Già, per quanto inquadrate, almeno, nella loro configurazione, come segmenti specifici, le “chiamate” alle urne del passato election day e della corposa agenda continentale, in realtà dimostrano dinamiche da vasi comunicanti.
Abbiamo cercato di tenere separato lo spettro tematico sotteso ad ogni mandato elettivo in rinnovo, allo scopo di preservare trasparenza ed intelligibilità dei comparti. Ma, evidentemente questa deve essere stata solo nostra sollecitudine. Perche nei due mesi che si stanno concludendo il grande circo Barnum della politica pervasa dal leaderismo e dal compulsivo ruolo social si è assistito al totale cedimento della ragione della separatezza. Con ciò stornando il raggio e la soglia di attenzione del corpo elettorale dai singoli campi istituzionali in rinnovo.
Ne è uscito un contesto in cui le facoltà percettive dei temi in campo sono risultate in larga parte ottenebrate da un magma in cui le “offerte dialettiche” sono state fagocitate dalle ragioni prevalenti della cattura indiscriminata del consenso.
Mentre, al contrario, sarebbe stato utile separare i campi, soprattutto per quanto si riferisce la specificità della giurisdizione amministrativa riferita al rinnovo delle Consiliature locali.
Noi abbiamo operato diversamente, nel convincimento dell'utilità di un rapporto corretto con il lettore-elettore.
Anche se a questo punto di avvia dell'ultimo tratto di election day globale (la chiamata alle urne per i rinnovi legislativi nazionali) sarebbe edificante orientare l'analisi delle tendenze emerse nelle urne in una visione generale, motivata da ricadute interdipendenti.
Avviamo qui, avvalendoci di importanti contributi per cui gli autori ci hanno generosamente autorizzato la replica sulla nostra testata, uno sforzo editoriale di messa a confronto delle interpretazioni del significato e delle conseguenze di questa stagione elettorale.
Valgono o non valgono più gli storici schemi di valutazione della realtà politica?
Mi sto chiedendo di continuo e sempre di più se gli elementi di giudizio di cui dispongo e che discendono da decenni di vita democratica, spesso spesa in posizioni utili a darmi squarci di visione complessiva, siano ancora attuali per valutare la mutata realtà nella quale io con tutti gli altri italiani ed europei stiamo vivendo. E non so darmi una risposta convincente prima di tutto per me stesso. Ed è questo il rischio: girare a vuoto, dire parole inapplicabili al contesto, insomma di essere una specie (mutatis mutandis) di Tiresia, il cieco autore di profezie vissuto nell'antica Grecia prima della nascita di Omero, che ne scrive nell'Odissea.
Veniamo a Giorgia Meloni che, nel congratularsi con Marine Le Pen, afferma che tra destra e sinistra lei preferisce sempre la destra. Il che conferma il manicheismo di cui ho già scritto, che impedisce di porsi la domanda corretta e necessaria: quale sinistra? Quale destra? Giacché la sinistra, che ha governato gran parte dello scorso secolo non è un magma coerente ma una serie di posizioni e correnti, tra le quali quelle laviche e fiammeggianti ne sono una sottospecie. La sinistra che Meloni condanna in modo inappellabile comprende per esempio i menscevichi ferocemente eliminati dai bolscevichi in quanto portatori di valori democratici. E la destra con cui Meloni solidarizza è quella che nel secolo scorso è stata fascismo, nazismo, franchismo, croci frecciate, e fuori dall'Europa regimi e movimenti liberticidi e nazionalisti, protagonisti di guerre e feroci repressioni.
Del resto, in Italia la radicalizzazione in corso, che all'inizio della stagione di governo Meloni aveva evitato, ha determinato l'insediarsi di un bipolarismo radicale, capeggiato da un lato dalla stessa Meloni e dal suo latente avversario-nemico Salvini, e dall'altro dalla marziana Elly Schlein, il cui alleato, il politicamente morente Giuseppe Conte da latente nemico della capa del Pd, s'è trasformato in suddito obbligato della stessa. Una condizione che ha spazzato e continuerà (sino a quando?) a spazzare via le posizioni intermedie che, a dispetto del bipolarismo di facciata Berlusconi - antiberlusconiani, sotto il quale i gruppi dirigenti tranquillamente fornicavano spartendosi il potere, e omettendo, per esempio, di abrogare il «porcellum» dell'anti-italiano Roberto Calderoli, o di adottare una norma efficace e sensata in materia di conflitto di interessi. Nonostante tutto, peraltro, le libertà civili e quelle economiche aveva compiuto significativi passi in avanti così significativi da farmi pensare che la torsione bacchettona e retriva del governo Meloni in materie sensibili come l'aborto o la condizione femminile potrà determinare, se non contenuta o cancellata, l'abbandono di questa combinazione di destra da parte dell'elettorato femminile.
I giornali e alcuni prestigiosi editorialisti si stanno esercitando in più o meno avventurosi collegamenti tra ciò che è accaduto in Francia e che sta accadendo negli Stati Uniti. Legato come sono ai fatti concreti non mi schiero su questa linea. Penso che la sinistra francese e anche il gaullismo -che tanta parte ha avuto nell'affermazione di un ruolo della Francia in Europa e nel mondo- abbiamo trascurato un particolare che oggi ha cessato di essere ‘particolare' per diventare un fenomeno macroscopico e, forse, irreversibile. Mi riferisco all'immigrazione arabo-islamica, ormai alla quarta generazione. Un tema che anni fa, una delle menti politiche italiane, Marco Minniti, definì questione di ordine pubblico costituzionale.
In Francia, Michel Houellebeq, scrittore neoesistenzialista e conservatore, ha spiegato la situazione molto meglio di tanti editorialisti, pubblicando «Sottomissione», il romanzo dell'elezione di un presidente islamico alla presidenza della repubblica francese. E le immediate pratiche conseguenze di questa elezione sulle libertà di cui i francesi godono da quasi tre secoli, salvo soprattutto il truce, immondo regime di Vichy di cui parte dell'attuale destra francese è diretto discendente. Un esercizio quasi banale essendo costituito dall'elenco dei principi (inaccettabili) della sharìa e del governo etico-islamico.
La questione nasce nei quartieri poveri, nei quali le candide figlie degli operai vengono insidiate e talora violentate dagli scuri figli degli immigrati. Ed è lì che nasce il voto a destra, vista l'incapacità degli altri (gaullisti e socialisti) di rendersi conto della gravità del problema sociale e di affrontarlo. Problema presente ma non ancora del tutto esploso in Italia e con cui presto dovremo fare i conti, che saranno pesantissimi.
E per finire un accenno solo un accenno a ciò che accade oltre Atlantico. Là l'antinomia destra-sinistra è stata per secoli priva di valore politico. I democratici del Sud erano più a destra di tanti repubblicani. E ora lo scontro è stato introdotto da Donald Trump sulla scorta - anche qui - dell'immigrazione, ma soprattutto per la contestazione da parte dell'America profonda e periferica dell'America delle città e del cambiamento sociale. Fattore non secondario sono state le migliaia di chiese, il cui successo in genere è figlio delle radicalizzazioni. Queste due americhe hanno espresso due leader per motivi diversi entrambi obsoleti e inadeguati. Sono convinto che la presidenza Biden sia stata una delle migliori dal 1945: sviluppo economico mai visto e posizioni di politica estera da leadership globale. Ma l'immagine che diffonde in patria e all'estero Joe Biden è quella di un vecchio suonato, incapace di governare, anche se di fatto ha governato. E dal canto suo Trump (32 le bugie certificate pronunciate nel dibattito della CNN non contestate da Biden) è l'uomo dell'assalto al Campidoglio del gennaio 2021. Ed è il sistema che non funziona più ed è la stessa Corte suprema, di nomina presidenziale cioè politica, che non va, visto che dichiara l'impunibilità semitotale di un presidente.
Prima o dopo ci sarà anche là un gruppo di dirigenti repubblicani e di dirigenti democratici capace di proporre e far adottare gli emendamenti occorrenti per evitare le derive autoritarie o di senilismo di cui il sistema sta dando prova. Credo che sia chiaro che questi cambiamenti del mondo non mi piacciono e sono sconfortanti per il futuro di coloro che, ignari e impreparati, vittime di propagande delittuose come l'antisemitismo, diventeranno presto la nuova classe dirigente.
Quale Costituente
Ho molto insistito nel mio intervento, e col documento da me presentato al convegno dell'Associazione socialista liberale, perché il processo costituente, che si avvierà il 13 luglio a Roma, sia aperto a tutte le forze politiche, sociali e sindacali dell'area riformista “senza personalismi e veti”. Non che sia semplice tornare al passato, né che siano esattamente sommabili i voti ottenuti dalle due liste di Stati uniti d'Europa e di Azione alle elezioni europee. Ma la separazione, rispetto alla quale Carlo Calenda ha avuto una responsabilità, non ha certo favorito per entrambe il superamento dello sbarramento elettorale. Con i partiti delle monarchie assolute sarà impossibile per una componente socialista abituata alle discussioni e al confronto congressuale (anche in epoca craxiana) convivere. Il compagno Crema, lo stesso Mario Raffaelli, uno dei massimi esponenti di Azione, lo hanno fatto presente alla luce della recente esperienza elettorale. Che la Costituente sia aperta a tutti e concordata con tutti e che il nuovo partito sia contendibile democraticamente, sono dunque premesse necessarie e non negoziabili. Poi c'é la politica che si porta seco il nome. Come si diceva al tempo del superamento del Pci “nomina sunt consequentia rerum”. E allora diciamo subito che dobbiamo costruire l'area del terzo polo. Un bipolarismo Meloni-Schlein non é utile non solo al Paese, ma nemmeno alla sinistra, perché contrapporre alla destra una sinistra radicale (vedremo cosa succederà in Francia al secondo turno e se davvero Melenchon farà votare i candidati macronisti) é solo funzionale alla destra. Saragat ebbe modo di rispondere così alla domanda se preferisse votare fascista o comunista: “Voterei comunista ma poi mi sparerei”. Non siamo più nella fase dei suicidi esistenzial-politici. E il fascismo e il comunismo non esistono più. Ma c'é una destra maggioritaria che in Italia non é mai esistita e una sinistra radicale che punta all'alleanza con Fratoianni e i Cinque stelle, che tentenna sull'appoggio alla resistenza ucraina e si oppone alla separazione delle carriere dei magistrati (leggete l'intervista a Dini sul Corriere a proposito del veto di Scalfaro a trattare l'argomento già nel 1995 e al voto di sfiducia al ministro Mancuso che voleva inviare gli ispettori al Tribunale di Milano). Un'area riformista politica, sociale, culturale esiste e va organizzata e interpretata. Non sappiamo ancora se si voterà con l'attuale legge elettorale o se passerà la riforma del premierato che si porta seco un'altra legge. Sappiamo che abbiamo tre anni di tempo per far decollare il progetto. E che nasca un partito che si chiami proprio così, e cioè Partito riformista, capace di mettere insieme l'identità socialista riformista e liberale, quella liberaldemocratica e quella cattolica popolare é quel che serve al paese. La possibile vittoria di Trump negli Usa e della Le Pen in Francia potrebbero stravolgere il quadro internazionale e fare avanzare una concezione illiberale della democrazia e un nazionalismo menefreghista delle istanze di libertà e di indipendenza dei popoli. Questa tendenza che trova molto spazio anche a sinistra, anche in Italia, é il vero obiettivo da battere. Il bipopulismo é un mostro che si nutre di anti semitismo, di verticismo, di negazione dei diritti civili, di supremazia dei poteri forti, finanziari, economici e giudiziari. Questo mostro non si batte facendolo proprio, come fa evidentemente Il Fatto quotidiano divenuto trumpista, come fanno il movimento Cinque stelle e Fratoianni, negando gli aiuti al popolo ucraino e mettendo in discussione, assieme all'indipendenza del popolo palestinese, l'esistenza stessa di Israele. Non si batte fotocopiandone taluni aspetti deteriori, come la subalternità al potere giudiziario, ma con un progetto di riformismo socialista e liberaldemocratico. Insisto su questo. Il socialismo per sopravvivere al fallimento di molte sue versioni ha bisogno di contaminarsi. Meno male che é esistita la versione riformista e liberale, le sole che sono tuttora vive senza portarsi dietro i disastri della storia. Un generico, sempre più striminzito Psi non é in grado di guardare al futuro. E costruirlo é necessario e urgente. Noi tentiamo. Noi ci battiamo per questo.
L'unione dei separati
È perfino naturale che la sconfitta delle due liste diciamo riformiste, quella di Stati uniti d'Europa, formata da Italia viva, Più Europa, Psi, e quella di Azione, con socialisti liberali e repubblicani, abbia messo in moto confronti e richieste di revisioni. Oggi da segnalare una lettera aperta di due dirigenti di Italia Viva e di Azione ai rispettivi partiti. Marattin e Costa, che già in passato avevano contestato la divisione di una lista che aveva conquistato quasi l'8% alle politiche e quasi 30 parlamentari, hanno messo nero su bianco. I due hanno scritto, dopo aver attribuito la responsabilità della sconfitta alla separazione: “Noi non ci rassegniamo a lasciare un pezzo di paese senza rappresentanza politica. Vogliamo contribuire a costruire, assieme a tutti coloro che hanno voglia di impegnarsi, un unico grande partito liberal-democratico e riformatore che non si arrenda a fare da vassallo ai populismi di questo bipolarismo.” Bene, su questa linea si é mosso anche il movimento socialista liberale che nel suo documento conclusivo ha parlato di “una Costituente senza personalismi e veti”. E a proposito di organizzazione del nuovo partito unificato sottolineano i due: “Leadership contendibile, classe dirigente qualificata, nessuna ambiguità sui contenuti, organizzazione territoriale efficiente e capillare sono gli elementi, ciascuno imprescindibile, di un progetto politico che voglia davvero definirsi tale. Tra i partiti pesanti del secolo scorso e i partiti personali di questi ultimi trent'anni, una terza opzione è possibile e ormai assolutamente necessaria se non si vuole far appassire la partecipazione politica o condannarla all'eterno scontro tra curve ultrà”. Verrebbe da dire: é proprio quello che ha chiesto il compagno Giovanni Crema con il suo intervento che si muoveva alla luce della sua esperienza nel territorio del Veneto. A lato un'intervista di Carlo Calenda non proprio omogenea rispetto all'esigenza di costruire un partito del terzo polo ed evidentemente condizionata dagli echi della situazione francese, che, come ammette lo stesso Calenda, é però molto condizionata dal sistema elettorale. Calenda propone a tutta l'opposizione di presentare un unico emendamento alla legge di bilancio per spostare le risorse stanziate per il cuneo fiscale sulla sanità. Proposta indubbiamente interessante. E c'é un articolo di Bettini sempre su Il Riformista che sostiene, anche se non lo scrive apertamente, la trasformazione del terzo polo in una sorta di Margherita a presidenza Rutelli. Che é poi la stessa posizione del segretario del Psi Maraio che sollecita la nascita di una corrente riformista del campo largo. Mi limito per ora a fare una carrellata delle opinioni e del confronto che si é aperto che testimoniano che l'argomento suscita un interesse generale. Torno alla lettera di Marattin e Costa perché, ovunque si voglia andare a sbattere, la separazione deve essere superata. Forse non dalle stesse persone che l'hanno provocata, ma da nuovi protagonisti. A volte un passo indietro, oggi si dice di lato, é necessario per farne uno avanti.
L'editoriale. Tra Macron e Starmer via Blair
Tra un turno e l'altro delle elezioni volute da Macron per chiedere ai francesi se vogliono proprio essere governati da Marine e da Bardella, il trionfo del Labour a Londra coi conservatori al minimo storico dei seggi e coi laburisti che sfiorano il loro massimo, quello conquistato da Blair nel 1997. In Francia al primo turno ha votato il 66% degli aventi diritto, nel Regno unito il 60. Si lamentano loro. Cosa dovremmo dire noi che non raggiungiamo il 50? I laburisti hanno presentato un Labour lontano anni miglia da quello radicale, ideologico e per taluni aspetti anche antisemita del condottiero Jeremy Corbyn, che aveva ottenuto una “entusiasmante” sconfitta, contestando in sostanza tutte le tesi blairiane. Starmer si é presentato come uomo concreto, che tende a mettere in fila i problemi e a risolverli, senza vaticinare un futuro impossibile. Si é limitato nella sua breve dichiarazione dopo l'incarico ricevuto da Re Carlo a richiamare l'attenzione sulla necessità di maggiori risorse per la sanità e per la transizione verde. Ha avuto parole di apprezzamento per il suo predecessore, l'asiatico Sunak. Il Regno unito é in crisi. Sarà la Brexit, mentre il Pil è sotto lo zero e la disoccupazione aumentata, ma l'economia non tira, i soldi in cassa non ci sono, né per la scuola né per la sanità, se qualche anno fa si distribuivano pasti caldi per duecentomila persone adesso i poveri e i nullatenenti sono arrivati alla cifra di tre milioni. Starmer non poteva perdere e si é aggiudicato ben 410 seggi su 650. Il sistema elettorale lo ha favorito, come quello a due turni può favorire Macron. La differenza sta tutta nella capacità della sinistra di guardare al centro, ai ceti moderati, diremmo noi alle partite Iva, alla piccola e media impresa, ai tecnici. E' questo grumo sociale che ha favorito l'emergere in Italia, e non solo, del fascismo, terrorizzato dal bolscevismo e da una rivoluzione violenta. E' ancora questo ceto, diciamo intermedio, che può favorire la tenuta di Macron come ha determinato la vittoria di Starmer. In Francia potrebbe tenere un blocco eterogeneo ma pur sempre guidato da Macron e da un centro solido a convincere i moderati, mentre in Gran Bretagna questi sono stati conquistati da un leader che promette di superare la crisi e di far stare un po meglio la popolazione e non certo il sol dell'Avvenire. Anche se il sistema elettorale ci ha messo del suo. I numeri confermano il partito di Starmer a un soffio dal suo record storico, quello dei 418 seggi della super maggioranza conquistata da Tony Blair nel 1997; ma in termini di suffragi si è fermato poco oltre il 33%, non molto meglio del 32 raccolto nel 2019 nell'ambito della disfatta subita sotto la leadership di sinistra radicale di Corbyn. Quel che conta, col turno secco uninominale, é la capacità di sopravanzare l'avversario e di saper parlare al suo elettorato cercando di convincerne una parte. E in 410 seggi i laburisti hanno sconfitto i conservatori. Ciò vuol dire, senza ombra di dubbio, che Starmer e il nuovo Labour hanno saputo non già erigere steccati ma dialogare e rassicurare. Lo stesso identico problema, sia pure con una legge elettorale diversa che ancora non si conosce, accadrà in Italia. Se la Schlein pensa di coinvolgere Conte e Fratoianni non avrà il campo largo e non avrà la vittoria. Ha detto bene Calenda: non si può governare coi putiniani. Non si può governare, aggiungo io, con chi si oppone alla riforma della giustizia e vuole uscire dalla Nato. Costruiamo un polo riformista unitario e autonomo e poi vedremo. L'Italia é il Paese in cui un governo non ha mai vinto le successive elezioni dal 1994. Solo l'incapacità della sinistra di costruire una formazione riformista omogenea sui contenuti potrebbe provocare un'eccezione.