Le scelte subordinate degli elettori socialisti
L'8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento europeo ma anche, in buona misura, per i Sindaci e le amministrazioni comunali dei rispettivi Comuni di residenza. Un appuntamento politico amministrativo di vasta rilevanza che, prevedibilmente la metà degli elettori diserterà, come nelle ultime consultazioni, in quanto assenti di stimoli e novità per recuperare la fiducia dei cittadini nella politica e nelle Istituzioni.
Basta prestare anche un minimo attenzione sui temi della campagna elettorale per rilevare come il confronto sia usurato e prevalentemente incentrato su questioni nazionali, piuttosto che rivolto al panorama internazionale ed al futuro dell'Europa.
Alle già conosciute e deprecabili pluri-candidature, la debordante personalizzazione politica, ha ulteriormente ampliato l'inganno verso gli elettori, ad opera dei leaders di partito, sfacciatamente impegnati a chiedere i voti per essere eletti nelle assemblee europee, quando è risaputo essere incompatibili con i loro ruoli di parlamentari esercitati in Italia.
Di fonte a tali comportamenti, lasciarsi andare allo sconforto, è più che comprensibile, ma rinunciare al diritto/dovere del voto, è un grave errore perché solo tale adempimento può riscattare la dignità dell'elettore, determinare il successo o meno delle liste, eleggere al Parlamento europeo, i candidati più idonei in base alle loro competenze.
Questo appello vuole essere particolarmente rivolto all'elettorato socialista in senso lato, a trent'anni dalla dissoluzione dello storico PSI, ove le organizzazioni che continuano a ritenersi eredi del socialismo italiano, hanno mancato l'ennesima occasione di presentare unitariamente una lista autonoma, grazie anche al sistema proporzionale, sia pure con sbarramento al 4%, vigente per le elezioni europee.
L'assenza di tale lista impone agli elettori di orientamento laico progressista, l'individuazione della opzione subordinata, più compatibile con la cultura socialista.
Premesso il quadro creatosi dove il Psi di Maraio ha condiviso la proposta di Emma Bonino, i socialisti liberali, meno visibilmente, quella di Carlo Calenda, altri si ritrovano in coalizioni apertamente contrastanti la tradizione socialista, personalmente, ritengo meritevole di attenzione la lista Stati Uniti d'Europa, composta da Più Europa, Italia Viva, Psi, Radicali, Libdem e l'Italia c'è.
La convergenza della rappresentata area politica riformista, può essere determinante nella composizione delle future alleanze alla guida della Comunità europea, e certamente spiace il defilamento di Azione, avvenuto non già per divergenze programmatiche.
La lista non prefigura, dopo il voto, la nascita di alcun partito unico tra le componenti partecipanti, ma l'impegno reciproco a costruire analoghe aggregazioni liberal, democratiche, laico, socialiste, ovunque possibile.
Esplicitamente quindi in caso di elezione, i candidati socialisti aderiranno alla famiglia del socialismo europeo, che pur bisognosa di una forte rigenerazione, nessun può imporci di abbandonare.
Per tutto quanto premesso, pertanto nella nostra circoscrizione Nord Ovest, comprendente Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, oltre a contrassegnare il simbolo della lista Stati Uniti d'Europa, mi pare coerente sostenere anche, con le preferenze, le candidate proposte dal Psi: Daria De Luca ed Enrica Cattaneo.
Passando alle consultazioni per i rinnovi amministrativi della nostra provincia, va subito anteposto che la laboriosa cornice politica nazionale, localmente non è stata mai richiamata né perseguita in nessun ambito.
Se oggettivamente è impensabile adottarla nei piccoli Comuni, più grave è stata la mancanza volontà a convocare almeno un tavolo di confronto sovraccomunale e specificatamente a Cremona, sui problemi e sulle aspettative prioritarie del territorio.
Ciascuna forza politica si è mossa autonomamente, pensando più opportuni e convenienti percorsi separati, anziché agire per la costituzione di un polo con un proprio candidato sindaco.
Anche nella nostra Provincia, come a livello nazionale, l'area socialista si presenta tutt'altro che coesa: diversi socialisti si registrano nelle svariate liste civiche comunali, senza alcun coordinamento formale tra di loro, ad eccezione dei candidati proposti dal PSI nella lista promossa da Sinistra Italiana e Verdi, a supporto della attuale maggioranza amministrativa e quindi della sua riconferma.
Proprio in questo ambito, la linea editoriale dell'Eco del Popolo, nonché il parere dei cremonesi aderenti alla Associazione socialista liberale, di Mauro del Bue, sono attestati su posizioni opposte e e reclamanti delle radicali discontinuità. Una situazione insomma, chiaramente frastagliata e debole per poter incidere nelle scelte amministrative del territorio provinciale e del Comune capoluogo. Per questo sarebbe ora che tra tutte le istanze socialiste del cremasco, cremonese e casalasco, si condivida una nuova ed unitaria ripartenza politica amministrativa, che superi l'autoreferenzialità esistente, nell'interesse delle comunità locali.
Non ci è venuto di meglio di questo supporto iconografico (il berniniano rio del Plata del monumento dei quattro fiumi di piazza Navona) per raffigurare con lievità il nostro raccapriccio nell'avvicinamento all'incipiente contesto preelettorale che confluirà nell'election day dei prossimi 8 e 9 giugno). Opzione che ci iscriverà d'ufficio all'elenco degli ostracizzati per consumato “qualunquismo”. Una sorta di rosa scarlatta con cui decenni fa uscivi dall'asset degli ammessi all'esercizio dialettico.
Non ci è venuto, ripetiamo, di meglio per propiziare un'entrée che fosse ad un tempo efficace non urtasse le suscettibilità. Ma, sinceramente vogliamo (con tutti i rischi interpretativi del caso) sin dall'inizio non tergiversare e lasciare al detto/non detto il sentiment con cui (come il Bernini V/ Borromini) affrontiamo l'analisi del contesto preelettorale. Anche per questo motivo chi scrive si è ridefinita la consegna tra poliziotto buono e quello cattivo. Cosa facilmente verificabile nel tenore della riflessione di Virginio Venturelli e di questa chiosa (di completamento dell'analisi).
Il vernissage della rubrica dedicata all'election day viene così introdotto da “Le scelte subordinate degli elettori socialisti”; con cui l'autore prende, come si suo dire, il toro per le corna. Per un aspetto erroneamente ritenuto minore (i tormenti degli impenitenti socialisti di fronte al voto). Che dovrebbe costituire se non proprio di ansia, sicuramente di profonda sollecitudine, per un parterre civico che volesse esercitare il diritto-dovere a ragion veduta.
Sentiment questo che è plasticamente sviluppato e imperniato nelle coscienze della piccola aliquota elettorale dei “socialisti”, che a partire dal cambio di fase della seconda repubblica non si sono arresi alle evidenze di cosa avrebbe comportato la discontinuità, si sono rifiutati di adattarsene, non hanno accettato le discendenti parti in commedia (spesso fatte ascendere da una continuità ideale, anche se dislocate in campi opposti).
Dura la vita, in un sistema pervaso prima dalla “partitocrazia” e, poi, da una polarizzazione i cui meccanismi, favoriti dal leaderismo e dal “maggioritario”, per gli “apolidi” politici. Quelli ovviamente che rifiutano accasamenti suggeriti dall'ansia di “restare a disposizione”. D'altro lato, il potenziale bacino di consensi residuali di trent'anni fa si è esaurito sia per ragioni, diciamo, naturali sia per disaffezione; sul terreno della marcatura di un'offerta che restasse minimamente esitabile nella quotidianità e che consentisse elementare meccanismo di identificazione.
Si badi bene, dal punto di vista dell'assenza non di un riferimento teorico, bensì di un “occhio di vetrina” che potesse funzionare da condizione di testimonianza e di suffragio elettorale. Checché ne pensino e ne dicano i portatori di nostalgie che non possono fare a meno di nome, simbolo, liturgia partitica, è la fattispecie pennellata addosso, diciamolo con una certa dose di semplificazione, ai socialisti.
È quanto da tempo la nostra testata affronta con l'ormai strutturata rubrica della “sinistra e questione socialista”, apparentemente “specializzata”, ma in realtà rivolta universalmente al deficit prestazionale di tutta la costituency della sinistra sociale e politica. Diciamo in grande affanno, nell'ultima temperie.
Un suicidio sacrificale, quello di reinventarsi (come da anni denunciamo) ruoli (quasi sempre complementari alle tattiche dei padroni dei nuovi equilibri), rinunciando al pieno dispiegamento di un know-how teorico-pratico che rivelerebbe tutta la sua attualità.
Perché a dispetto della condizione di periferizzazione/marginalizzazione, talvolta mitigata in coincidenza di qualche aspettativa di incasso del “brevetto” (nome, simbolo, richiamo alla comune famiglia europea), tipica dei turni elettorali, occorrerebbe rapportarsi all'analisi politica ed alla testimonianza con senso etico.
E, dato che la chiamata alle urne di giugno integrerà anche (anzi, prima di tutto) il suffragio per il rinnovo del Parlamento Europeo, bisognerebbe, anche senza iattanza, dire che, dal punto di vista delle credenziali di appartenenza ad uno strutturato e collaudato progetto, il socialismo italiano, genericamente definito, avrebbe le carte in regola per rappresentare un'offerta di rango al corpo elettorale e al confronto antecedente le urne.
Senza arrenderci ad una forma di mindfulness, sicuramente siamo estranei all'impulso di ricorrere all'arcivernice del professor Alambicchi, suscettibile di postulare la reviviscenza di inopinati passati che non torneranno. Ma forse sarebbe il caso di impegnare una rivisitazione dell'intero scenario in cui da settimane ha preso le mosse l'operazione di accreditamento dei competitors. Chiamando col loro nome cose e soggetti. Come ha fatto qualche giorno fa su Corsera l'editorialista Gramellini: una sinistra che non riesce più (sostituendo il più con un mai, coniugato temporalmente da quando è entrata in servizio la seconda repubblica!) a ridefinirsi (dopo il mezzo secolo di massimalismo comunista, sia pur temperato da visioni e testimonianze di pragmatico realismo, purtroppo mai approdato ad una sinistra riformista) e a compattarsi, se non nell'evocazione del babau di turno. E qui, a dispetto per la grande considerazione verso l'autore, riteniamo la sintassi monca. Aggiungeremmo: a definirsi, nella sistemazione teorica e nei comportamenti effettivi, come si converrebbe ad un player inopinatamente ammesso alla famiglia socialista internazionale ed europea. Ricevendone la patente, ma non la verifica della effettiva capacità di guida. Il PDS, DS, PD ha in tasca (miracolosamente e a dispetto del curriculum) la patente di appartenente al PSE (allungato, come tutti i vini in decelerazione di requisiti di eccellenza, con il trattino Democratici). Ma in questi 30 anni ha abbondantemente confermato l'idiosincrasia con le linee guida del continentale lib lab. Maturato attraverso il lungo percorso revisionistico, innescato a Bad Godesberg per la socialdemocrazia tedesca, ad Epinay per quello francese e, si parva licet, per quello italiano col "nuovo corso" di fine anni 70. E, se non offende certe ipersensibilità, anche con le prove offerte sul campo prestazionale effettivo dei ministri italiani (per citarne uno: De Michelis) e nello sforzo didascalico (come l'elezione in Parlamento Europeo) di figure emblematiche come il socialista ceco Jiri Pelikan, un cardine della "primavera praghese" e un testimone della lucida progressione inclusiva dell'Europa a confronto con la "caduta del muro".
Manca clamorosamente in Italia l'omologazione della rappresentanza dell'aggregato europeo della sinistra riformista. Che non può essere, per le considerazioni storiche sommariamente richiamate e per i limiti prestazionali negli scenari recenti, il PD.
E che non può essere, men che meno, la suggestione di eventuali approdi alla lettura italiana dell'europeismo macronista: valutare bene i detti e non detti insiti nelle esternazioni di forte valore simbolico. Le President, qualche tempo fa, come ricorda Mieli su Corsera, esortò a "non umiliare la Russia". Recentemente, a sconfiggere, se proprio non si potesse fare a meno, la Russia e Putin ma "non totalmente". Gli italiani, per loro fortuna, se fosse tale l'offerta in house dei rappresentanti del gruppo Pse/democratici, non sono in ambasce per questa linea ondivaga. Ma se ci fosse qualche liaison con il macronismo, sarebbe bene emergesse. Onde consentire alla potenziale fascia di elettorato antipatizzante nei confronti del PD di aggiungere fondati motivi di astensione dalla crocetta a favore di offerte contigue.
Avremo modo di allargare la visuale di questo primo approccio in un prosieguo, in cui conterà molto il contributo di riflessione dei nostri lettori.