Più che la solita formula di accoglienza (“abbiamo ricevuto e pubblichiamo”) dovremo ricorrere a qualcosa di diverso, per inquadrare il profluvio di sms, whatsapp, mail, giuntici come testata e come intercorso personale; su una materia che prevedibilmente non avrebbe potuto passare nascosta o minimizzata (nonostante i contesti da pensiero unico e da informazione monopolistica imperanti in questo quadrante padano).
Non ci sottrarremo all'impulso (forse, al dovere) ad incoraggiare l'apertura di un focus tendente a favorire percezioni e consapevolezze. Non solo sul modo che ancor m'offende (con cui è stata avviata e concluso l'operazione), ma sulla cinica bassezza delle finalità giocate nell'evidente sproporzione tra i benefici perseguiti per pochi ed il danno arrecato ad un'intera comunità del territorio. Che viene vandalizzata in quella che si può definire la sua principale griffe identitaria ed il maggior brand attorno cui gira il maggior segmento produttivo.
In un ciclo ormai deprivato da qualsiasi traccia di gentlemen agreement e di coesione ci può stare (o meglio, dovremmo essere vaccinati a questi comportamenti cinici ed egoistici). Ma, dalle prime battute della percezione del fatto, non appare in ballo solo la metabolizzazione del profilo del negativo indotto economico.
Che resta rilevante; perché si aggiunge ad un inarrestabile processo (perseguito con costanza e con tenacia) di marginalizzazione di un territorio, che, pur essendo periferico e perciò stesso defilato rispetto all'asse centrale delle strategie regionali.
Ma abbiamo avvertito qualcosa di più importante del pur nodale aspetto del danno sulle attività imprenditoriali e lavorativi. Ci riferiamo ad uno sconcerto, che trae motivo dalla sensazione di un gesto che vilipende la storia della comunità cremonese.
Vabbè, quando c'è stato motivo di suonarsele da carrettieri nelle dinamiche sociali i fronti contrapposti non si sono tirati indietro. Anzi, Cremona, prima e dopo il Ventennio, è stata in tal senso l'epicentro di uno scontro, che era dialettico e che rivelò aspetti anche drammatici.
Ma anche nelle acuzie di quelle tensioni le parti contrapposte non buttarono mai l'acqua sporca ed il bambino. La parte datoriale, usa in campo agricolo alle maniere forti, fu sempre consapevole che senza le braccia e senza il coinvolgimento delle maestranze un comparto agroalimentare, per tanto tempo non tecnologizzato, non avrebbe fatto molti passi con una contrapposizione irricomponibile.
La parte dipendente, pur giustamente motivata dall'ottenimento di condizioni di lavoro e di trattamento degne di essere definite civili, non smarrì mai la consapevolezza della tutela dell'aggregato che, sia pur con vantaggi diseguali, assicurava continuità al sistema economico e sostentamento a masse di lavoratori direttamente impegnati nel processo e ad ampio indotto. Fino al punto da rappresentare un brand distintivo negli scenari nazionali ed europei.
Poi, ovviamente, tali caratteristiche sommariamente descritte e riferite a tempi lontani sono cambiate profondamente. Ma, quel che vogliamo sostenere, è che si è sempre avvertita una sorta di cordone ombelicale tra la Fiera di Cremona e i settori comunitari, anche quelli non direttamente interessati.
Un sentiment, questo, che è riemerso clamorosamente come reazione ad un fatto che non si sa se percepire più che, come usa di questi tempi, un revenge porn o clamoroso gesto di vandalizzazione. Che sgomenta, perché tocca le corde identitarie.
Speriamo che i rumors della reazione da noi raccolta ed amplificata da tutti gli organi di informazione locale coinvolgano anche le fasce più giovani di opinione. Ma senza ombra di dubbio le sensibilità più violate appartengono alle classi di età più avanzate. Che ancora per acquisizione diretta o per tradizione orale hanno una consolidata maturazione del valore delle griffes territoriali, ma, soprattutto, come abbiamo ripetutamente sostenuto, della simbiosi morale della lunga e partecipata tradizione.
Una coesione simbolica che avrebbe preso le mosse non già dall'iniziativa dei soggetti imprenditoriali dell'agricoltura, in quei tempi ancora sotto tutela del Governo Militare Alleato (per la trascorsa subalternità al locale Ras durata vent'anni e deragliata negli orrori della guerra militare e civile). Ma per coraggiosa e lungimirante intrapresa dei protagonisti politico-istituzionali di quella fase di trasferimento dei poteri civili e dell'avvio della ricostruzione morale e materiale e del riottenimento dell'onore comunitario.
Ne abbiamo già scritto tempo fa, grazie alla ricostruzione storica di Giuseppe Azzoni (di cui ieri abbiamo pubblicato una vibrata denuncia nei confronti dell'annessione della mostra bovina) e grazie alle reminiscenze di Clara Rossini. Che è figlia del primo Sindaco cremonese Gino, cui si deve (insieme ai partiti antifascisti ed all'associazionismo partigiano) il varo, immediatamente a ridosso della Liberazione, della rassegna fieristica. Che, col concorso delle categorie imprenditoriali del settore e delle istituzioni locali, sarebbe decollata, fino a divenire un punto di riferimento internazionale.
Indubbiamente, il trend gestionale ed amministrativo non è sempre stato ineccepibile e lineare. Specie negli ultimi anni, in cui si sono consolidate alcune cattive posture, suscettibili di aver reso contendibile e vandalizzabile l'Ente Fiera cremonese. Ma questa è altra questione; su cui appare ineludibile un impegno di approfondimento. Capace di mettere sotto riflettore le dinamiche degli ultimi vent'anni dei protagonisti diretti e lo svolgimento dell'azione di indirizzo e di controllo in capo alle istituzioni partecipanti. Nei cui confronti il minimo che si possa affermare è che tale azione si è rivelata lasca. Come conseguenza di un quasi irrefrenabile scadimento del ceto politico-istituzionale, correlato all'imbarbarimento delle dinamiche politiche.
Un processo questo che non ha risparmiato il campo, non esattamente marginale, di quelli che si dicono i corpi sociali intermedi. Con cui ci si riferisce alle associazioni categoriali. Che già in passato mostrarono un profilo di concorrenzialità marcata. Senza, però, che ciò riverberasse le proprie conseguenze su irrimediabili lesioni agli interessi comunitari.
Quel che vogliamo sostenere è che, se il cedimento delle prerogative etiche e comunitarie in capo alla politica, ha sortito l'effetto di balcanizzare gli scenari pubblici, nel gorgo dell'imbarbarimento è finito anche il mondo categoriale.
Anche decenni fa l'associazionismo agricolo praticava dinamiche concorrenziale. Ma, mai Vercesi, Romagnoli, Pedroni, per ricordare i maggiori esponenti di quella stagione Coldiretti, Duchi, Mainardi e Villa avrebbero praticato, sull'altare delle contrapposizioni, gesti scellerati e suicidi come il trasferimento della rassegna fieristica dalla sede naturale che è Cremona.
Concludiamo questo incipit del focus Fiera, pubblicando la riflessione di Clara Rossini. (e.v.)
Caro Direttore, ringrazio Giuseppe Azzoni per aver così ben interpretato lo sgomento dei cremonesi per l'inaspettata decisione della Regione Lombardia di assegnare a Montichiari la localizzazione della Nostra Fiera del Bovino da latte. La regione Lombardia...ma quando ha volto lo sguardo alla bassa padana, al suo isolamento, all'enorme disagio dei nostri pendolari nonostante il prodigarsi del deputato Pizzetti?? Spariscono i vaccini antinfluenzali e anche i soldi impegnati per acquistarli...affidano ad Aria, società con basi leghiste, l'organizzazione della distribuzione dei vaccini Anticovid e ne nasce un putiferio a danno delle persone più fragili …Ad ogni fallimento ci si chiede perché Fontana e company siano ancora insediati comodamente al loro posto...ed ora scoppia l'ennesima “bomba”, così a ciel sereno, come se niente fosse!! Mai nessun riguardo per noi, ma la capacità di non dare viene superata all'ennesima potenza da quella di togliere, anzi di scippare!! Un mega scippo a tradimento!! Lo sanno lor signori quanto si sono dati da fare i nostri agricoltori nell'immediato dopoguerra per salvare la nostra realtà contadina e il mondo che vi gira attorno?? Il sindaco di allora, mio padre, collaborò al massimo per far nascere lungo le rive del Po la prima Fiera del bestiame. Nel contempo, godendo della fiducia anche di altri cittadini abbienti, otteneva da loro generose donazioni per le famiglie più povere o per le piccole attività altrimenti costrette a morire. Solidarietà, capacità, cuore!! Che ne sanno i Lor signori di questi sentimenti, di questo saper fare??? Nel 60° anniversario celebrativo della nostra, e sottolineo nostra, Fiera fui invitata alla cerimonia dove mi fu consegnato un diploma intestato a Gino Rossini, il sindaco sopracitato, il primo eletto dopo la guerra, mio padre. L'allora presidente Commendator Piva ebbe per lui parole grate e per me confortevoli. Guardandomi attorno assorbivo la contentezza, l'entusiasmo, la consapevolezza e l'orgoglio di chi ancora si dedicava a questa impegnativa avventura che ogni anno richiamava nella nostra città partecipanti da tutta la nazione e anche dall'estero. Si inaugurava ogni anno alla presenza di personaggi importanti, con la fascia tricolore, per tagliare il simbolico nastro. Nei giorni seguenti tantissimi visitatori …Ora che succede?? Cremona città virtuosa, Cremona volonterosa, generosa viene per l'ennesima volta calpestata, dimenticata??? Quanto rancore ho nel mio cuore, cari signori!!! Tutti i soldi per istituire e mantenere le Regioni a cosa sono valsi? Dove ci portano? A tornare ad essere gestiti a livello nazionale?? Se avete un briciolo di buon senso, meditate, cari signori ...MEDITATE.
Clara Rossini