A corredo della conferma dell'evento, per il quale è prevista una significativa partecipazione, pubblichiamo di seguito una sintesi delle riflessioni di Antonio Grassi
La legge 81 del 25 marzo 1993 ha introdotto l'elezione diretta dei sindaci e del consiglio comunale. Nel frattempo i partiti sono mutati e oggi si presentano più fluidi, meno legati all'ideologie e ai dogmi. Con un'espressione di moda, sono più liquidi.
Questi cambiamenti hanno favorito, soprattutto nei piccoli centri, prima la nascita, poi la proliferazione di liste civiche, aggregazioni non espressione diretta dei partiti, ma non disgiunte da una determinata connotazione politica più o meno accentuata.
I sindaci gratificati da una maggiore autonomia decisionale sono stati contemporaneamente caricati di ulteriori responsabilità amministrative e programmatorie.
L'elezione diretta e la legittimazione popolare, i nuovi scenari politici e socio-culturali sono bastati e bastano da soli per conferire ai sindaci la volontà, la capacità, l'impegno, la competenza di svolgere il ruolo di gestori del territorio?
Non esiste una risposta precisa, netta e univoca. Fattori oggettivi e personali determinano analisi e valutazioni relative alle varie realtà.
La prima e più importante discriminante è la dimensione del comune. Nelle città la componente ideologica è più marcata e l'acquisizione del consenso non può prescindere dall'apporto dei partiti. Nei paesi le ideologie sono più sfumate e l'appoggio degli apparati non è determinante per il risultato elettorale.
Poi ci sono le variabili dipendenti da storia, tradizione, cultura dei singoli comuni. Da non trascurare personalità e background del sindaco eletto e della squadra che lo sostiene.
I singoli comuni di un territorio non sono delle unità indipendenti, ma connesse tra loro. Formano un sistema. Nel futuro prossimo la connessione sarà sempre più stretta.
Motivi economici e gestionali impongono aggregazioni di funzioni e condivisioni di servizi che già oggi sono irrinunciabili. Tanto maggiore è l'efficienza di queste connessioni e tanto maggiore è l'efficienza del singolo comune e del territorio-sistema d'appartenenza.
Il sistema Cremasco è efficiente o inefficiente, adeguato o inadeguato?
Sulla capacità dei sindaci di utilizzare l'autonomia a loro assegnata dalla legge e dall'evolversi della società mi astengo dal giudicare per correttezza e rispetto dei colleghi. Rispondo, invece, alla questione sistema, forte dell'esperienza maturata in oltre cinque anni al governo di un piccolo comune.
Se si considera una scala dell'efficienza da 1 a 10, assegno 5 al sistema Cremasco.
È connesso, ma funziona a intermittenza.
Con notevoli potenzialità sulla carta, non le sfrutta. Squadra di calcio con caratteristiche per eccellere, non vince mai lo scudetto. Gioca sempre in difesa. Non anticipa le criticità. Le rincorre. Chiude la stalla quando i buoi sono scappati, se si sta nel popolare. Troppo tardi rinsaviscono i Frigi, se si preferisce l'intellettuale.
Possiede una struttura chiamata Area Omogenea che dovrebbe, appunto, omogeneizzare le istanze dei comuni aggregati, in realtà è disomogenea. Mi sia concesso, divisiva. Quasi inutile.
Crema, naturale punto di riferimento del sistema Cremasco, non svolge in maniera incisiva questo ruolo. Un limite congenito, non legato all'attuale sindaco, ma patrimonio anche dei suoi predecessori. Si trova nel Dna della città. Crema si sente superiore al contado e ha difficoltà a dialogare con i piccoli comuni. Crema è l'aristocrazia, i paesi la plebe. Crema è fighetta. I paesi ruspanti.
La città tende ad imporre le proprie scelte al circondario, quasi sempre accettate senza un confronto dialettico degno di tale nome. Non è segno di unità, ma origine di mugugni postumi, sterili e pertanto inutili. Ufficialmente il Cremasco ha un capo riconosciuto da tutti, ma per le ragioni esposte sopra è un sistema acefalo.
Il 5 è generoso se si considera il rapporto del sistema Cremasco con quello provinciale o regionale e gli organismi decisionali superiori. Contiamo nulla.
Resta indelebile nella memoria il trattamento riservato nella primavera del 2016 a una delegazione di sindaci cremaschi. Arrivati a Cremona, dove era in programma un Tavolo di confronto sui problemi della provincia, presente il sottosegretario regionale, la delegazione è stata dirottata in piccionaia, al primo piano della sede dell'Ufficio territoriale regionale. Un cordone sanitario ha impedito ogni contatto con i partecipanti al Tavolo. Perché? I membri della delegazione cremasca non erano portatori di Ebola e il coronavirus non era ancora attivo. Trattati con una disponibilità di facciata, peggiore di un vaffanculo riservato ai rompicoglioni, ai sindaci cremaschi è stato concesso di interloquire solo con il sottosegretario. Ascoltati come si ascolta un paria. Tre minuti e via.
Un capitolo a parte meriterebbe il rapporto con i partiti, che a pieno titolo sono una componente significativa del sistema Cremasco. Nessuno li mette in discussione e nessuno ipotizza un partito dei sindaci, ma il rapporto con loro andrebbe ricalibrato, per evitare situazioni kafkiane e avvilenti come è accaduto per l'elezione del presidente della provincia.
Altrettanto spazio lo esigerebbero le proposte per migliorare l'ambaradan. Ma sarebbe chiedere troppo alla pazienza del lettore.
Chi però fosse interessato alla questione può partecipare all'incontro in programma sabato prossimo 8 febbraio, alle 10, nella sala Ricevimenti del comune di Crema.
Parafrasando Al Pacino, coach impareggiabile e vincente: «O il Cremasco risorge adesso come collettivo, o sarà annientato individualmente». Forse ho esagerato. Questa potevo risparmiarla. Ma perché non provarci?