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Matilde di Canossa e i suoi rapporti con i Cremonesi

  18/11/2020

Di Agostino Melega

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Matilde e il padre Bonifacio, assassinato a Spineda

 

Oggi proponiamo ai lettori l'inizio di un percorso suddiviso in tre tappe, che avrà per riferimento la grande figura storica di Matilde di Canossa (1046-1115).

Questa insigne donna fu infatti al centro della temperie che caratterizzò il mondo medievale nella definizione del primato fra impero e papato, e nella ricerca di un equilibrio nel sistema delle investiture dei poteri decentrati e locali dell'epoca.

Riferimento e guida, in questo viaggio di fascinazione, a guisa d'accompagnatori bibliografici, saranno gli storici moderni Harald Zimmermann, Vito Fumagalli, Paolo Golinelli, Lino Lionello Ghirardini, con il fondamentale supporto del biografo Donizone, autore del poema Vita Mathildis, opera giunta sino a noi attraverso il codice originale, ora codice Vaticano Latino 4922.
Da questi prestigiosi storici veniamo a sapere che Matilde, la futura “Gran Comitissa”, o Grande Contessa, da bambina viveva nella città di Mantova, dove pare fosse nata intorno al 1046. Donizone, in particolare, ci racconta che la fanciulla fosse dotata di notevole ingegno e che ben conoscesse il linguaggio dei Teutoni e che sapesse “anche parlare la garrula lingua dei Franchi”.

Una sera, una tremenda sera, (in una situazione che immaginiamo) la bimba venne presa stretta fra le braccia della mamma, Beatrice di Lorena, che le sussurrò, trattenendo a stento le lacrime, che il papà era partito per un viaggio lontano e che non sarebbe tornato se non dopo un tempo senza tempo, ossia dopo un tempo lunghissimo. Quella bugia male espressa, come tutte le bugie che i bambini avvertono subito come tali anche se non sempre lo dichiarano all'adulto, nascondeva una verità difficile da confidare ad una creaturina senza colpa né peccato. Quel giorno, infatti, (e qui ritorna il dramma della storia) il padre della bambina, il grande Bonifacio degli Attonidi, marchese di Toscana, aveva perso tragicamente la vita ucciso a tradimento dalle frecce avvelenate di un sicario, un tal nominato “Scarpetta dè Canevari”, di Parma. L'imboscata era stata tesa mentre Bonifacio era impegnato ad inseguire la selvaggina durante una delle sue frequenti battute di caccia nel bosco che allora si estendeva fra la terra mantovana e cremonese, e più precisamente fra San Martino dell'Argine ed il borgo di Spineda, in un'area silvana e paludosa che si prolungava a sud giungendo a lambire il Po. Un' area questa popolata da cinghiali, cervi, caprioli e daini.

Era il 6 maggio 1052. Matilde aveva sei anni. Quella notte si dice che si lamentassero pure in ruggiti strazianti i leoni situati da Bonifacio davanti all'ingresso della corte di Mantova; leoni che pare abbiano ispirato poi la scultura di quelli di marmo, stilofori, a guardia dei protiri delle cattedrali romaniche elevate nell'area culturale matildica, di lì a pochi lustri, a meravigliare il mondo, a Modena, Cremona, Fidenza, Piacenza e presso il monastero benedettino di Nonantola.

Ai fini del nostro racconto, va soprattutto sottolineato che da quella notte la bambina, che era stata chiamata come la nonna materna Matilde, rimase, con Federico e Beatrice, i due fratellini di poco più grandi di lei, senza la presenza e la protezione del papà. Bonifacio di Canossa, vassallo troppo potente e scomodo, più volte ribelle all'impero, era stato tolto per sempre alla sua famiglia, assassinato in una congiura ordita - si disse - su istigazione dello stesso imperatore Enrico III di Franconia, il Nero (1017-1056), da parte di vassalli minori, con tutta probabilità gli “arimanni” di Mantova, nobili d'origine longobardica che gestivano “beni comuni” nelle immediate vicinanze della città.

Va ricordato, inoltre, che qualche mese dopo l'uccisione di Bonifacio, i cittadini-arimanni di Mantova si contrapposero pure violentemente ad un tentativo di riforma del clero da parte di papa Leone IX (1049-1054) in visita alla città virgiliana nel febbraio del 1053. Un papa tedesco, questi, d'origine alsaziana, che pur essendo stato designato dal cugino, l'imperatore Enrico III di Franconia, il Nero (1017-1056), volle essere acclamato dal popolo e dal clero di Roma. Questa sua apertura ad una sorta di reinvestitura dal basso, che attenuava o ridimensionava inevitabilmente quella ricevuta dall'alto, forse favorì la contestazione dei filo-imperiali arimanni e rafforzò i legami che questi ultimi avevano con l'imperatore. Non a caso essi ricevettero in quello stesso anno un privilegio di protezione da parte di Enrico III.

Le acque di Mantova erano insomma fortemente agitate da questi arimanni, da questi nobili autoproclamatisi “uomini liberi”, che fieri della propria autonomia e indipendenza, non volevano sentire ragioni e condizionamenti esterni, e non avevano per niente digerito lo spostamento della capitale degli Attonidi da Canossa a Mantova, e ancor di più non avevano tollerato la modificazione al peggio del loro potere.

Altrettanto l'imperatore non aveva più tollerato la crescita della potenza e della ricchezza del grande vassallo Bonifacio, che aveva spostato a Mantova la sua residenza per essere, con tutta probabilità, più vicino alle maggiori vie di comunicazione stradali e fluviali: da quel che rimaneva della via Postumia per giungere a Verona e al Brennero, alle vie che passando il Po da Brescello e Ostiglia portavano a Roma. Dal Mincio e dai suoi laghi Bonifacio egli controllava il Po, sul quale - attesta Donizone - teneva una flotta armata per difendere i naviganti dai pirati.

Il padre di Matilde non voleva evidentemente “concorrenza impropria” nel controllo delle merci e degli approdi. Il marchese poteva sfidare anche l'imperatore, padrone com'era di centinaia di castelli, grandi e piccoli, di pietra e di legno; padrone della montagna e della pianura, del Po e dei suoi affluenti: era difficile dirigersi dal Nord verso Roma contro il consenso di Bonifacio; era, anzi, forse impossibile - commenta lo storico Fumagalli -: le vie d'acqua e di terra passavano comunque per i suoi domini.

L'eredità di Bonifacio e le compensazioni di Matilde.

Bonifacio, nato intorno al 985, s'affaccia alla storia documentaria molto giovane, assieme al padre a Carpi, il 30 settembre 1001, in un placito (cioè un tribunale) ove si giudicava a chi appartenesse un fondo detto Viniolo, posto tra il castrum di Carpi e la vicina corte di Migliarina, una antica proprietà del monastero di Santa Giulia di Brescia. Era presente la badessa di quel monastero, che rivendicava la terra contesa; era presente inoltre un messo dell'imperatore Ottone III (980-1002); ed erano pure presenti cinque giudici del sacro palazzo ed esponenti delle famiglie più in vista dell'Italia padana, venuti dal Modenese, dal Bolognese, da Parma, Bergamo e da Cremona.

Intorno al 1010 Bonifacio sposa Richilde, figlia del conte di Bergamo, in un matrimonio che veniva a rafforzare il rapporto con la grande feudalità dell'Italia nord-occidentale e portare ai Canossa consistenti vantaggi economici, specialmente nuove proprietà fondiarie alla sinistra del Po, come a Casteldidone. Si veniva così accentuando, nel contempo, un processo di acquisizioni e di cessioni già iniziato nel Cremonese da Tedaldo, padre di Bonifacio, e che andrà poi a toccare possedimenti in località fortificate e no, come a Bressanoro, Oscasale, Farfengo, Levata, Recorfano, Solarolo Rainerio, San Giovanni in Croce, Piadena e Casteldidone per l'appunto.

Va sottolineato che la prediletta Piadena, posta a guardia col suo castello di legno della nascente potenza di Cremona, sarebbe stata una delle future quattro grandi e stupende fortificazioni matildiche a presidio del territorio padano, con Nogara veronese, Canossa reggiana, Monteveglio allora modenese ed ora bolognese.

Va aggiunto, inoltre, ad onore della verità storica, che Bonifacio acquisì d'arbitrio il dominio su Piadena, usurpandola al monastero benedettino di San Lorenzo, sito nel sobborgo nord-est di Cremona, che era stato a propria volta dotato della corte con castello e della chiesa di san Michele di Piadena dal conte franco Olderico, vescovo di Cremona (973-1004), al momento della fondazione il 31 maggio 990.

Forse in chiave riparatrice, nel 1019 Bonifacio e Richilda donano all'episcopio cremonese, con atto segnato nella stessa Piadena, le decime della Pieve di san Maurizio (nei pressi di Pieve Gurata e di Cingia dè Botti) e di Pieve Trezagni, la pieve dei “Tre-Giovanni”, attualmente Pieve Terzagni, dove ancor oggi si può ammirare un magnifico ed enigmatico mosaico matildico.

Gli atti a favore delle Chiese locali costituivano come delle briciole, delle impercettibili restituzioni, in confronto delle gravi spogliazioni ecclesiastiche attuate da Bonifacio. Ne cogliamo traccia nel resoconto che Ubaldo, vescovo di Mantova, molto tempo dopo, fece a Matilde, nella richiesta di un risarcimento postumo.

La figlia di cotanto sbrigativo, invadente e violento padre fu infatti prodiga di concessioni al prelato e a molti altri enti ecclesiastici, al punto che lo stesso vescovo di Mantova mise per iscritto che “tutte le chiese sono nutrite del latte di Matilde”. Si ebbe così che il mal tolto nelle scorrerie di Bonifacio fosse in gran parte restituito.

Il padre di Matilde riappare poi nei documenti nel 1021, sul Catalogo degli abati di Nonantola, dove si riporta che a Coviolo, nei pressi di Reggio Emilia, avvenne uno scontro armato fra lo stesso Bonifacio e il fratello Corrado per definire la supremazia fra i Canossa. Bonifacio ne uscì vincitore; il fratello morirà di lì a poco a Reggio per le ferite subite in battaglia.

Intorno agli anni dopo il 1036 e prima del 1040, Bonifacio rimane vedovo di Richilda. Infatti l'ultima attestazione pervenutaci su di lei è del febbraio 1036, quando a Gonzaga vendette una terra e una casa che possedeva a Mantova. Il 5 ottobre 1040 compare per la prima volta, nella documentazione, come moglie di Bonifacio, Beatrice di Lorena, cugina di re e imperatori, nipote di papa Leone IX, impalmata sposa con un matrimonio da leggenda, suggello dell'unione di due grandi potentati dell'impero.

Finisce qui la prima puntata del racconto sui rapporti di Matilde di Canossa con la città di Cremona ed i suoi abitanti. Nella prossima indugeremo su Beatrice di Lorena, madre della stessa Grande Contessa.

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