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Iconoclastia ad effetti (anche) retroattivi

Risposta ad un nostro gentile lettore

  13/06/2020

Di Enrico Vidali

Iconoclastia+ad+effetti+(anche)+retroattivi

È in corso un allineamento planetario alla new wave del defenestramento iconoclastico, innescato dall'indotto, alla cui moltissimi non rinunciano a partecipare, della giusta, sacrosanta denuncia della permanenza di conati razzisti, plasticamente evidenti nella realtà nordamericana ma diffusi a macchia di leopardo nel resto del mondo.

Se tale denuncia deve costituire una costante della testimonianza civile a livello planetario, poco convince, come si diceva nell'incipit, l'impulso diffuso ad estenderne il raggio, fino a comprendervi cervellotici regolamenti di conti poco congrui.

Concordiamo con l'opinionista/editorialista del Corriere, Battista che ieri osserva

impazza la furia iconoclastica…un fanatismo …una forma di nuovo e prepotente fanatismo, non riconducibile nemmeno agli stereotipi del pur petulante politicamente corretto che azzera la storia.

Sovrapponendoci ad una delle nostre preferite penne del quotidiano milanese segnaliamo la ricorrente, manifesta pulsione a “ricontestualizzare” le testimonianze facendo  rogo dell'arte, della cultura, del pensiero non studiato e analizzato ma epurato.

Non escludiamo affatto la necessità di fare ordine e pulizia nel vasto patrimonio mondiale officiato a trasmettere con bronzo, pietra, colore in simboli l'epopee di gesta, protagonisti, eroi.

Coerenti con la nostra refrattarietà nei confronti degli eccessi enfatici, confidiamo che, pur convenendo sul valore del riconoscimento simbolico, ne limiteremmo la sfera allo stretto necessario.

In modo da evitarne una deriva inflattiva che, all'insegna del todos Caballeros, renderebbe indistinguibili i veri portatori di testimonianze dal valore simbolico da trasmettere.

In aggiunta, proprio nell'intento di evitare scelte istintive, magari destinate nel tempo a planare su amari ripensamenti, estenderemmo volentieri la norma (valida per la toponomastica, che è di dieci anni dalla dipartita) a non meno di un paio di secoli e con referendum popolari confermativi, validati dalla quasi unanimità dei consensi.

Quanto specificatamente alla toponomastica abbiamo in passato più di una volta esternato la preferenza per il criterio ispirativo di Manhattan: tranne le più importanti (che hanno un nome), le Streets e le Avenues sono identificabili per numero.

Oltre al vantaggio semplificativo, c'è l'esclusione tassativa delle solite querelles toponomastiche influenzate da dediche non esattamente condivise (e giustificate, alla luce delle virtù comunitarie).

Stavolta, dicevamo, ha fatto da detonatore l'irrefrenabile istinto al bandwagoning determinato da quanto giustamente sta avvenendo negli USA.

Eppoi, come si sa, un po' perché nessuno vuol rimanere giù dalla giostra della “tendenza” ed un po' perché in queste circostanze opera prepotentemente il genio creativo, va a finire che si esce un po' dal seminato.

Fino a coinvolgere nelle purghe l'oggetto dei nostri desideri fanciulleschi: il “moretto” (per il solo fatto di essere nero cioccolato).

La mettiamo, nonostante l'abbrivio serioso, sul faceto? Ok. Ma come diversamente si dovrebbe trattare la purga del giardino e della statua Montanelli?

Circostanza sulla quale un nostro affezionato lettore ci ha affidato una godibile riflessione.

Di nostro, nel presentarla, vorremmo aggiungere che, per quanto ci riguarda, il problema, per quanto sostenuto dal lettore e per quanto integriamo, il problema assolutamente non sussisterebbe.

Infatti, se il criterio delle dediche fosse meno pervaso dalle emotive influenze di parte, il giardino Montanelli non sussisterebbe. Conseguentemente anche il busillis di destalinizzarlo!

La questione in campo vale, per noi, meno della spesa necessaria per l'intervento di iconoclastia.

Ma, dato che ci siamo (e senza minimamente dubitare del buon senso del nostro lettore) vorremmo rendere esplicito il rifiuto di un eventuale combinato disposto in base al quale ne uscirebbe insieme alla preservazione della statua e dell'intitolazione del giardinetto anche la figura del “grande giornalista e scrittore”.

Circostanza questa difficilmente controvertibile; anche se al completamento dell'excursus che giustifica la candidabilità all'evidenza ed all'imperitura memoria pubbliche dovrebbero concorrere altri requisiti.

Insomma, diciamo che tra queste ragioni (prevalentemente soggettive) c'è una malmostosità incoercibile su una figura che riteniamo tutt'altro che cristallina.

È laterale la circostanza della performance in bocca ad un anziano, che ammesso fosse vera e non una sbruffonata esternò: "un animalino docile…l'avevo comprata assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire”.

Dicono che usasse così…Mah…

Si dice anche che alcuni “grandi”, gratificati per la insuperabilità della loro testimonianza, incorporano qualche difettuccio.

Differentemente da Wagner, Montanelli da “comunicatore” aveva ben chiaro il labile confine tra comunicazione ed impicci politici.

Vero anche che insieme al compiacente “allora si faceva così” (si indossava la camicia nera, si partiva volontari per ingiustificate guerre di aggressione, si praticava il peggior conformismo verso il regime totalitario) la testimonianza di Montanelli (distaccatosi da quella pratica insieme a tanti presaghi del collasso) avrebbe continuato sui binari della cultura reazionaria anche nei mutati contesti.

Ne sono prova gli intercorsi tra l'allora firma di punta del maggior quotidiano italiano e l'establishment statunitense ed il suo Ambasciatore in Italia Clare Boothe Luce

In essi, Montanelli informava la Luce della formazione di un'organizzazione paramilitare in funzione anticomunista e chiedeva alla Luce di garantire l'aiuto dell'esercito americano in termini di armi, flotta e aviazione. Secondo il giornalista italiano la vittoria di un ipotetico fronte popolare nelle elezioni successive avrebbe decretato la fine dell'Italia repubblicana. In tale contesto, Montanelli auspicava il passaggio all'azione violenta

«Le maggioranze in Italia non hanno mai contato: sono sempre state a rimorchio di questo pugno di uomini che ha fatto tutto con la violenza: l'unità d'Italia, le sue guerre e le sue rivoluzioni. Questa minoranza esiste ancora e non è comunista. È l'unica nostra fortuna.».

Montanelli le confidava inoltre la sua scarsa fiducia per la tenuta del sistema democratico in Italia. La soluzione sarebbe stata dunque quella di anticiparne la morte, stabilendo attraverso l'uso della violenza una nuova dittatura avvallata dagli americani e dai ricchi imprenditori del Nord Italia.

«Di fronte a questa realtà, mi trovo in questo dilemma: difendere la Democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell'Italia; o difendere l'Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della Democrazia? La mia scelta è fatta.»

È del tutto inutile che chi scrive si soffermi sui propri quarti di anticomunismo e, per converso, di indefettibile fede nei valori liberaldemocratici.

Un profilo questo assolutamente non compatibile con i convincimenti (intimi e, per effetto della professione giornalistica, manifestamente esplicitati) che rivelano, al di là della motivazione di difesa dal pericolo comunista, la propensione a favore della soppressione delle prerogative democratiche.

Montanelli, d'altro lato, nel ruolo sia di primo editorialista che di potenziale direttore trombato del Corriere, non fece mai mistero della sua incoercibile collocazione sulla sponda conservatrice quando non addirittura reazionaria.

Di fronte ai manifesti segni di scivolamento dell'asse della mission editoriale, egli rovesciò il tavolo, fondando Il Giornale sull'impronta ultraconservatrice che la testata di Via Solferino tenne per oltre trent'anni.

La sua (abusata) fama di testimone “liberale” e di giornalista “indipendente” fu costruita sull'endorsement di un'ampia fascia di opinione di sinistra, non esattamente libera da pregiudizi (e da calcoli).

Il primo del quale era manifestamente indirizzato a sostenere le ragioni per le quali il toscano di Fucecchio, che aveva fatto fortuna a Milano, si staccò da Il Giornale (che aveva fondato e che nel 1991 era entrato nel controllo di Fininvest), come nel 1974 aveva divorziato dal Corriere.

In qualche misura appare lecito affermare che la “fama”, incrementata dall'attentato brigatista del 1977, di testimone democratico e (forse) di sinistra si avvalse del combinato secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico.

Fu probabilmente quello il cardine del percorso con cui Montanelli sarebbe salito sugli altari democratici, di cui giardini e bronzo sono il simbolo evidente.

Egregio direttore, 

ecco la dilagante imbecillità, farcita di grassa ignoranza che dilaga accompagnandosi ad una grave incapacità di contestualizzare i fenomeni umani e storici. Perché la storia ed i costumi evolvono (in meglio in peggio non lo so, ma evolvono). Perché 100 anni fa si potevano commettere reati che oggi non lo sono più. O ci si poteva comportare in un modo che oggi è pura condotta criminale. Magari tra 200 anni mangiare una bistecca (che implica l'uccisone di un manzo) sarà un reato. Ma non si potrà dimenticare che nel 2020 la bistecca era un piatto ottimo (specie la "fiorentina"). Le riviste degli anni '50 erano piene di pubblicità dedicate a sigarette ed al fumo in genere. Il "vero" uomo fumava (non cantava anche Mina che il vero uomo sa di tabacco?) Oggi sarebbe una cosa impossibile e, pure, scandalosa (e, pure, vietata). Solo nel 1996 (24 anni fa, una cosa da pazzi) la violenza carnale nei confronti della donna ha "traslocato", grazie a Tina Lagostena Bassi, dal novero dei "Delitti contro la moralità" a quelli "Contro la persona". Si chiama evoluzione del pensiero. Ma non si può cancellare ciò che è stato perché appartiene ad un momento storico preciso ed è il frutto di quel momento storico. Ci sono resoconti scritti di comunità di zone montane e civilizzate nell'appennino italiano, alla fine del '800, che oggi sembrano uscite da una mente folle: se, infatti, moriva un bimbo se ne faceva un altro; se moriva la vacca del villaggio (che forniva alla comunità il latte ed i vitelli) era un tragedia incalcolabile. Ma la percezione dei fenomeni muta. L'omosessualità fino a qualche decennio fa era un reato (anche in paesi civili quali l'Inghilterra, cosa gravissima e ridicola). I libri di Pasolini venivano sequestrati e bruciati (bruciati con il lanciafiamme) e il pretore Volpi (mi pare) di Como o Varese (non ricordo) faceva sequestrare "Hollywood Babilonia" di Kenneth Anger (libro-scandalo che oggi non fa impallidire neanche la più pudica e riservata delle novizie). La percezione dei fenomeni storici ed umani evolve ma questi non si possono cancellare nè, tantomeno abbattere. E soprattutto non è possibile condannare, con i parametri odierni, fatti di decenni fa. Ecco perché abbattere statue è cosa da dementi. Ecco perché prendersela con la statua di Montanelli è cosa da dementi. Ecco perché porre delle censure di sorta a "Via col vento" è cosa da dementi. Altrimenti si inizia con Janet Leigh e si prosegue "abbattendo" Dante (islamofobo?), Wagner (antisemita?), i Manowar (machisti?), Egon Shiele (pedofilo?), perdendo ampi settori di cultura. Quindi, concludendo, si lasci in pace la statua di Montanelli e si leggano i suoi libri.

Zont

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