…bisognerebbe anche aggiungere, memorie corte. Già perché tra qualche settimana cadrà il primo anniversario dell'inizio della tragedia pandemica e l'avvio, per taluni, di una stagione di feconde testimonianze umanitaria e, per tal altri, della incessante manovella della retorica.
Della retorica degli angeli, degli eroi, degli operatori e dei cittadini praticanti la dedizione professionale e civile.
Per moltissimi è andata (e sta andando) veramente così. Sulla base di condotte che, al di là di prestazioni assolutamente esemplari e foriere della tenuta dell'impianto comunitario, sono e saranno iscritte nelle pagine immemorabile della storia patria e del territorio. Pur se indiziabili di un non voluto indotto di una deformata percezione della vera fattualità.
Gli eroi ci sono stati e sono tuttora in servizio permanente effettivo. Ma ci sono stati e ci sono anche molti influencers che hanno immaginato e tratto profitto dalla retorica. Sotto cui hanno tentato di celare, come il classico tappeto, fatti e responsabilità; nell'ovvio tentativo di uscire indenni dal rendiconto degli errori, di restare in sella e, a dispetto del proposito enfatico del “tutto dovrà cambiare”, di mantenere inalterato il quo ante.
Come succede sempre nei passaggi nevralgici della storia patria, a salvare l'onore e la sostenibilità dell'Italia, furono i semplici soldati, mandati al fronte ed in trincea con gli scarponi a suola di cartone.
Questa terribile vicenda pandemica, dal portato molto simile ad un conflitto, ha visto ancora una volta lo schieramento, nelle trincee dell'impari confronto con un nemico sconosciuto e con preesistenze strutturali in giudicabili, dei, detto con il massimo rispetto, “fantaccini”. Dotati, stavolta non di inutili calzari di cartone, di standards strumentali al di sotto del minimo civile.
Per settimane, giova ricordarlo, privi di presidi protettivi, gettati in campo in strutture che, in barba all'autoapologia dell'”eccellenza”, ha rivelato e rivelano tutta la loro inadeguatezza. Di fronte ad eventi straordinari (ma non imprevedibili, se non nella neghittosità di un ceto dirigente dalle visioni effimere), ma, come sta dicendo e dirà il prosieguo, anche a requisiti prestazionali minimamente decenti. Spostare l'ordine di fattori inadeguati dal segmento dell'ordinarietà a quello dell'emergenza può servire al tentativo di coprire i buchi vistosi, non ad effcientare un sistema colabrodo. Un sistema che, come detto ad nauseam, ingoia, nonostante sia abbondantemente sotto gli standards medi dell'UE, risorse ingenti in un rapporto manifestamente inverso tra costi e benefici.
L'anatema più severo è rivolto all'establishment lombardo, reduce da un quarto di secolo di performances non esattamente virtuose né efficienti; che, neanche di fronte all'evidenza, rinuncia all'impulso di “speriamo che me la cavo…” attingendo solo ai depositi della furbizia e dei maquillages a finalità mediatica.
Una tattica più che una strategia da sguardo breve e da fiato corto. Perché, lo ripetiamo fino allo sfinimento, non si possono pretendere ingenti provvidenze (a debito cattivo) se poi, nel corso di un intero anno, non si dimostra la minima volontà di una correzione di respiro strategico.
Si continua a compiacere il modello della “libera opzione tra l'offerta pubblica e quella privata” (in realtà drenando ingenti risorse a babbo morto a favore della sanità capitalistica, più che privata), pervicacemente scavallando l'ineludibilità di forte correzioni nel modello sanitario.
I propositi del cambiamento si stanno rivelando meno di una colpevole bugia.
A cominciare dalle quisquiglie della campagna della vaccinazione (facile facile anche per paesi sottosviluppati) per la normale influenza (gran parte della popolazione lasciata scoperta e 10 milioni di euro buttati dalla finestra). Ogni tanto, quando le bugie sui reali intendimenti e sulle inconfessabili neghittosità non reggono all'evidenza dei fatti, si getta l'offa del “nuovo ospedale”.
Più che un evidente depistaggio una plastica presa per il culo (sì, sì, proprio presa per il culo).
E, a proposito proprio di quella cosa lì, la faccia si rivela peggio di essa quando impudentemente affiorano nella difficile quotidianità propositi operativi come quelli immaginati dal Direttore della ATS Padana per ottimizzare la campagna vaccinale.
Ne scrive ieri il caporedattore del quotidiano La Provincia; ne scrive talmente bene che bene che ci esime dal fargli il verso.
Semplicemente attingiamo qualche spezzone dal testo. Il cui incipit, tanto per essere diretto, titola “Sic transit gloria mundi”; per proseguire con una rivisitazione dei fatti difficilmente contestabile
Così passa la gloria terrena. Un anno fa gli infermieri erano eroi da osannare e da premiare. Poi sono diventati (per qualcuno), untori da scansare. Ora sono servi della gleba da sfruttare fino al midollo. Loro hanno sempre dato tutto: sudore, lacrime e sangue. Nel momento della prima ondata della pandemia, alcuni sono diventati simboli mondiali della lotta al virus. E nell'entusiasmo di quelle ore drammatiche erano stati promessi loro significativi riconoscimenti economici. Poi il brusco ritorno alla realtà. Li hanno «premiati» con le briciole; su molte delle loro porte di casa abbiamo visto comparire cartelli che li invitavano (eufemismo) a starsene alla larga per non infettare i vicini.
Ma il bello ha da venì con un annuncio che non apparterrebbe neppure ai brutti sogni
Ma loro, gli infermieri, sono ancora là, nei loro reparti, a curare e a dare sollievo ai pazienti. Restano in prima fila nella gestione di quella che è ancora a tutti gli effetti un'emergenza. Anche se nessuno li chiama più eroi. E la scorsa settimana è arrivata un'autentica beffa: c'è la fase 2 della campagna di vaccinazione da gestire, il sistema rischia di non farcela e, così, ecco la proposta indecente, un avviso sul portale dell'Ats Val Padana, che intende formare l'esercito dei sanitari necessari per immunizzare le fasce di popolazione più fragile, a partire dagli over 80. Nella sola provincia di Cremona vuol dire vaccinare oltre 25 mila persone. In cambio di una pacca sulle spalle: gli infermieri dovranno operare a titolo di puro volontariato (al netto di rimborsi spese e coperture assicurative, viene specificato: e ci mancherebbe). Cioè gratis.
Irricevibile, oppone (elegantemente, fin troppo elegantemente) Enrico Marsella, presidente dell'Opi, l'Ordine delle Professioni Infermieristiche, ad un'ipotesi di lavoro, diciamo così, che per alto tasso di disprezzo verso chi è diretta e per il vuoto pneumatico di razionalità, un nostro affezionato lettore ha commentato con toni esattamente non oxfordiani (“Non c'è più religione. Ma sono delle stratosferiche facce di m... Regalano miliardate ai privati e al cerchio magico della dirigenza leccaculista e pretendono di umiliare il segmento fondamentale di quel che resta della macchina sanitaria. Bisogna fargli sentire il fiato sul collo a quegli spudorati”).
Noi per quanto fortemente tentati, resistiamo a claudicare su tale estremo terreno comunicativo. Per quanto, sulla bocca di un semplice cittadino e lettore (che evidentemente ha letto La Provincia e segue la nostra testimonianza sul tema, la reazione regge. Pensate, in parallelo, alle condizioni (fisiche e psicologiche) in cui da un anno sono obbligati ad operare decine di figure mediche, paramediche ed ausiliarie, al loro trattamento normativo e salariale ed al senso della pretesa di una corvée accessoria. Che, come rileva giustamente il rappresentante professionale, viola la deontologia ed avvilisce lo status professionale e le prerogative contrattuali.
Neanche il peggior padrone delle ferriere avrebbe osato tanto!
L'impudente ipotesi di lavoro è, unitamente alle mai credibilmente smentite falle nella filiera della prima fase di vaccinazioni alle categorie più fragili di qualche RSA, un pessimo viatico per il prosieguo di una campagna, da cui dipenderà l'esito finale del contrasto alla pandemia. E, se è permesso, primo che ciò succeda, noi non rinunceremo a farci sentire. (e.v.)
La storia del dottor Micheli da Orzinuovi che ha salvato molte persone nel suo paese e anche a Soncino.
Se la vicenda Covid ha tinte oscure, non lo è invece la storia del medico bresciano, il dottor Micheli. Con tuta impermeabile gira e ha girato tra i malati della Bassa Bresciana, salvando tante vite, convinto che, oltre alle medicine occorra al paziente anche il rapporto umano. Pietro Severo Micheli ha 1550 assistiti, riceve cento telefonate ogni giorno ed è sempre sul pezzo. Ormai il Covid lui lo conosce benissimo; il suono della polmonite da Covid non lo spaventa più. E mentre i suoi colleghi preferiscono evitare i contatti diretti, lui viaggia tutto bardato da un luogo all'altro della sua Orzinuovi e, naturalmente anche fuori paese.
Questa sera alle ore 20,00 il Tg 1 gli dedicherà un servizio.
Lui, che il giuramento di Ippocrate ha dimostrato di applicarlo sempre, in ogni momento in ogni luogo.
E domani sarà un altro giorno. Il dottor Micheli, con la sua tuta bianca, guanti, occhiali, visiera e calzari se occorre sarà pronto e disponibile a visitare chi avrà bisogno. Un uomo prezioso per il suo territorio, un uomo che fa e ha fatto la differenza. Buon lavoro dottore e forza. Siamo tutti con lei! (r.t.)