Era il 28 febbraio del 1986 quando il primo ministro, Olof Palme, all'uscita da un cinema di Stoccolma assieme alla moglie Lisbet venne raggiunto da alcuni colpi di pistola.
Morì dissanguato di li a poco.
Il principale indiziato era un estremista di destra, tale Stig Engström che si tolse la vita nel 2000.
Il 10 giugno scorso, a distanza di trentaquattro anni dall'omicidio dell'indiscusso "padre" della Svezia moderna e della socialdemocrazia scandinava, la procura svedese ha archiviato le indagini.
Il caso dell'omicidio del leader socialdemocratico fu uno choc per tutta la Svezia e rimane tuttora avvolto nel mistero, ma il procuratore capo di Stoccolma, Krister Petersson, ha messo la parola fine, data l'impossibilità ad interrogare colui che in definitiva rimaneva l'unico sospettato.
Pubblichiamo il contributo di Valdo Spini, Presidente della Fondazione Circolo Rosselli in memoria dell'indimenticato leader politico svedese.
In ricordo di Olof Palme
È scomparso con Olof Palme uno dei grandi leader del socialismo europeo. Quando gli italiani non avevano ancora bene afferrato cosa fosse la socialdemocrazia del Nord Europa (stretti come erano tra un marxismo schematico ed un cattolicesimo timoroso), la Svezia era la società mitica da additare come il massimo punto di arrivo dello Stato del benessere, con il suo alto reddito pro capite, con i suoi servizi sociali, con la libertà e la tolleranza che le erano riconosciute. Pochi, magari quelli che avevano visto il film «Adalen '31», dove veniva rievocato l'ultimo sanguinoso episodio di repressione del movimento sindacale svedese (da cui la socialdemocrazia avrebbe tratto spunto per la sua prima vittoria), sapevano quale bagaglio di lotte vi era dietro questa affermazione del socialismo in quel Paese.
Ebbene a questo Stato del benessere, a questo mondo occidentale soddisfatto di se stesso, che si era all'improvviso trovato di fronte alla sfida della guerra del Vietnam, della guerra impossibile da vincere rimanendo ancorati ai criteri democratici propri delle società occidentali, Olof Palme, allora giovane ministro, aveva saputo dare una risposta vincente.
Ricordo l'effetto che fece nel 1969, in noi giovani, particolarmente quelli che, nonostante l'emergere e l'affermarsi della contestazione giovanile, rimanevano tenacemente attaccati alla vecchia quercia della tradizione socialista, la notizia che un ministro in carica della socialdemocrazia svedese era sceso in strada a marciare con i giovani che dimostravano contro la guerra che insanguinava il Sud Est asiatico e che veniva a negare appunto quei valori di libertà, di democrazia propri delle società occidentali.
Olof Palme era quel ministro e rappresentò quindi la capacità del vecchio ceppo della socialdemocrazia svedese di rinnovarsi e di adeguarsi alla fine degli anni Sessanta.
Divenne quindi naturale la sua successione quale primo ministro. Durante il suo governo si conobbe l'esperienza di quel piano Meidner, sulla graduale assunzione di quote di proprietà delle imprese da parte dei sindacati dei lavoratori, che tanto fece discutere come l'esempio più avanzato di proposte di transizione graduale e pacifica verso il socialismo. Anche Palme dovette conoscere il «riflusso» moderato, che lo portò per breve tempo fuori del governo, ma seppe dimostrare di essere capace di riorganizzare le file del partito per riconquistarlo, e di continuare a tenerlo, pur di fronte alle non facili prove della crisi del Welfare State.
Ricordo personalmente che, appena prima dell'ultimo congresso del PSI di Verona (aprile 1984), al bureau dell'Internazionale Socialista che si svolgeva in Danimarca, in una scuola sindacale non lontana da Copenaghen, un giornale danese di tendenza liberale volle chiedere una intervista parallela a lui e a me, come esempio rispettivamente di un socialismo nordico e di un socialismo meridionale. Ricordo le differenze in politica estera (la Svezia essendo Paese neutrale, senza vincoli NATO, impegnato nella ricerca di soluzioni di disarmo in Europa) ma ricordo, soprattutto, la tenacia e l'orgoglio con le quali egli rivendicava l'attualità degli obiettivi della socialdemocrazia tradizionale, di quella svedese in particolare. Disse in quella occasione Palme
la piena occupazione è e deve rimanere l'obiettivo fondamentale del socialismo, non vedo come essa possa essere un obiettivo passato di moda.
Come la socialdemocrazia svedese era stata svalutata da sinistra nel passato, da molti commentatori del nostro Paese, così negli ultimi tempi c'era stata una tendenza a svalutarla da destra, in altre parole a darla per spacciata, a causa della crisi dello Stato fiscale, dello Stato del benessere, dell'utopia pacifista, moralista e di ispirazione protestante.
Olof Palme dimostrò con i fatti che questo non era vero e che, pur in mezzo a molte difficoltà, la socialdemocrazia svedese continuava a vincere. Al suo successore, l'onere di continuare il suo compito.
Valdo Spini