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Gussola, 100 anni, fatti di storia, di lotte e di passione

Abbiamo ricevuto da Sante Gerelli e molto volontieri pubblichiamo

  24/11/2020

Di Redazione

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In questi giorni noto che parecchi mezzi di informazione parlano della storia del PCI nelle vicinanze della data della sua fondazione 21 gennaio 1921. Anche parecchi politici e scrittori dedicano libri sulla storia del PCI.

Colgo l'occasione per esprimere anch'io alcune sensazioni, avendo militato in quel partito sino al suo scioglimento.

La presenza politica del PCI, era quella di un partito radicato tra la gente, pronto con la sua presenza attiva ed intellettuale ad aiutare le classi più deboli, ma soprattutto a difendere i diritti e adoperarsi per superare le disuguaglianze.

Un partito in grado di dare voce a chi non l'aveva. Un partito che tra i suoi massimi dirigenti aveva degli intellettuali, ma anche tantissimi rappresentanti provenienti dal mondo del lavoro - in parecchi casi la scolarizzazione dei dirigenti e degli amministratori locali, soprattutto nei piccoli paesi era la quinta elementare. Anche alcuni deputati provenivano dal mondo contadino.

Su questo vorrei soffermarmi, perché pur in carenza di lauree e diplomi avevano tanta esperienza, e tanta modestia, e buon senso ma soprattutto spirito di sacrificio per gli altri.

Anche nella nostra provincia, nei nostri  piccoli paesi, la presenza delle sezioni del partito era importantissima. Erano definite le "antenne sul territorio", perché con le riunioni, sia dei comitati direttivi che delle assemblee, si aveva il contatto diretto con una parte di cittadini, i quali esponendo i loro problemi, sviluppavano discussioni e confronti (e diciamolo, anche scontri), che poi influenzavano i comportamenti e le scelte da portare avanti a livello nazionale.

Anche Gussola aveva una importante sezione del PCI e un circolo della FGCI. La prima dedicata a Ho Chi Min (storico  dirigente Vietnamita), mentre il circolo era intitolato a Julian Garzia Grimau, antifranchista, giustiziato crudelmente in Spagna nel 1964.

Questi nomi rappresentavano la voglia di conoscere il mondo; di non restare chiusi in noi stessi.

Gussola ha avuto un deputato eletto al parlamento, Giacomo Bergamonti, scomparso tragicamente il 17 marzo 1951.

Nel 1949, le forze antifasciste e di sinistra si sono costruite un luogo dove incontrarsi, dove decidere e discutere: la "Casa del Popolo".

La Casa fu costruita prevalentemente da volontari, ma soprattutto per decisione del compagno Alessandro Vaia, natio di Gussola, dirigente politico del PCI a livello nazionale, antifascista, combattente nella guerra  civile spagnola - da leggere il libro "Da galeotto a generale” che parla di questa importante figura.

La guerra di Spagna ci ricorda anche la figura del compagno Mario Pezzali, natio di Gussola, combattente nella guerra civile spagnola, caduto in combattimento a Pozuelo di Alarcon l'1-12-1936, al quale è stata dedicata Piazza Piccola a Gussola.

Per avere l'area dove sorse la Casa del Popolo, Vaia cedette un suo appezzamento di terreno (un grande campo) in cambio di un orto situato al lato sud della piazza di Gussola. Scelta difficile la sua, praticamente impossibile da rivedere ai giorni nostri.

Oggi, purtroppo, quella Casa non è più frequentata a causa del continuo spezzettamento delle forze di sinistra, molto più propense a dividersi che ad unirsi. Si può dire che quei locali hanno perso la loro importanza da quando hanno iniziato a prevalere le decisioni di pochi ma, a mio avviso, la causa principale risiede nell'individualismo sempre più predominante in politica (a scapito del confronto e della discussione). Oggi la politica ha ridotto ai minimi termini il coinvolgimento di iscritti e simpatizzanti e i frutti nell'area di sinistra non maturano più. Adiacente alla Casa del Popolo è sempre esistita la Coop. Consumo. Ricordo le assemblee dei soci in occasione del rinnovo delle cariche. I posti disponibili non erano mai abbastanza (in quei tempi le assemblee si tennero anche presso il cinema Italia).

Oggi alle assemblee non partecipano più di 20-25 soci, e alcuni partecipano perché alla fine della riunione gli viene consegnato, o un piccolo regalo, o un buono acquisto.

Anche questo è un segno dei tempi.

La sezione del PCI e il circolo della FGCI sono stati una scuola da cui sono passati tanti amministratori locali, tanti Cooperatori, tanti cittadini che con il loro impegno hanno reso importante Gussola assieme ad altri paesi.

Le sezioni del PCI del Casalasco-Piadenese erano seguite dai funzionari di zona, tra i quali ricordo Azzoni Giuseppe, Mussi Claudio, Tavoni Enrico, Zanella Kramer.

Da alcuni nostri detrattori fummo giudicati settari. Nulla di più falso. Basta andare a rivedere alcuni passaggi della vita politica di Gussola per cogliere le collaborazioni trasversali che hanno animato la politica locale. Accenno ad un paio di fatti: quello di un consiglio comunale in cui si paventava la rottura tra il PCI e il PSI su una questione importante come il consorzio per il medico insieme a Torricella del Pizzo. Un consigliere di minoranza facente parte del gruppo della DC votò con i consiglieri del PCI e si realizzò il consorzio evitando ai cittadini di Torricella del Pizzo di rimanere senza medico; l'altro episodio fu il referendum autogestito contro l'istallazione dei missili a Comiso, dove il presidente del Comitato della Pace era un consigliere comunale eletto nelle liste della DC. Da quei verbali e da quei Consigli Comunali si può comprendere come era fondamentale per il bene del paese la collaborazione tra maggioranza e minoranza.

Un paese vivo politicamente, rispettoso delle diversità sino a che vissero partiti come il PCI, la DC e il PSI.

Oggi, a mio avviso, mancano dirigenti a sinistra che sappiano fare sintesi, che sappiano porsi come obiettivo e punto di riferimento l'unità delle forze di sinistra. Per ricostruire un grande e forte partito che torni a rappresentare le istanze dei cittadini, che sappia difendere i loro diritti ma anche richiamarli ai loro doveri.

Se fossero ancora in vita quei partiti poc'anzi citati, l'emergenza dettata dal Coronavirus si sarebbe certamente affrontata in altro modo. Ne parlavo proprio pochi giorni fa con Evelino Abeni.

Concludendo, non posso non accennare all'ultimo congresso dove si sciolse il PCI a Gussola, la sala dove si svolgeva l'assemblea congressuale era gremita con più di 100 partecipanti alle due serate di dibattito. Un numero importante che rappresentava anche il collegamento che il PCI locale aveva con i suoi iscritti e con i suoi simpatizzanti.

Il 21 gennaio 2021 saranno 100 anni dalla nascita del PCI. La ritengo una data importante da ricordare perché potrebbe rappresentare un'utile traccia per quanti volessero riunire le forze che a suo tempo si divisero, decretando di fatto la scomparsa del PCI.

Sante Gerelli

Gussola, 21 novembre 2020

Il nostro insopprimibile impulso a non discostarci mai dalle regole fondamentali del giornalismo deontologically correct, che impongono sempre di separare fatti e contributi esterni dalla linea editoriale della testata e che nella fattispecie consigliavano l'occhiello della buona accoglienza del rimarchevole contributo di rivisitazione storica di Sante Gerelli, ci fornisce una scappatoia compensativa.

Per non sfuggire alla tentazione di interloquire a caldo con questa testimonianza; talmente densa di richiami e di riferimenti, sia di valenza generalista sia specificatamente locale, da imporre un'esegesi ancor più vasta ed impegnativa.

Il “compagno” Gerelli (che è uno dei pochi sopravvissuti a non adontarsi di questo epiteto) ha dimostrato in più occasioni di saper impiegare proficuamente il proprio tempo liberato dalla quiescenza. Per di più, essendo figlio d'arte e per formazione portato ad occuparsi proficuamente del maggior interesse della sua esistenza, salva con uno apprezzabile sforzo mnemonico le fonti di un vissuto, individuale e collettivo, che nessun saggio o libro potrebbe preservare. 

Nel rendergli, anche un po' pleonasticamente, merito, ci sentiamo sintonizzati con questo impulso (che, per il vero, lo trova in buona compagnia, se si pensa all'egregio lavoro messo in campo in questo tempo da Giuseppe Azzoni, Evelino Abeni ed altre vecchie glorie della sinistra cremonese) a correlare la rivisitazione del passato con l'analisi degli scenari correnti.

Diversamente le ricorrenze, come la prossima del gennaio 2021, sarebbero destinate a diventare carne da cannone per alimentare standards celebrativi destinati al chiacchiericcio mediatico.

Fa bene Gerelli a segnalare che tra qualche mese sarà il centenario di un avvenimento, la più lacerante delle tante scissioni del socialismo italiano. Che avrebbe diviso e sfibrato la sinistra politica e sociale nel suo insieme, in quel momento alle prese con i conti aperti dal primo dopoguerra e con l'avvio della fase definitiva di una svolta reazionaria, destinata a confluire nella rivoluzione fascista.

Una lettura stereotipata, corsa praticamente per l'intero secolo successivo e forse mai arrestatasi, indurrebbe ad accreditare che a Livorno si sarebbero separati gli ordinovisti fedeli al bolscevismo ed una maggioranza interna socialista, fedele ai cardini del socialismo non bolscevico.

Gravissimo errore di lettura, che sarebbe esiziale riprendere nella rilettura dell'anniversario.

In realtà, la parte minoritaria del socialismo riformista, guidata da Bissolati e Bonomi, aveva lasciato il PSI nel 1912.

L'altro troncone del socialismo liberale, capeggiata da Matteotti, Rosselli, Treves, Saragat, avrebbe tenacemente tentato di ricondurre l'allora maggior partito della sinistra nell'alveo del socialismo. Al Congresso di Livorno sarebbe stata minoritaria e solo nel 1922 avrebbe ripercorso la strada della separazione (in realtà omologata dall'espulsione) per dar vita ad un Partito Socialista Unitario (che, tanto per accreditare l'unitarietà nasceva da una scissione).

In realtà, come si ha motivo di concludere, gli antagonisti degli ordinovisti tendenzialmente bolscevichi erano, a quel congresso, massimalisti non attenuati e per di più in lista d'attesa per confluire nella rivoluzione sovietica, solo se la nomenklatura sovietica li avesse accolti.

Le sparse membra della sinistra italiana avrebbero nei decenni successivi operato prevalentemente in contrapposizione; salvo convergere per un tentativo di ripristinare la democrazia ed osteggiare l'incombente pericolo della fascistizzazione dell'Europa.

Gli scenari interni sarebbero stati fortemente influenzati da questa cifra destinata ad incidere fortemente nella capacità di rappresentanza e di guida della sinistra.

A livello di consenso elettorale, come di punto di riferimento delle lotte sociali.

Il cappotto inferto dai massimalisti di fede bolscevica non avrebbe avuto nessuna possibilità pratica di remuntada.

Il PCI sarebbe stato egemone nelle vicende della sinistra italiana, fino a diventare il maggior partito comunista d'Europa (forse anche del mondo, se oltrecortina si fosse votato liberamente).

Ciò premesso, va riconosciuto la perfetta aderenza alla verità storica della rivisitazione di Gerelli; quantomeno alla tipizzazione locale della matrice comunista. Che troverà nella fattispecie di Gussola una cifra simbolica.

Cazzata (pardon!) l'assioma secondo cui la Gussola fascistissima sarebbe stata destinata a diventare comunistissima. Gussola fu fascista come lo furono tutti i centri della provincia. E, prima di arrendersi alla fascistizzazione, avrebbe difeso le prerogative liberaldemocratiche; strenuamente, andrebbe aggiunto, pagando col sacrificio della vita del socialista Carlo Comaschi.

Indubbiamente, molti resistenti gussolesi erano pervasi dal combinato tra liberazione dal fascismo ed instaurazione di un modello di democrazia “popolare” (non molto dissimile da quella sovietica).

A Gussola operò per molti anni il profilo “militarista” della Resistenza e del PCI; di cui Gerelli giustamente indica uno dei suoi massimi esponenti, Alessandro Vaia.

L'importante centro della bassa cremonese-casalasca avrebbe sperimentato, insieme a modalità di contrasto antipadronale ed antigornativo al limite di una legalità violata soprattutto da settori reazionari del governo centrale, forme di testimonianza perfettamente coerenti con i picchi dottrinari.

Oltre a scioperi ad oltranza ed occupazioni, a Gussola furono sperimentate forme cogestionarie (come i Comitati di Cascina) ed autogestionarie, come le Cooperative di lavoro. In agricoltura e nell'edilizia. Di cui sono sopravvissute, fino a qualche anno fa, le testimonianze.

Nel bene o nel male di tutto ciò, se si desume dai tempi correnti, nulla è rimasto.

Se non la consapevolezza che tali decenni di lotta e di esasperazione massimalista coincisero, però, anche con un profilo di realpolitik, quando si trattava di scendere, dalle suggestioni dogmatiche, alla realtà della gestione delle istituzioni, per delega popolare.  

Frequentemente con la collaborazione dei socialisti locali, talvolta nella solitudine dettata dall'autosufficienza e forse dell'ostracismo verso la sinistra non comunista, il PCI di Gussola seppe esprimere buone amministrazioni comunali. Incardinate da un forte senso di collegamento popolare, ma anche di consapevolezza del bene comune.

Già, genera nostalgia la vuota piazza, che ricordiamo “incardinata" nel 1964 quando, da giovane socialista, intervenimmo dalla tribuna al fianco di Pajetta in occasione di un'affollata manifestazione contro gli USA e la guerra in Vietnam. 

Che dire, poi, della Casa del Popolo (da noi frequentata per due anni ogni lunedì mattina per il desk dell'Alleanza Contadini) che sembra, come osserva Gerelli, sopravvivere a se stessa, ma solo fisicamente.

Ovviamente, e diversamente da Gerelli, non siamo colti dalla nostalgia per l'asfaltatura del PCI. Che avremmo, alla fine degli anni 0ttanta, riconvertito ad una testimonianza di socialismo europeo.

Ognuno è preda della proprie nostalgie. A Gussola in parte attenuate dalla constatazione della capacità della giovane sinistra impegnata in una testimonianza amministrativa di apprezzabile livello.

Di condivisibile, nell'analisi di Gerelli, c'è indubbiamente la constatazione che dalla cosiddetta Seconda Repubblica in poi l'acqua sporca del tramonto del post-comunismo italiano è stata buttata insieme alla rarefazione sempre più marcata di un associazionismo a larga base popolare e a partecipazione diffusa.

Da questo incipit elaboreremo un dossier sul tema che pubblicheremo a gennaio dell'anno prossimo.

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