Caro Eco, non se ne dorrà la beneamata testata “dei cremonesi”, se dall'edizione di stamane estraggo uno spunto degno di non cadere nell'oblio o nella trascuratezza. Mi riferisco al bell'articolo di Maria Teresa Teschi, che, partendo dall'infausto annuncio della chiusura del Circolo dell'Accademia d'Armi, ne fa una storia durata 122 anni.
Un pezzo della Città che se ne va e che induce ad una riflessione sul cambio dei tempi.
Mi piacerebbe sapere in proposito l'opinione del Direttore, solitamente attento ai segnali dei cambi di fase di Cremona.
Grazie e cordiali saluti.
Giorgio Orlandelli - Cremona 20 gennaio 2022.
Caro lettore, hai voglia se l'ho letto il bel paginone dedicato ad un annuncio che rende Cremona un po' più povera di fermenti associativi ma ne accresce il prestigio di una storia, fatta di luci e di ombre, ma importante. La campana stavolta è suonata per il rilevante sodalizio (per di più dedicato alle figure dei testimoni della Resistenza Fratelli di Dio) dell'Accademia d'Armi.
La cui missione era prevalentemente vocata, appunto, all'esercizio delle armi da lama, pur divagando anche nel campo dello svago di livello e della convivialità.
Dando un lungo contributo di ricchezza delle opportunità e delle testimonianze di coesione relazionale.
Prima dell'Accademia avevano chiuso il Circolo della Caccia (corso Campi) e il Circolo Giardino (piazza Roma).
Sodalizi esclusivi questi ultimi due citati, di cui sono segnalatrici le location esclusive; meno aristocratica, anche se sempre molto prestigiosa, l'Accademia.
Un'ecatombe di moduli di vita comunitaria, sicuramente appartenenti a cicli cittadini pregressi, ma non di meno evidenziatori di un forte cambio di fase nell'impronta comunitaria.
Una deriva ormai irrefrenabile, specchio dei mutamenti non virtuosi dell'impianto delle relazionalità sociali e culturali.
Questa tendenza è la proiezione del venir meno di una cultura, forse anche di un ceto (borghese) rarefattosi, oltre che nel profilo comunitario, forse anche “in natura”. Non che se ne senta la mancanza (anche per un certo impulso all'estinzione di sé). Ma indubitabilmente è così. Il fenomeno riguarda anche il segmento popolare dell'associazionismo conviviale (con l'eccezione delle società canottieri).
A questo punto, sopravvive solo il “nonnino Filo”. Che come opportunità circolistica ha fatto accoglienza, nel corso degli anni, dei reduci persistenti dei sodalizi quiescenti. Ci fu anche l'esclusivo Giardino "Le mamme che facevano tappezzeria...sperando...".
Qualcuna probabilmente agognava buoni incontri oltre che per le figlie anche per sé...Anche se ciò appartiene all'aneddotica di costumi la cui pellicola non si può né riavvolgere né ri-proiettare. In genere, non inclino mai all'intimismo. Ma, stavolta, per una causa che ritengo buona e per un dovere di verità, esterno la mia condizione di socio del Filo (pago, dò una mano per la comunicazione, vado di tanto in tanto quando mi convoca il patron Giorgio Mantovani, cui si deve il merito maggiore di questo miracolo di sopravvivenza e splendida vitalità).
Sono il superstite di una troika di soci. Due (Coppetti e Dolfini) sono deceduti. E la cosa mi suona come sinistro presagio. Ma, non ho difficoltà ad esternare il convincimento che il Filo, ultimo avamposto di un mondo scomparso, andrebbe affidato al WWF. Per il vero, grazie soprattutto all'impegno del suo presidente, dei soci, dei collaboratori, delle associazioni confluenti e all'avvedutezza del Comune, si è ritagliato uno spazio significativo nei contesti attuali. Cosa che invece è mancata agli altri sodalizi.
Forse la mestizia per luci di vitalità associativa che si sono spente è temperata dal fecondo risultato delle volontà di armonizzazione e di convergenza di testimonianze culturali e civili che hanno rifiutato di assecondare un destino di obsolescenza che in qualche misura impoverisce la città.
Lo dico da socio “marginale”, ma sono molto orgoglioso di questo risultato. Che è opera della Società Filodrammatica, ma anche del Comune che non ha perso di vista la mission. (e.v.)