcuno, anche fra noi, non è e non sarà d’accordo; lo sappiamo e riconosciamo non solo il diritto di pensarla diversamente, ma anche quello di non impegnarsi in una battaglia in cui non si crede. Ma non riconosciamo e non possiamo riconoscere il diritto a compiere atti contrari alle decisioni assunte; lo prevedono lo Statuto e il Regolamento, in modo nettissimo, l’obbligo degli iscritti al rispetto dello Statuto e del Regolamento e delle decisioni degli organismi dirigenti. Dunque, niente pronunce pubbliche per il SI, niente iniziative a favore o con i Comitati per il SI e nessun ostacolo, esplicito o implicito, alla nostra azione. Questo deve essere ben chiaro a tutti e deve essere fatto rispettare dai nostri dirigenti. Così come deve essere chiaro che questa è una battaglia che impegna tutta l’ANPI; siamo dunque interessati tutti, a che questo impegno finisca bene, con un successo delle nostre idee e del nostro lavoro.”
La seconda controindicazione, che destabilizza le edificanti aspettative di Smuraglia e dell’intera ANPI (se fosse vero il tasso plebiscitario di sostegno alla linea congressuale), risiede nel tenore dei riscontri.
Smuraglia dalla tribuna congressuale li ha in parte minimizzati ma non negati: “l’articolo di Rondolino, alcune battute che circolano o si fanno circolare sulla rete, di carattere fazioso e provocatorio”.
Gli è che lo scambio “dialettico” con Rondolino (“Quando ha manifestamente dato la dritta d’attacco alla riforma costituzionale del governo Renzi, sono rimasto incredulo”) e la testata su cui il summentovato scrive (quell’Unità che continua a fregiarsi del titolo gramsciano) non è stato esattamente una serata di gala. Che fa in ogni caso capire che tutti gli snodi della vicenda non saranno una serata di gala. Come dimostra il tono della partecipazione al confronto; quale è stato il contributo del compagno cremonese Elio Susani che sotto riportiamo integralmente:
“Sto seguendo in questi giorni con molta attenzione la polemica nata dopo l’articolo di Fabrizio Rondolino, che ha scatenato la polemica con il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia.
Il mio album di famiglia, se servisse, è il seguente: figlio di Davide Susani (Cleto), Commissario politico nel 288° Raggruppamento Garibaldi SAP “Ferruccio Ghinaglia” Quarta Brigata di Città, Cremona. In famiglia abbiamo anche Giorgio Susani, Medaglia d’Oro al Valore Militare alla Memoria della Resistenza, Vice Comandante Brigata “Centocroci” SP-PR. Nipote del nonno materno Ettore Pagliarini che Corrado Staiano cita nel suo La città rossa e lo chiama “il mio postino”, che di notte portava clandestinamente le lettere censurate o sequestrate dei deportati nei lager nazisti ai loro familiari.
Non debbo ricorrere a tante perifrasi, o inutili giri di parole. Quando il prof. Smuraglia e il Direttivo nazionale dell’Anpi, cui io sono iscritto dal 1973, ha manifestamente dato la dritta d’attacco da parte dell’Associazione alla riforma costituzionale del governo Renzi, sono rimasto incredulo. Ma non ho proferito verbo.
Ma la dose aumenta: ho ricevuto, a pochi giorni dal referendum sulle trivelle, il comunicato dell’Anpi cremonese qui allegato, che oltre a spendersi attivamente per il voto, esplicitamente considera tutto ciò come “allenamento” per la partecipazione battagliera che l’Associazione dovrà fornire al No referendario autunnale contro la riforma costituzionale.
Ho provato a interloquire in merito, asserendo che ritengo più propri dell’Anpi i compiti di rinvigorire la storia e la memoria della Resistenza, dei Partigiani, delle loro battaglie e dei loro sacrifici, piuttosto che scendere nell’agone referendario attuale, e con un piglio antigovernativo tout court che non fa assolutamente indignare, ma fa semplicemente sorridere. Non dico nemmeno i commenti che ho suscitato nelle email di alcuni associati cremonesi, notoriamente “contras professionisti”, se mi è lecito usare terminologia leggera e, perché no, buffa nel tentativo di alleggerire le pieghe drammatiche di questa incredibile polemica.
Di poi, il noto esito del referendum, ha reso costoro ancora più… assatanati e “affamati di vendetta, tremenda vendetta”. Gli “eredi dei partigiani” oggi ne fanno una ragione di vita. Penoso.
Ebbene, le assicuro, questa non è la mia Anpi. Invito Rondolino a non farsi intimidire. Le persone intelligenti esistono”.
Dovrebbe essere ben chiaro che chi scrive non auspica certamente che la palla di neve del dissenso di Rondolino e di Susani diventi una slavina, suscettibile di travolgere la coesione dell’ANPI.
Ma bisognerebbe sapere che, quando si attivano dinamiche del tipo delle limitazioni imposte al libero pensiero ed alla libera espressione, può succedere, come sta succedendo, che ai Rondolino ed ai Susani seguano altre prese di distanza (Bolzano, Trento, Imola, Grosseto, Pordenone e Ravenna) e che, vieppiù procederà il percorso di avvicinamento al referendum, possa innescarsi un meccanismo domino. Per la tenuta della coesione e per il senso della testimonianza dell’Associazione. Se sono sempre più coloro che, come il maggior esponente emiliano, si chiedono “Siamo sicuri che la battaglia giusta da combattere ora sia quella per il no?”
Forse c’è ancora tempo per gli amici ed i compagni del’ANPI per scongiurare nefaste derive e per dare risposte congruenti all’esigenza di rinnovamento del sistema-Italia.
CARLO SMURAGLIA Confermato dal 16° Congresso alla guida dell’A.N.P.I.
Eletto al vertice della più importante Associazione partigiana il 16 aprile 2011, è stato confermato nell’incarico nei successivi Congressi Nazionali; tra cui il 16°, recentemente svoltosi a Rimini.
Smuraglia, classe 1923, ha connotato una lunga e significativa testimonianza civile, professionale e politica.
Ha attivamente partecipato alla Resistenza come volontario nel Corpo italiano di liberazione (Divisione Cremona, 8° armata). Subito dopo la Liberazione avrebbe iniziato un percorso di notevole rilievo professionale come avvocato e docente universitario e politico (Consigliere e Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia e membro del Senato della Repubblica dall’aprile del 1992 al maggio 2001). In tale veste svolse la funzione di Commissario d’accusa nel processo “Lockheed”. Ha ricoperto, durante il mandato parlamentare, incarichi di notevole prestigio( Presidente della Commissione Lavoro e componente della Commissione parlamentare antimafia. Successivamente, dal febbraio 1986 al luglio 1990, è stato membro “laico” del Consiglio Superiore della Magistratura.
Attività professionale e testimonianza civile si sono a lungo intrecciate. Nella lunga carriera forense si è occupato di sicurezza e igiene del lavoro ed è stato protagonista di alcuni significativi processi politici, fra i quali, a Pisa, un procedimento in Corte d'Assise nei confronti di un gruppo di partigiani (tutti assolti) e, a Milano, il processo per i fatti di Reggio Emilia del luglio 1960. Nel quale ha svolto anche il ruolo di difensore di parte civile per i familiari dei caduti, assieme ad altri colleghi di Reggio Emilia e di Milano.
Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo insigni nel 1980 della onorificenza di “Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana”.
1° Foto: Bandiera Anpi
2° Foto: Carlo Smuraglia
In allegato una cartolina dell'ANOI del 1953 contro la legge truffa