Al titolo, per ragioni di chiarezza, avremmo dovuto/voluto aggiungere un occhiello: “non si sa con quanta convinzione e senso dell'etica istituzionale, da parte di chi è costretto, a distanza di molto tempo dall'incardinamento della “pratica” e dall'assunzione di decisioni definitive, a fare ciò con cui avrebbe dovuto cominciare”. Un occhiello francamente po' lungo, fors'anche suscettibile di rendere inutile l'articolo.
Ma, dato che ci siamo, proveremo anche una versione più ampia e meditata delle riflessioni indotte dall'annuncio della convocazione del Consiglio Comunale “a porte chiuse”.
Secondo chi scrive la tardiva e, probabilmente, poco convinta decisione di istituzionalizzare un inaggirabile confronto rovescia, in qualche misura, in termini di logica e di tempistica, l'ordine dei fattori.
Il prosieguo ci dirà se a cosa servirà questo tardivo “taccon” posto sulle vistose falle di un percorso decisionale che nessun avveduto politico avrebbe immaginato e praticato.
Il tema è noto. Ci riallacceremo a tutto quanto in materia abbiamo scritto, solo per dire che, per una questione di così rilevante importanza si sarebbe dovuto partire da un'ampia disamina di un problema strategico, la cui immanenza era implicita nella fattispecie, se non altro, del compiuto mandato dell'organo amministrativo (lasciato in carica in regime di prorogatio).
Un'ampia disamina, resa cogente da questo ineludibile obbligo procedurale ed ancor più dalla percezione dei disastri annunciati e non.
La lezione impartita dalla prima ondata pandemica avrebbe dovuto ammonire ad applicarsi all'impegno di pianificare, in modo da trovarsi pronti.
Per evitare il ripetersi della situazione di marzo, quando un cataclisma oggettivamente inaspettato ed imprevedibile nelle dimensioni, nelle modalità delle conseguenze e nella rapidità della propagazione, ci mise alle corde.
Invece, una volta pensato di averla sfangata di fronte al temporaneo allentamento, la gran parte del sistema-paese, prigioniero di schemi convenzionali ed avvinghiato alla lectio facilior dei gesti scontati in automatico, dimostra di essere impermeabile a comprendere la morale e, conseguentemente, a cambiare pensiero e passo.
Vabbé si dirà che quanto sopra compendia le caratteristiche di un'intemerata globale diretta alle cattive posture diffuse in tutto lo Stivale. Vero! Ma il flagello pandemico ha picchiato duro sulle sponde dell'Adda e ha praticamente decimato gran parte della popolazione dei residenti nella Casa Riposo, che, da almeno due secoli, la popolazione chiama l'"uspedal".
Se è vero che la pandemia si è accanita preferibilmente sulla terza età e sulla terza età istituzionalizzata, il dato del Mazza relativo all'esito letale (si è letto, oltre il 50% degli ospiti) iscriverebbe d'ufficio il trend della RSA dell'Adda nelle posizioni alte della nefasta classifica.
Premesso che la dedizione degli operatori e, fin quando hanno potuto, dei supporti volontari non è assolutamente in causa e che non sarebbe proprio il caso di appellarsi a fatalistici destini cinici e bari, quell'ampia disamina, con cui abbiamo aperto questa (ulteriore) riflessione che si aggiunge alle non poche precedenti, oltre che doverosa ed ineludibile, avrebbe dovuto essere tempestiva ed inclusiva.
Così, come ben noto, non è stato.
I padroni del vapore hanno preferito una condotta autoreferenziale, in solitaria, blindata e, soprattutto, rivelatrice di un timbro di arroganza, che, prima di essere, procedurale, era ed è culturale.
Come abbiamo anticipato, il rinnovo del mandato amministrativo al vertice della beneamata (dai pizzighettonesi) Fondazione avrebbe dovuto l'occasione per inquadrare le conseguenze devastanti della Pandemia in una visione più vasta della RSA. Che, a dispetto di quasi due secoli di onorato servizio, da tempo dimostra, come molte delle consorelle operanti nel territorio provinciale, di non passarsela bene.
Da tempo, come avevamo osservato nei precedenti approfondimenti, era stata chiusa la stagione aurea delle sinergie con il comparto sanitario territoriale e dello sviluppo della struttura degli anni 80 e 90.
Come spesso ammonisce il sen. Walter Montini, attuale presidente dell'ARSAC (fondata da Riccardo Piccioni), il settore patisce, con buona pace di chi non vede perché non vuole vedere, inadeguatezze strutturali. In cui emerge, nella lettura di chi ama i percorsi facili ed esimenti, lo squilibrio tra i costi, crescenti, nonché atti ad assicurare prestazioni assistenziali decenti, e i ricavi, che, pur mettendo a prova le possibilità delle famiglie, appaiono assolutamente incongrui.
Su questo ordine di problemi, a nessuno è venuto in mente di citofonare al campanello della Regione Lombardia, più prodiga verso la sanità privata e sparagnina nei confronti del socio-assistenziale indirizzato alla terza età non autosufficiente e, conseguentemente, destinata alla istituzionalizzazione?
Che dire, poi, della sistematica violazione, da parte del Pirellone (come di altre Regioni), dell'obbligo di farsi interamente carico dell'assistenza (in regime di degenza) riservata ai portatori della sindrome di Alzheimer, che costituiscono un'aliquota prevalente della popolazione degli ospiti delle RSA!?
Era da qui che avrebbe dovuto cominciare quell'analisi destinata a sfociare (nell'ordine) alla formulazione sia di un progetto strategico di rimodulazione della Fondazione sia di una declaratoria di ingaggio per la nuova amministrazione.
Così non è stato. I padroni del vapore del governo comunale, con questa scelta comportamentale, hanno finito di essere espressione di un'alleanza civica ed hanno gettato la maschera, per diventare manifestamente ciò che sembrano. Vale a dire un aggregato di scampoli culturali di destra, animati solo da impulsi di potere (per fini di parte).
La nomenklatura che siede nel Municipio millenario si è, nell'ordine, rifiutata di misurarsi in un fecondo confronto all'interno della maggioranza, di aprire la dialettica fino ad investire anche la minoranza consiliare, di coinvolgere nel dibattito la popolazione e le istanze attive, di nominare (comunque, al termine di questo percorso), anche una rappresentanza dell'opposizione.
Nella più benevola delle intenzioni i padroni del vapore si sono mostrati, con le scelte arroganti della tarda primavera, impegnati in un'operazione, che aveva come mission quella di mettere il carro davanti ai buoi.
Essendo importante non la ricerca del bene comune, in cui coinvolgere un dibattito più ampio possibile; bensì l'atto arrogante di nomina di amministratori scelti, (al di là di una selezione farlocca) sulla base del parametro fiduciario dell'appartenenza partitica.
Mancheremmo (per quanto ci costi ancora sconcerto) ad un dovere di completezza di informazione se omettessimo di precisare ancora che tra i nominati non figura nessun pizzighettonese.
Temendo (nonostante la piena aderenza ai canoni comportamentali sovranista e populista) di averla fatta troppo grossa, il Sindaco e la Giunta devono aver tardivamente realizzato che neanche ai tempi del Politburo moscovita si sarebbe potuto schivare l'accusa (soprattutto, a meno di un anno dalle elezioni) di arrogante impermeabilità al controllo dei cittadini.
Ed ecco, quindi, sfornato, coll'incontro tra Consiglio Comunale e Consiglio della Fondazione, una versione succedanea di trasparenza e di inclusione dell'opinione pubblica.
Un incontro, concepito e mantenuto nell'ottica delle porte rigidamente chiuse.
Come dire, un misto di furbizia, pensata per evitare l'accusa di comportamento prepotente e per mantenere ad un tempo inalterato quanto già deciso.
Una posizione di questo tipo non merita, insieme al disprezzo, altro che di essere rispedita al mittente.
Pubblichiamo di seguito il pronunciamento di Gigi Pesenti, uno dei fondatori della Lista civica "Pizzighettone al Centro", nonché la presa di posizione ufficiale della lista medesima.
PIZZIGHETTONE CITTÀ APERTA
La Casa di Riposo per Anziani Luigi Mazza è un patrimonio da salvaguardare e tutelare sia per i servizi che eroga ai cittadini in condizione di fragilità sia per le risorse umane impiegate nell'assistenza alla persona e al funzionamento della struttura socio-sanitaria. Bene comune che va difeso con PORTE APERTE, alla luce del sole, con la massima trasparenza.
Una struttura socio-sanitaria che opera con grande efficacia grazie alla generosa abnegazione di tutto il suo personale e che non dovremmo mai stancarci di ringraziare ed encomiare per la loro professionalità nell'assistenza alla persona.
Per affrontare una fase così complessa, che la crisi da Coronavirus ha messo in evidenza, non bisogna chiudere la porta in faccia alla comunità, ai cittadini, ma aprire un dibattito con tutti gli attori, una “battaglia politica” senza pregiudizi per definire progetti giusti in grado di risolvere le difficoltà gestionali e organizzative della Fondazione L. Mazza.
Questo sì che sarebbe trasparenza, partecipazione e non fermarsi alle roboanti dichiarazioni del tipo “un bene comune della comunità” che più volte la massima carica amministrativa, parlando della Fondazione L. Mazza, ci propina negando, poi, l'allargamento a tutti gli attori coinvolti di ascoltare, discutere e partecipare per portare ciascuno il proprio contributo.