Se è permesso un pacato, disinteressato consiglio: mai inclinare, quando si insiste su temi-sedimento di vecchie ruggini e di mai sopite malmostosità, alle metafore meteorologiche. Solo qualche giorno fa, presentando il cartellone della Stagione 2021-22 del Teatro Ponchielli, ci eravamo sbilanciati, nell'auspicio di un'inversione di gradiente, con un inconsiderato “tanto tuonò che (fortunatamente) uscì il sole”. Venuti a nausea precedenti non esattamente virtuosi, ci eravamo (un po' irrazionalmente) cullati nell'illusione che il preannuncio della ripresa dell'attività teatrale fosse anche il viatico di un impulso a ricomporsi. Rispetto ad una querelle che ha dilagato fuori misura, alla vigilia e al momento della “staffetta” nel vertice gestionale.
Avevamo immaginato, con eccesso di ottimismo, che, come dovrebbe essere sempre nella vita, ce se ne fa una ragione (in campo ai quiescenti che possono optare tra le classiche panchine o interessi più impegnativi) e che la “punzonatura” del subentro fosse preludio del superamento di un assurdo e durato troppo a lungo ciclo e dell'avvio di una nuova fase. Che fosse più consapevole dell'ottimizzazione del rapporto costi e risultati, dell'aderenza (al di là della cornice istitutiva in Fondazione) ad ineludibili principi di trasparenza e sobrietà e, ultimo ma non ultimo, del costante richiamo alla mission incardinata quarant'anni fa dalla municipalizzazione di un'entità, praticamente allo stato agonico.
Nel commento alla presentazione della Stagione avevamo incautamente azzardato un virtuoso impulso corale da parte della politica, del pool di sostegno privato, del ceto intellettuale, a vincere gli indugi (senza, tuttavia, rinunciare alle consapevolezze delle falle e delle cattive posture) e a guardare avanti. A tener conto del fatto che, in dipendenza un po' del portato pandemico ed un po' di una più realistica percezione dei pesi e delle misure della Città e del suo Teatro, si dovesse archiviare il facile cedimento alla grandeur, ricaricare le pile per una meritoria armonizzazione/convergenza degli sforzi e delle risorse, fare del Teatro l'epicentro del patrimonio diffuso di entità suscettibili di essere coinvolte nella ripresa dei cardini progettuali del Ponchielli Comunale.
Uno prezioso strumento capace di garantire un'offerta qualificata ad un'utenza fidelizzata da una storica tradizione di buona qualità; ma che non sia più il terminale di una filiera che ne fa il ricettore della proposta degli agenti.
Come abbiamo sempre detto, la cifra del rilanciato Teatro (per cui il Comune di Cremona si svenò con ingenti investimenti di riqualificazione strutturale) contemperava anche l'obbiettivo di una certa fascia di autoproduzione (di cui esistevano ed esistono tutti i presupposti).
Erano questi gli auspici e le percezioni in capo al ritorno del bel tempo in corso Vittorio Emanuele. Rispetto a cui funzionò qualche giorno fa da termometro lo WhatsApp di una cara amica
Ho sempre apprezzato quanto fatto negli anni passati, ora è giunto il momento della svolta. Non tutto ha funzionato bene, forse nella comunicazione. Ma la nuova dirigenza a me piace. A Teatro ora ci sono molte persone giovani. Il che non è per niente male”. Sono bastati alcuni giorni per mettere sotto il proiettore delle vicende cittadine un severo ammonimento dagli effetti contro-tendenziali agli auspici. Evidentemente gli sviluppi dei giorni scorsi ci associano fondatamente alla fattispecie dei componenti poco perspicaci “della banda di Peppone” ("Ma com'è? Io dico raviolo e voi capite tortellino" - da Don Camillo Monsignore ma non troppo). Chiediamo venia per quell'incauto impulso di ottimismo. Risultiamo smentiti dai fatti. Smentiti da accadimenti che sono la reiterazione, in forma potenziata, di irricomponibili contrapposizioni e, soprattutto, di posture in cui l'”io” non rinuncia mai a prevalere sul “noi.
Diversamente, però, da Peppone non è la sua cricca ad equivocare tra raviolo e tortellini. Siamo stati a non percepire che, almeno per ora, non sono maturi i tempi per una svolta virtuosa.
Rebus sic stantibus ci dovremo impegnare in una corvée supplementare di decifrazione del senso degli eventi e di una narrazione “fuori dal coro”. Si sta sollevando, infatti, una narrazione trasversale che si avvale di una dinamica che punta a rendere inoppugnabile il dogma del “tutto fatto nelle regole”, della “restituzione dell'onore”, di una benemerenza dei servizi fin qui resi che han fatto grande Cremona e di quelli che ancora potrebbe rendere. Uno speech che non ammette minimamente relativismi e pensieri critici e che probabilmente non si sa quanto consapevolmente tende ad esercitare una interessata pressione anche sulla Procura perché non impugni il pronunciamento del GUP.