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I Partiti e la Politica nel cremasco 

Di Virginio Venturelli (Comunità Socialista cremasca)

  10/03/2021

Di Redazione

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La Comunità socialista cremasca, a fronte dell'indebolimento progressivo della forza politico-amministrativa del territorio, ritiene sbagliato attribuire le responsabilità al solo versante degli amministratori locali, assolvendo quello politico. 

Ai Partiti non è oggettivamente possibile evitare di imputare loro il concorso, più o meno palese, nella formazione delle liste elettorali, il ripiegamento alle personalizzazioni, l'avallo di scenari sovraccomunali non propriamente, culturalmente politici. 

Alle voci frammentate degli eletti: sindaci, consiglieri regionali e parlamentari, da tempo non precedono più le elaborazioni interne ai soggetti politici, distintivi del rispettivo pensiero. 

Due esempi emblematici: il pressoché totale silenzio, delle forze politiche, sullo studio provinciale MASTERPLAN 3 C, promosso dalla Associazione Industriali di Cremona, nonché la rassegnazione evidente di fronte agli indirizzi strategici delle società partecipate, anche quando palesemente contradditori rispetto alle aspettative dei cittadini. 

La Comunità socialista cremasca, già rimproverata per aver sostenuto in alcune circostanze, le considerazioni appena riassunte, insiste rivolgendosi direttamente a tutte le forze del centro sinistra, affinché convengano sulla apertura di un tavolo comprensoriale, ove porre qualche rimedio agli errori compiuti, ma soprattutto, in vista dei prossimi rinnovi amministrativi, procedere alla definizione di una cornice programmatica territoriale, da premettere impegnativamente a tutti i programmi amministrativi, dei candidati sindaco delle coalizioni apparentate. 

Senza tanti giri di parole, la Politica cremasca (con la P maiuscola), dopo anni di latitanza, deve ricoprire il proprio fondamentale ruolo in ogni ambito, a partire da quello particolarmente bersagliato e invocato ove agisce l'Area Omogenea. 

Sul funzionamento di tale Organismo politico, sui frequenti sfilacciamenti tra gli amministratori, sull'incostante riconoscimento della propria rappresentatività, da parte dei livelli istituzionali esterni, non è più tempo di tergiversare, ma di avanzare proposte incidenti. 

Le critiche, quando non strumentali, devono trovare delle risposte, perché nel caso di una malaugurata dissolvenza della assemblea dei Sindaci, non si vedono prospettive migliori per il precario assetto istituzionale della nostra zona, né per la sua storica identità politica, sociale ed economica. 

Sull'improvvido contenzioso aperto dalla fuoriuscita di ben otto Comuni dalla società SCRP, peraltro in corso di liquidazione, i Partiti tutti, compresi quelli del centro destra, nel merito della questione, ma anche in ordine alla conflittualità che sta travalicando, in altri temi circondariali, sono debitori di una maggiore chiarezza di giudizio sulle ragioni e sui torti degli atti che si sono sviluppati.  

Per la Comunità socialista, il rinvio della risoluzione della vertenza in sede giudiziaria, è una sconfitta per tutti, fronte politico compreso, rinunciatario a farsi interprete dell'interesse generale del territorio, niente affatto bisognoso di menomazioni, bensì di un rinnovato progetto unitario, ove la realtà Cremasca ritorni ad essere protagonista del proprio futuro sociosanitario, economico, infrastrutturale e ambientale, e non un contesto meramente subente le scelte altrui. 

Sia consentita questa intrusione nel lucido e profondo contributo di Virginio Venturelli; che è, ad un tempo, sforzo analitico e tentativo di interpretazione della direzione di marcia. Per la verità dovremmo parlare, più che di marcia, di stagnazione. È vero c'è la pandemia e, in parte giustamente, l'ansia maggiore porta a guardare il dito dell'immane tragedia e le criticità incombenti. In barba al retorico proponimento di cambiare tutto per il dopo, l'impulso a progettare latita clamorosamente. Circostanza che è comune a questa decerebrata Regione (in buona compagnia con le altre 18 con l'aggiunta delle due Province Autonome), ma non assolve l'inconsapevolezza del ceto dirigente di un territorio, che, soccombente prima della pandemia, ne uscirà ancor più arretrato e marginalizzato, dopo. 

L'articolo di Venturelli viene a fagiolo, perché curiosamente si incrocia con l'esternazione odierna del Consigliere Regionale Piloni, che costituiscono una disamina/denuncia del trattamento riservato dal governo lombardo al territorio provinciale (a tutto il territorio provinciale!). 

Scaricano su di noi (in omaggio alla dovuta “solidarietà”) i picchi delle aree contermini; non “ristorano” le conseguenze delle trascuratezze (che hanno ancor più, ove fosse stato possibile, allargato il distacco tra area metropolitana e periferia; eludono sostanzialmente le richieste e compensano con promesse ritenute o non pertinenti o non necessarie. 

In tale atteggiamento non è difficile rinvenire la continuità di un rapporto tossico dell'establishment con il nostro territorio. 

Non erano rose e fiori neanche 50 anni fa; ma la dismissione di ogni pudore è iniziata con la cosiddetta seconda repubblica. 

Ma, mentre nei contesti precedenti della prima il rating progettuale dello sviluppo territoriale si poté avvalere della “complicità” tra ceto politico/istituzionale e ceto categoriale (in particolare, quello imprenditoriale), le stagioni successive non avrebbero più potuto contare su questo valore aggiunto. 

Non è che la risposta dei legislatori regionali fosse fatta di grasso colato. Ma, insomma, qualcosa di una volontà feconda si intravide. Da trent'anni l'incipit del rapporto, all'alba dell'istituzione della Regione Lombardia, fatto di gesti simbolici di sinergia e di relazionalità costante, si è invertito. I Governatori (nessuno escluso) hanno agito, nei confronti di tutto il territorio, da Robin Hood capovolto: togliendo alla provincia periferica per dare al centralismo già privilegiato. 

Come è potuto succedere? Difficile dare una risposta che, volendo/dovendo essere franca e diretta, non finisca per urtare suscettibilità. Mettiamola giù leggera, dicendo che si è creato un combinato tra la polarizzazione estrema del modulo centralistico e il totale indebolimento del ruolo dialettico del nostro territorio. 

Senza ferire nessuno, non possiamo esimerci dal dubitare dell'adeguatezza (in termini di preparazione e di determinazione) del ceto politico-istituzionale. 

Ci siamo fatti sfilare il controllo del territorio sulla programmazione e gestione sanitaria (attraverso l'aziendalizzazione). Abbiamo assistito impassibili allo spoil dei presidi locali di quasi tutti i servizi (tra cui l'avocazione regionale della funzione in capo alle politiche agricole, sottratta alla Provincia). Questo solo aspetto, apparentemente secondario (che non è, considerata l'importanza dell'agricoltura per i territori) dice abbastanza adeguatamente del consolidato sentiment dell'oligarchia dell'establishment di Palazzo Lombardia. 

La condizione periferica è determinata dalla geografia; ma è accentuata dalle disattenzioni infrastrutturale. Queste lacune sono state parzialmente colmate o da iniziative territoriali (come l'unico asso autostradale, progettato e realizzato in autonomia finanziaria) o da interventi statali o provinciali. 

I nostri contraddittori ci facciano l'elenco delle opere infrastrutturali realizzate nell'ultimo mezzo secolo con l'intervento regionale. 

Indubbiamente se localmente rimani dilaniato dalla sopravvivenza dei campanilismi e paralizzato dall'incapacità di articolare un progetto di rilancio in chiave di sviluppo e di innovazione, allora accrediti la sensazione che i Governatorati possano continuare impunemente fartela in testa. 

Come i polli di Renzo i segmenti territoriali, che dovrebbero guardare almeno nell'ottica comprensoriale, un po' si beccano un po' si ignorano. 

In ciò si avverte il peso del decadimento dei Comuni capo comprensorio; che hanno dimostrato (nonpartisanamente) assoluta indifferenza nei confronti di una funzione, avulsa dagli stretti compiti istituzionali, ma di valore etico/istituzionale. 

Ma non per piaggeria nei confronti delle riflessioni di Venturelli, che dire poi del livello prestazionale delle forze (come si diceva un tempo) politiche. Ormai snervate dal processo di liquefazione teorico-pratica e di evaporazione dell'intelaiatura della partecipazione popolare. 

La baracca regge perché, soprattutto, i Comuni medio-piccoli paradossalmente esprimono un ceto, reso più attento e motivato da una pressione ravvicinata. Che, tuttavia, esprime il meglio di sé nella trincea di supplenza rispetto alle trascuratezze dei superiori livelli istituzionali. 

Dei cosiddetti corpi intermedi sociali meglio non fare menzione (ad eccezione della segnalazione dello sforzo programmatorio dell'Associazione Industriali). 

Non volevamo dipingere un quadro da paradiso perduto, discendente da un severo giudizio prestazionale tra gli attuali contesti e quelli passati. 

Concludiamo semplicemente esortare ad immaginare il futuro sulla stregua delle consapevolezze del passato. Soprattutto, sul piano della testimonianza civile e delle dinamiche politiche-istituzionali. 

Sfogliando le decine di annate de L'Eco del Popolo (esercizio che, se fa di noi un portatore della sindrome ASD, indubbiamente ci obbliga ad un dovere di consapevolezza del passato) ci siamo imbattuti in un paginone (che alleghiamo nella gallery) di cronaca politico-istituzionale. 

Occhiello: largo interesse attorno al convegno degli eletti 

Titolo: la funzione degli Enti Locali per lo sviluppo della nostra economia 

Protagonisti istituzionali: I Comuni e la Provincia 

Partecipanti politici: tutti i partiti (DC, che esprimeva i vertici dei più importanti e dei meno rilevanti Comuni; il PCI e il PSI, alleati nelle realtà minori, il PSDI. 

Da quanti anni non assistiamo a questi sforzi collettivi di consapevolezza della realtà, di coesione super partes, di volontà progettuale?

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