Se non proprio ad horas, ma ad dies, il corpo elettorale (di secondo livello) officiato del rinnovo del vertice provinciale, si presenterà al seggio (per adempiere).
Non si può certamente dire che tale adempimento, comunque importante se non altro per il rimando al gesto simbolico ed al significato etico tipici della prassi liberaldemocratica, si svolgerà in un contesto tutt'altro che idilliaco. Per le premesse non ineccepibili in capo ad un inquadramento ordinamentale malfermo e di un propedeutico e fecondo confronto politico-istituzionale. Anzi, sotto tale profilo, si può (e si deve) dire che la precondizione di partenza è catalogabile sotto peggiori auspici.
Perché, andrebbe ulteriormente anteposto, non sono configurabili nelle fattispecie dell'impegno progettuale né tanto meno del confronto politico-istituzionale sia le scaramucce procedurali sia il lancio dei piatti sul proverbiale ballatoio. Che dall'agosto scorso hanno fornito alimento ad un inverecondo tormentone.
Insomma, proprio dovendo parafrasare qualcuno o qualcosa, coglieremmo l'assist dell'aforisma evergreen di Flaiano della “situazione grave, ma non seria”.
Per di più, pensando all'accanimento di questi giorni di Giove Pluvio, verrebbe, dal punto di vista della similitudine, un istintivo aggancio all'Acqua Granda. Per fornire, con l'ausilio dei supporti didascalici, un'idea del pasticcio, della palude in cui si è cacciata la Provincia.
È cominciato con un approccio insincero rispetto alla narrazione e ai reali proponimenti; che avrebbero dovuto orientare ad un condiviso epilogo, ispirato da responsabilità istituzionale. E, non come, risulterà sempre più evidente, dalla reiterazione di gesti di normale dialettica, leciti ma incongrui.
Quel che è più grave, si è dichiarato, coram populo e con esagerata dovizia di affidavit, la volontà di perseguire una “soluzione istituzionale”, avendo in realtà in mente, la cooptazione in uno dei due campi, simmetricamente privi di autosufficienza numerica, di un valore aggiunto tale da far pendere la bilancia dei futuri equilibri.
Per farci che? Per continuare ad essere alle prese con la difficoltà ormai congenita di rendere compatibile pranzo e cena, per un ente vandalizzato come la Provincia?
Ma anche uno spaccato di ordinaria insensibilità civica come questo potrebbe, al limite, essere metabolizzato dalle abitudini un po' così della politica e della vita istituzionale.
Quel che più sconcerta è, invece, il filotto di furbizie e di impreparazione messo a nudo da un ceto politico ormai privo di pudore, nei confronti di un'arrogante esibizione della propria incommensurabile inadeguatezza.
Per riassumere, si vota ad agosto (periodo notoriamente adatto all'affluenza!) dopo che gli atti propedeutici vengono certificati (tanto dai politici quanto dai garanti super partes).
In sede di omologa, il preposto organo burocratico (che avrebbe dovuto eccepire ai nastri di partenza) scopre, sim salabim, l'ineleggibilità dell'eletto.
Il quale avrebbe dovuto, quanto meno a verifica delle proprie conoscenze di base, essere consapevole ex cunabula di un motivo di ineleggibilità talmente scontato da far dubitare, in capo all'eletto, del possesso di un know how basico.
Invece, no; l'eletto lo scopre tre settimane dopo; quando il dirigente preposto alle verifiche procedurali si atteggia improvvisamente a notaio signor no. Se si fosse trattato di tardiva resipiscenza da una “pestata” pratico-dottrinaria, l'interessato, incidentalmente, nelle more non confermato nel ruolo (perché?), non c'avrebbe comunque fatto un figurone. Anche se non pochi sussurranti avrebbero correlato tale claudicante performance professionale ad una ritorsione. Ci si conceda una digressione: il non encomiabile impulso ritorsivo (aspettative di carriera frustrate?)per i memori avrebbe avuto un precedente qualche decennio fa. quando la tardiva constatazione di ineleggibilità impallinò un vicepresidente (socialista).
Archiviato l'autore del pasticciaccio procedurale, il suo successore (entrambi fanno rimpiangere la severità, talvolta di parte, dei pregressi controlli di legittimità sugli atti e sugli organi) incappa in testa-coda. Mostruosi direbbe Fantozzi, sia su temerari pronunciamenti dottrinari sia su “ineccepibili” pareri pro veritate, sollecitati alla buona a fonti non esattamente imparziali.
Perché riesumiamo passaggi non luminosi di un percorso istituzionale non esattamente commendevole (su cui troppo frettolosamente tutti hanno steso un velo pietoso non disinteressato)?
Perché siamo mossi dallo sconcerto appetto di una pagina poco lusinghiera della vita pubblica locale e perché appare doveroso, pur senza inclinare ad eccessi censori, segnalare una vistosa caduta di tensione civile. Che accomuna nell'inadeguatezza (e nello stile) personale politico elettivo e ceto burocratico.
Non a caso Antonio Grassi, noto ed apprezzato giornalista ed attuale Sindaco di Casale Vidolasco, ha bollato come “spettacolo indecoroso” il percorso lungo cui si è snodata la vicenda. Che, pur apparendo a questo punto inutile cercare i colpevoli e fare processi per quanto accaduto, condurrà al seggio del 23 e che (c'è da scommettere) non si esaurirà con le operazioni di voto.. La causa del disastro è endemica, essendo la sintomatologia di una malattia cronica della prassi politica e della cattiva gestione del mandato rappresentativo.
Se è pur vero che si tratta di un'elezione di secondo livello suscettibile di coinvolgere un perimetro ristretto di players, è altrettanto indiscutibile il fatto che la profondità delle problematiche coinvolte, riverberantesi sula realtà territoriale, avrebbe dovuto, al di là dell'elettorato attivo-passivo circoscritto, mobilitare un'analisi molto più vasta ed impegnativa ed una partecipazione di ben altra caratura.
Ma, come succedette cinque anni addietro in occasione della punzonatura della cosiddetta “area vasta” (all'approssimarsi della quale l'unico momento di dibattito comunitario fu quello organizzato presso la Società Filodrammatica Cremonese dalla nostra testata), tutto quanto auspicabile e più sopra anche qui auspicato è letteralmente mancato.
L'Eco del Popolo avrebbe voluto reiterare l'iniziativa di un approfondimento conformato su tali parametri. Ma la caciara incombente sul momento e sul tema ha consigliato di prenderne le distanze. Se non altro dal punto di vista dell'imbarazzante contiguità, temporale e dialettica, del seggio stabilito per il 23 c.m. nella struttura del porto-canale. Che compendia, we know our chicken, una curiosa coincidenza astrale fra una logistica non esattamente ponderata sotto il profilo del messaggio simbolico ed un auspicabile esortazione, diretta ai 1305 valorosi, a togliere dall'oblio un ineludibile imperativo che avrebbe dovuto, con la portualità interna, la navigazione, la logistica plurimodale, risollevare il territorio.
Questa ridondante e forse un po' criptica (per chi non sa né vuole sapere) circonlocuzione per ribadire che riapriamo il dossier territoriale, stando accuratamente separati dall'invereconda cagnara, dilatatasi oltre il bon ton civico e una intollerabile consapevolezza del dolo eventuale nelle ultime settimane. Che inevitabilmente confluirà nel collo di bottiglia del 23 novembre e ben oltre il responso dell'urna. Che di suo avrà come background un eletto frutto di una candidatura unica, per di più divisiva. Non che noi ne auspicassimo plurime. Sarebbe bastato che, in sede di definizione del roster, non si fossero scavallati due preliminari per noi inevitabili; per qualsiasi civic agreement e per un minimo di responsabilità verso gli “amministrati” (trattati come neanche paria in quanto esclusi dai più elementari doveri di informazione veritiera). Sarebbe bastato che la titolarità del dantesco “così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare" avesse minimamente voluto fare della elezione del “cireneo” (chiamato alla impossible mission di amministrare, in assenza di quadro ordinamentale certo, funzioni inoppugnabili ed adeguatamente finanziate, status dignitoso) una occasione per esperire, al di sopra delle peggiori pulsioni polarizzanti, innanzitutto, un'analisi fattuale della condizione del territorio. Nonché per rinsaldare la coesione civile di fronte ad una spirale che arrischia di accelerare l'approdo alla fase suprema della periferizzazione e del declino di una comunità territoriale, già snervata e vilipesa (per intenderci) dai mai sopiti ed evidentemente incoercibili impulsi campanilistici o, se piace di più, microterritoriali.
E qui, per richiamarci e per smentire Flaiano, affermiamo che la situazione dell'ente intermedio e del territorio non solo è grave, ma è terribilmente seria.
Dal punto di vista eminentemente istituzionale e gestionale, in questi cinque anni le presidenze Vezzini, Viola, Azzali hanno dato dimostrazione di consapevole testimonianza civile. Facendo di necessità virtù rispetto a tagli finanziari draconiani e ad esigenze costanti, anzi rese crescenti dal combinato indotto dalle conseguenze di sedimentate trascuratezze. Si deve a questi tre presidenti (in particolare a Viola impegnato in un cursus più lungo), non “gettonati” ma impegnati come e più dei loro predecessori eletti dal popolo e prebendati) se la situazione non è definitivamente collassata. Se, di fronte ad un contesto emergenziale, la gestione, corroborata anche dal senso di responsabilità di un Consiglio raramente partisan (salvo licenze occasionate da sensibilità territoriali), ha tenuto una barra salda ed ha consentito di contenere il danno potenziale arrecato dal genius Delrio ed in qualche misura tollerato da un centralismo Regionale, non più tenue di quello statale. Che, nel tempo, ha drenato risorse sia strategiche sia correnti potenzialmente suscettibili di frenare la marginalizzazione delle aree periferiche. In realtà, colpevolmente lasciate fuori dall'innovazione/sviluppo come da una ordinaria politica equitativa nell'erogazione dei servizi (ospedali, assistenza alla terza età, servizi di secondo livello come AST ed ex PMIP).
Non casualmente in un recente editoriale il direttore de La provincia si è chiesto “Che senso ha farsi la Guerra a pochi chilometri di distanza, ci si chiede, quando il nemico è altrove, spesso lontano migliaia e migliaia di miglia? Non sarebbe meglio unire le forze e sommare le eccellenze, anziché percorre strade diverse in nome di malintesi principi di autonomia e di indipendenza?”.
Da ultimo, per quanto ci riserviamo di intervenire ulteriormente in materia dopo il responso delle urne (rispetto alle quali ci permettiamo di esorcizzare il pericolo di una clamorosa diserzione del seggio, che, pur essendo per alcuni versi motivata dalle premesse, assumerebbe i connotati del gesto tafazziano ed incancrenirebbe una situazione già pesantemente compromessa), ci è difficile prescindere nelle nostre conclusioni da un'ulteriore citazione.
Vittore Soldo, “Federale” (si sarebbe detto un tempo) di un partito, il cui timbro comportamentale neanche tanto velatamente riverbera un profilo della politica interventista, debordante (ed anche per questo foriero di guai) forse consapevole di tardivi presagi in sede di resa dei conti della campagna presidenziale, ha messo le mani avanti: “Ormai è diventato uno sport nazionale dire che le Province non contano più nulla e che la riforma Delrio è una sciagura.”
Non so se si dice anche a Soncino, dove il personaggio risiede, ma nel nostro amato borgo rivierasco dell'Adda, si direbbe che uno che dice cose così dopo averne fatte di difficilmente equivocabili, mostra una faccia che è peggio del…
Ma poiché il nostro interlocutore a distanza ci è simpatico e per altri versi è apprezzabile, ci limiteremo a chiedergli: se non a Delrio a chi, di grazia, deve essere intestata la genialata di una “riforma”, priva di motivazioni e lasciata colpevolmente sospesa?
Dopo il rito elettivo, bisognerà rimettersi alle stanghe, in uno scenario che si incaricherà di aggiungere, dio-non-voglia, alle criticità strutturali le tossine ed i rottami di una gestione politico-istituzionale a dir poco sconsiderata.
Nessuno o pochi hanno voluto orientarsi verso l'unica seria ipotesi di lavoro fecondo (ricitando Flaiano: “Poiché si tratta di una buona idea, nessuno la prende in considerazione”) che era la ricerca di un percorso condiviso. Bongré malgré bisognerà tornare su quei passi.
Se facendo il verso al titolo, evocante un aforisma gaullista, sceglieremo di definirci una provincia povera perché trascurata ovvero una povera Provincia (e.v.).
Con la presente edizione L'Eco del Popolo apre un'analisi ed un confronto sulla questione dell'ente territoriale. Abbiamo sollecitato il contributo di Giuseppe Azzoni e di Virginio Venturelli.
Il primo, oltre che stimato esponente politico della sinistra, può attingere ad una ricca esperienza di amministratore locale negli anni scorsi sia come consigliere provinciale che comunale e regionale oltre che come coordinatore della Lega Autonomie Locali (oggi confluita nell'ANCI).
Venturelli, che può vantare un curriculum istituzionale di grande prestigio, avendo ricoperto per molti anni l'incarico di Sindaco del Comune di Madignano e responsabilità nelle istituzioni di secondo livello in ambiti comprensoriali e provinciali, continua, nel ruolo di coordinatore della Comunità Socialista Cremasca, un'apprezzata testimonianza politica.
un auspicabile positivo riscontro dalle elezioni del Presidente della Provincia.
È vicina la scadenza della nuova votazione alla quale sono chiamati i consiglieri comunali per eleggere il Presidente della Amministrazione provinciale. Le vicende tormentate sia degli enti Provincia in generale sia della controversia locale nella interpretazione di normative elettorali fa respirare un'aria pesante. Spero non prevalga nei chiamati al voto quello stato d'animo addirittura “comatoso” paventato negli scritti del sindaco Antonio Grassi e di Virginio Venturelli che ho letto in questi giorni sul quotidiano locale.
Direi che i problemi sono su due livelli.
Uno è quello istituzionale nazionale che vede le Province in uno stato di precarietà e di quasi delegittimazione per gli intempestivi, incauti e discutibili strappi legislativi concomitanti con il tentativo non riuscito nel 2016 di riforma costituzionale. Strappi e squilibri relativi alla rappresentatività democratica ed alle risorse e struttura dell'Ente Provincia a fronte dei rilevanti compiti che – essendo esso previsto dalla Costituzione - deve adempiere. Sarebbe davvero ora che questi strappi venissero riparati.
L'altro livello attiene alle responsabilità “nostrane” di partiti e rappresentanti comunali: a fronte del fatto che questo ente esiste e mantiene compiti di rilievo esso va sostenuto in pieno. Quindi non va indebolito con paventati comportamenti di sfiducia, di sottovalutazione, di paralizzanti diatribe nell'attuale frangente. Ognuno si batta per le proprie convinzioni e scelte ma non si incrini già in questa fase la credibilità e la rappresentatività di chi sarà chiamato alla responsabilità di gestirla!
La situazione di crisi e di cambiamenti che stiamo attraversando comporta ed intensifica, tra le altre cose, legittimo confronto e “concorrenza” fra territori. Cremona li affronta con alcuni oggettivi “svantaggi” nella demografia, nella struttura economica, nelle infrastrutture... A ciò si aggiunge un tessuto istituzionale caratterizzato da un grande numero di Comuni non sempre in sintonia tra loro, a partire da storiche distonie tra quelli maggiori. Insomma un complesso di cose generali e locali ci fa correre il rischio di essere “vaso di coccio” nella Regione Lombardia e nella Padania. Quindi oggetto di eventi centrifughi che possono portare a deprivarci di determinate funzioni, risorse, potenzialità a favore di altri territori maggiormente favoriti ma anche più determinati e coesi.
Per svariate cause ci sono processi in questo senso che già hanno colpito la nostra provincia nel secolo scorso, con spopolamento, fragilità industriale, arretratezze infrastrutturali, peggiorando la nostra situazione rispetto al resto della Lombardia e della Padania. Per il nostro territorio più che per altri la Provincia non va sottovalutata in quanto strumento e soggetto prezioso di rappresentanza e forza unitaria del territorio. Prezioso come voce unitaria nel tessuto istituzionale coi caratteri che ho richiamato. Prezioso perché mantiene competenze relative allo sviluppo economico ed occupazionale, a trasporti e comunicazioni, al coordinamento degli enti locali, alle infrastrutture, all'ambiente, alla cultura ecc. Tutte cose per le quali c'è bisogno di coesione e credibilità attorno ad essa.
Non possiamo permetterci il lusso di apparire demotivati, scarsamente partecipi e quasi manzoniani “polli di Renzo”. Spero che sia ben presente questa consapevolezza e che le elezioni per il Presidente della Provincia ne diano un positivo riscontro.
Giuseppe Azzoni
Provincia: cambiare si può.
Antonio Grassi, sindaco di Casale cremasco, sul richiamo al voto degli amministratori comunali, per la elezione del presidente dell'amministrazione provinciale è stato come al solito efficace nel denunciare “ lo stato comatoso nel quale versa la politica locale.”
Altri interventi, sul tema, nelle settimane scorse, hanno scoperto un po' tardivamente le distorsioni della riforma del Delrio (anno 2014 ), strategicamente fallimentare in ogni senso, dopo la bocciatura referendaria riguardante anche l'eliminazione delle province.
Da tutte le parti adesso si invoca la necessità di uscire dalla precarietà creatasi, tuttavia con scarsa credibilità, perché in nessuno dei recenti governi, l'argomento è mai stato posto all'ordine del giorno.
Nessuna forza politica a livello nazionale, come a quello provinciale, in questi anni, ha avanzato proposte e modifiche della legge vigente, nemmeno l'ipotesi di una semplice leggina, per annullare il taglio della elezione diretta del presidente della Provincia, da parte dei cittadini.
A questo ultimo proposito, il risultato, nella nostra provincia, è sotto gli occhi di tutti.
La Comunità socialista cremasca da tempo si è espressa a favore dell'idea di anticipare un provvedimento specifico nel quadro di una rivisitazione più generale delle autonomie locali (comuni, province e regioni ).
Lo abbiamo ribadito anche in occasione del turno elettorale del 25 agosto scorso, invalidato poi dalla ineleggibilità del candidato vincente.
Oggi, a fronte di un quadro politico che vede il centro sinistra ricandidare Mirko Signoroni, ed il centro destra astenersi dal voto, più che schierarsi meccanicamente a sostegno dell'uno o dell'altro schieramento, pensiamo decisamente più utile invitare i sindaci ed i consiglieri comunali, non organici agli schieramenti costituitisi, ad una riflessione che vada oltre il ritorno alle urne del prossimo 23 novembre.
Affinché non si ripetano più situazioni, come quella in corso, su altre questioni, riteniamo essenziale aumentare il livello di coordinamento, tra le liste realmente civiche, ora senza alcun ruolo nella interlocuzione con i partiti ed i comuni principali della Provincia, fautori delle forzature in atto.
In questo senso, solleciteremo innanzitutto gli amministratori di area socialista, mettendoci a loro disposizione per lo sviluppo di confronti sociali, economici ed infrastrutturali del territorio, che riscattino le piccole comunità e la loro significativa rappresentanza nella nostra realtà provinciale.
Insisteremo perché si costruisca una ambito di discussione partecipato e fecondo di proposte che innalzino la qualità del dibattito politico – amministrativo, della nostro territorio, come il sindaco Grassi, auspica continuamente, ma altrettanto spesso, isolatamente.
Virginio Venturelli