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Il prossimo 11 giugno socialisti cremaschi sostengono la lista ‘cambiare si può’

Il Comune di Crema al rinnovo del mandato amministrativo la comunità socialista per “cambiare si può”

  26/04/2017

A cura della Redazione

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Si approssima la tornata elettorale (11 giugno) per il rinnovo dei mandati amministrativi. Interesserà 153 Comuni superiori ai 15.000 abitanti, di cui 21 capoluogo di provincia e 4 comuni capoluogo di provincia e Regione, e 858 inferiori ai 15000 abitanti. Il nostro territorio (se non fosse per Crema che è il secondo più importante della provincia) ne risulterebbe, in apparenza, per numero dei Comuni (cinque: Credera Rubbiano, Pozzaglio ed uniti, Robecco d'Oglio, Torricella del Pizzo oltre alla città del Serio) e per consistenza del corpo elettorale chiamato ad esprimersi (32.437), marginalmente interessato.

Va in ogni caso considerato che, al di là dei due parametri indicati, tale tornata, proprio perché coinvolge il capoluogo del comprensorio cremasco, si prospetta come un fatto politico non trascurabile. Altresì, va osservato che, in aggiunta a tale indubbio rilievo, questo election day eminentemente comunale si situa al giro di boa del mandato, iniziato nel 2014. Che riguarda la stragrande maggioranza dei 115 Comuni e che andrà a concludersi tra due anni.

Per questa premessa, non v'è chi non veda nelle urne dell'11 giugno un test limitato, ma significativo. Soprattutto, per la ricaduta che i risultati di Crema potrebbero, almeno tendenzialmente, avere sui futuri equilibri politici del territorio.

Il Capoluogo comprensoriale, come si ricorderà, durante il ciclo centrista della prima repubblica, aveva manifestato una propensione alla stabilità sotto il segno scudocrociato (una sorta, si diceva, di Vandea uniforme in tutto il territorio e politicamente omogenea alla fascia pedemontana “bianca”).

Tale predominio, che, va detto per ragioni di obiettività, espresse governi discretamente efficienti (anche se non totalmente aperti alla socialità ed alla domanda di cambiamento pretesa dai tempi), si stemperò all'inizio degli anni 70. Quando esigenze di governabilità obbligarono la DC ad associare a responsabilità esecutive un Partito Socialista elettoralmente rappresentativo e tendenzialmente proiettato verso la modernizzazione ed una perequazione sociale da perseguire attraverso il potenziamento dei servizi.

Fu, quel passaggio, l'anticamera di una marcata discontinuità rispetto al passato. Donde scaturirono per la prima volta (ovviamente dopo i mandati della Liberazione e quello immediatamente successivo) l'elezione di un sindaco socialista (Noci) ed, addirittura, un sia pur fragile e transitorio assetto di sinistra. E la conseguente (e transitoria) collocazione della DC nei ranghi dell'opposizione.

La successiva risacca (comune a non poche realtà che, non considerando realisticamente l'equivalenza del rapporto di forze, avevano fatto - a sinistra - un passo più lungo della gamba) avrebbe ripristinato le tradizionali alleanze. Che, ancorché sfibrate tanto dall'inconciliabilità di linee divergenti quanto dall'incombente collassamento del ciclo della prima repubblica, rimanevano coerenti con un quadro regionale e nazionale perché, soprattutto, prive di alternative. E mentre il Comune Capoluogo di provincia andava situandosi lungo una sostanziale continuità rispetto ad una tradizione vagamente di sinistra o di centro-sinistra, Crema avrebbe incardinato una sorta di alternanza/pendolarità. Suscettibile di sperimentare inedite formule, anticipatrici della transizione e della seconda repubblica.

I rapporti di forza, nella prima fase del nuovo scenario, segnarono, a Crema e (sia pure a macchia di leopardo) in tutto il territorio cremasco, la marcata prevalenza del fattore di discontinuità rappresentato dalla Lega. Una volta venuta meno l'autosufficienza del Carroccio, si sarebbero poste le premesse per un assetto, anche in sede locale, di alleanze tra una Lega pur sempre a doppia cifra ed il polo berlusconiano. Che, sotto la prevalente egida ciellina, avrebbe beneficiato del travaso del bacino elettorale moderato-conservatore, che era stato della DC e che sarebbe stato la base quasi stabile di consenso per i nuovi scenari.

Da lì in poi la cifra del potere politico locale avrebbe seguito le orme dell'alternanza nei ruoli di governo tracciate dagli equilibri nazionali. In tale sovrapposizione potrebbe aver giocato un ruolo la tendenza sinergica tra voto nazionale e voto locale. Anche se non appare del tutto estranea l'ipotesi dell'incidenza (che potrebbe ripetersi l'11 giugno) di un fattore eminentemente locale, rappresentato dalla dissociazione dei consensi, orientati da una valutazione mirata delle performances amministrative.

Insomma, per esaurire un'analisi magari suscettibile di non incontrare consensi unanimi, questa alternanza, favorita da una non irrilevante aliquota di elettorato mobile, potrebbe essere stata segnalatrice sia di una maturità del corpo elettorale sia della crescente consapevolezza dei limiti di un ceto politico-amministrativo, assolutamente imparagonabile, per dedizione civile e capacità di trasfondere in progettualità la lettura dei cambiamenti in corso, con la stagione di leader amministrativi come Cabrini, Cattaneo e Lucchi (nel campo dc) e come Noci e Bianchessi (in quello socialista).

Parleremmo bene per principio delle nuove leve. Ma come fai a non rimpiangere i democristianoni tutti d'un pezzo della Balena Bianca se pensi che il loro testimone è stato rilevato da quella sorta di satrapia che si è rivelato l'aggregato ciellino. Che, volens nolens, ha costituito, come (nell'opposto campo) il post-PCI, il vero stabile asse dell'equilibrio politico amministrativo.

La cifra comune dei due opposti campi è rappresentata, da un lato, dall'assenza quasi totale di un criterio ispiratore del proprio progetto di governo e, dall'altro, dall'inclinazione ad affidarsi ad un pragmatismo, privo di seri agganci all'evoluzione del quadro generale.

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