Volendo azzardare i canoni narrativi…potremmo dire che i percorsi della sanità pubblica sono diventati meteoropatici. Succedeva un po' anche in passato, quando i picchi stagionali mettevano alla prova apparati studiati e collaudati su medie di morbilità sostenibili, a parte i picchi.
Ma, dopo un quarto di secolo, di “trattamento” formigoniano e a seguire, le variabili sono diventate prevalenti sulle costanti. Per effetto dell'insostenibilità di una struttura asfaltata e sguarnita a beneficio del “competitor” (si fa ovviamente per dire) capitalista. Inventato non già (come direbbe il “celeste Governatore”) per consentire la libera opzione tra pubblico e privato, ma per far macinare profitti quando non rendite di posizione ai gruppi, fortemente favoriti da scelte orientate dai convenzionamenti, da politiche di somministrazioni extratariffarie, da “regalie” vere e proprie (come è avvenuto con uno storno maggioritario dei fondi straordinari statali ad hoc per la voce pandemia, giustificato dal fatto che la sanità pubblica non riusciva a spenderli in quanto incapace di recuperare gli standards dei tempi di attesa).
Organici medici e paramedici, irresponsabilmente ridimensionati (simmetricamente alla riduzione dei posti letto e al ridimensionamento dei reparti di degenza e dei servizi extradegenziali) prima della pandemia, provati dall'eccezionale tour de force pandemico e mai ripristinati, continuano a vivere in una fragilità tale che dinamiche stagionali normali, premetabolizzate nella normalità, diventano una condizione inaffrontabile.
Vero che ci sono stati due anni e mezzo di pandemia, affrontati qui da noi, si può dire, considerate l'impreparazione e l'inadeguatezza, “a mani nude” (al punto che forse più idealmente che fattualmente hanno dovuto arrivare i volontari della ONG americana Samaritan's Purse. Vero che anche i superiori livelli istituzionali hanno, per non poco tempo, applicato una indiscriminata spending review anche al ridimensionamento della filiera di preparazione degli organici medici. Tutto vero; ma, ancorché perdurante e non archiviato il fenomeno Covid 19, più che l'impressione, la consapevolezza è che non solo si riavvolgerà la pellicola della straordinarietà con il ritorno a prestazioni accettabili (per qualità, per tempistica di accesso, per prossimità territoriale), ma ci si dovrà abituare a ritenere “normali” i nuovi standards post-pandemici.
Tempi di attesa più congrui al terzo mondo e qualità di un'offerta (nonostante la dedizione del personale medico e paramedico), diciamo, aleatoria. Al punto da replicare la fattispecie del modello americano, che riserva agli inabbienti la chance curativa, tanto ben rappresentata dai serials, e agli abbienti le cliniche di alto bordo.
Se si eccettuano alcune realtà regionali in cui è restata anche minimalmente una traccia dell'impianto della riforma per il diritto alla salute, l'Italia è regredita (nonostante le iniezioni di spesa parassitaria) alle precondizioni della Legge 23 dicembre 1978, n. 833; anzi, come dimostra l'approfondimento tematico oggetto della presente edizione, molto oltre.
In quanto, la falce controriformista ha annichilito qualsiasi progetto di avanzamento di un'offerta quanti-qualitativa congrua al diritto alla salute, specie degli utenti socialmente più sfavoriti, ma ha addirittura (ove fosse stato possibile) ha sistematicamente depotenziato (forse ci starebbe meglio, asfaltato) gli steps basici di quello che un tempo (più fortunato) fu il rapporto tra cura e prevenzione e servizio di prossimità e di urgenza.
Quando si leggono sulla stampa cittadina (sempre molto compiacente con la governance e, quando proprio non può fare a meno a negare l'evidenza, molto “stitica” nell'enunciato fattuale) titoli come “sanità tra disservizi e disagi”, “totale assenza di dottori”, “Guardia medica ko non si coprono i turni”, “Carichi di lavoro estenuanti…E dall'azienda zero rispetto”, allora significa essere alla canna del gas. Ci avviciniamo agli election days (per il Parlamento e tra un anno per la Regione). L'argomento che denunciamo è interistituzionale, perché coinvolge vari livelli istituzionali e perché è squisitamente politico.
Noi facciamo da sempre ciò che ci compete: raccontare i fatti. Ci aiutano i nostri lettori e ci sostiene la comunicazione dei rappresentanti in Regione, Piloni e Degli Angeli (che non ci fanno mai mancare un'interpretazione aderente ai fatti e molto connotata da un senso di denuncia). Anche per questo li ringraziamo e segnaliamo ai nostri lettori il loro impegno.
SANITÀ TRA DISSERVIZI E SISTEMI
Carissimo direttore, naturalmente si arriva ad avvertire la crisi di un sistema, in questo caso sanitario, quando ne sono già derivate tutte le inevitabili gravissime conseguenze. Nel tempo da semplice cittadina mi chiedevo come le interminabili attese per una qualsiasi prestazione ospedaliera potessero essere giustificate e accettate. L'assottigliarsi del personale medico e infermieristico era ormai una realtà per tutti, anche se si poteva prevedere nel tempo quanto la loro opera sarebbe stata sempre più necessaria per l'evolversi di nuove malattie e per l'allungarsi dell'età media. Senza contare l'aumento dei trasporti e, a dismisura, delle auto private che hanno purtroppo incrementato vittime con traumi pesanti da risistemare.
Si chiudono reparti, quindi facile avere la giustificazione che servono meno addetti! Ed è logico aspettarsi che i pochi rimasti siano costretti ad addossarsi turni faticosi, talvolta massacranti, con il sorriso, paghi di assolvere la propria missione?? Se si volesse premiare i loro sacrifici otterremmo sì un giusto riconoscimento, ma non toglieremmo le future fatiche e la possibilità di soddisfare le esigenze di quanti hanno di loro bisogno.
Che tragedia!! Non hanno il potere di sdoppiarsi, triplicarsi per tamponare le emergenze o le non volute mancanze di consulti! Guardia medica con le spalle al muro deve alzare le mani in segno di resa. Ma vah! Chissà perché! In ogni campagna elettorale, nelle mille promesse viene infilato anche uno sguardo di favore per soddisfare questo ramo così importante per la nostra salute, che sia accessibile e generoso sia verso il pubblico che in parte al privato, ma poi succede il contrario e si va avanti. Come? Ce lo chiediamo ora?
Per farla più semplice nel fronteggiare i comizi e le interviste delle future vicinissime elezioni, si arriva a non prendere in considerazione nel programma sciorinato con aria da tigre, o gabbiano, o dir si voglia, un buon piano per sanare questa grande mancanza in qualsiasi parte del nostro Bel Paese.
Ora piangono? Noi non ridiamo! Aspettiamo! Chi? Un'eminenza grigia che sbrogli la matassa? Forse c'era ma con troppi contrapposti. Naturalmente non si possono accantonare economia e lavoro, ma per incentivarli è necessario aggregare un buon sistema aggiornato, consapevole e volonteroso, per aiutare finalmente e concretamente dove si è “tagliato “a “mani di forbice “. Nel frattempo cosa dobbiamo aspettarci??
Sono veramente perplessa e demoralizzata. Purtroppo non si ha la bacchetta magica per trasformare un mondo di insaziabili incapaci governanti in un insieme di persone preparate politicamente ed esperte nel cercare con tanto buon senso di prendere in mano la situazione. Per ora non ne vedo. Lei, gentile direttore?
Un cordiale saluto
Clara Rossini
Ci accorgiamo solo ora che i medici sono pochi. I pochi preferiscono, in gran parte, lavori tranquilli scarsamente soggetti a ricorsi proteste e cause ed a turni massacranti. Cime dargli torto. La sostanza che la crisi si è aggravata grazie alla furbata di Salvini sulle pensioni. Chi ha potuto se ne è andato anticipatamente. Se poi lavori per gli studi privati poi vada a fare volontariato in Africa poco cambia, non c'è più per la sanità pubblica.
La domanda è quanti ne servono e per fare che cosa?
Appare evidente che il modulo consueto del medico di base non funziona più.
I motivi più ricorrenti sono la demotivazione. La gran parte si vede ridotta ad un ruolo impiegatizio, quasi di passacarte. Tiranneggiati dai funzionari regionali e dai pazienti sempre più esigenti e sempre più bisognosi di cure, analisi consigli.
Penso che i compensi rientrino nelle cause ma in misura minore, almeno per quanto riguarda i medici di base.
Ma la domanda rimane quanti e per quali ruoli.
Mi soffermeremo solo sul ruolo del medico di base.
Ognuno di loro dovrebbe, già ora, essere in grado di calcolare quante ore di lavoro avrebbe bisogno per assistere in modo adeguato i suoi pazienti.
Assisterli in modo adeguato. Cio8in modo diverso a seconda della tipologia del paziente.
Un medico che ha 100 pazienti ultrasettantacinquenni, e ce ne sono, dovrebbe programmare per loro delle visite cicliche con analisi specifiche a seconda della malattia. In questo modo il paziente è seguito, le visite e gli esami specifici programmati. È un metodo per mettere a regime la macchina. Cioè organizzarla in base al reale bisogno.
Il medico diventa il perno e il custode della salute del paziente, non il meccanico che interviene per riparare ad un danno.
Bisogna invertire i ruoli sulla scacchiera della sanità. I funzionari debbono interessarsi delle risorse e del dispiegamento delle strutture in funzione della richiesta dell'operatore di base. La smettano di calcolare i bisogni con algoritmi buoni per vendere i prodotti di Amazon e creino una rete di collaboratori di base. Li facciano lavorare questi preziosi medici di base ma per obbiettivi sanitari e non per compilare statistiche inutili.
Alessandro Gaboardi
Matteo Piloni, Consigliere PD Regione Lombardia
Il problema della continuità assistenziale, e cioè la guardia medica, è tanto grave quanto la carenza dei medici di base.
In Ats valpadana sono vacanti 2.825 ore di continuità assistenziale (1.817 per la provincia di Mantova e 1.008 per quella di Cremona).
Come per i medici di base, le responsabilità sono legate senza dubbio ad una dimensione nazionale, e non solo regionale. È sbagliato non riconoscerlo. Ma in Lombardia è più pesante che altrove a causa dello smantellamento della medicina di territorio in atto da anni, nei quali la riforma Maroni ha dato il colpo di grazia. Uno dei modi per intervenire è sulla retribuzione, in generale, e sulle condizioni di lavoro a partire dalla sicurezza. Inoltre la fortissima disparità tra pubblico e privato, a vantaggio di quest'ultimo, porta molti medici ad abbandonare il servizio pubblico. Questa situazione va drasticamente modificata.
Marco Degli Angeli, consigliere regionale M5S
Le cause stanno nella mancata programmazione di turnover del personale medico sia nazionale che regionale.
Come non dimenticare i miliardi di tagli alla sanità perpetrati dai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni e la pessima riforma Lorenzin.
La sanità Lombarda, da Formigoni in avanti, è stata inserita in meccanismo di quasi mercato, ed ha subito una frammentazione di tipo feudale con centri di potere non comunicanti,
ha concentrato le risorse solo sugli ospedali
ed ha completamente dimenticato l'assistenza socio sanitaria territoriale, consegnato di fatto le chiavi della nostra salute ai privati, avvantaggiati da un sistema competitivo che il pubblico non può reggere.
È fondamentale togliere i vincoli di numero chiuso delle università, rivedere le regole di accreditamento delle strutture private, che dovranno rispondere ad una logica di servizi complementari individuati dalla programmazione pubblica regionale e non a regole di competizione di mercato.
Vanno inoltre riviste le regole d'ingaggio della Libera professione.
Vanno razionalizzate le Ats in un'unica Ats Lombarda sul modello veneto, rafforzando al contempo la capillarità delle Asst. Questo consentirebbe una programmazione più armonica, omogenea e più calibrata sulle esigenze territoriali in un'ottica di sussidiarietà e non di competizione.
Reclutamento di nuovo personale, più investimenti nel personale e miglioramento dei contratti pubblici del comparto sanitario. Non serve solo annunciare nuovi ospedali e parlare di investimenti immobiliari per ristrutturare nuove case di comunità.