“Alla canna del gas!”…abbiamo da tempo fatto convergere il senso del factcheeking, della vicenda pandemica e, in generale, della prestazione del ceto politico-istituzionale lombardo (anche se quello centrale non sia apparso stellare!). E non da oggi!
Il rimpasto del governo lombardo non prende le mosse da quello che dovrebbe essere l'epicentro del rinsavimento rappresentato dalle consapevolezze della gravità della situazione e dal proponimento di farvi fronte. Bensì da un calcolo di rimodulazione delle conseguenze di una prestazione scadente sul profilo dell'immagine di un establishment e di un ciclo politico autodefinitisi (per troppo tempo e a dispetto della contraria evidenza) di “eccellenza”. Un'operazione colpevolmente dilazionata, questa, e, di conseguenza, ancor più censurabile per le sottese motivazioni abbiette. Oltretutto, anche se i suoi gestori ne appaiono inconsapevoli, rappresenta plasticamente un'ammissione di colpa della cattiva gestione e un'autocertificazione di inadeguatezza organica.
Con una certa consapevolezza del carico delle problematiche in corso con la pandemia e del percorso più opportuno per almeno tentare una risalita (e salvare la faccia) il tavolo del centro-destra ha considerato di rimescolare le carte di un asset, incardinato, più di quanto appare, da logiche spartitorie, e di attingere dai depositi di accreditate figure tecniche.
Di cui la Lombardia non dovrebbe essere priva; al netto della constatazione che quel bacino è stato, nell'ultimo quarto di secolo, emunto per estrarre un vasto management, chiamato a gestire, secondo la stretta consegna dei potentati politici, tutta la filiera del modello spedalocentrico finalizzato alla spoliazione della sanità pubblica a tutto vantaggio della sanità capitalistica. Un rapporto sinergico, questo, tra potere politico e potere economico che funziona nella logica delle sliding doors. Se si pensa che, dimostrando poco senso della vergogna, l'ex governatore (Maroni), artefice della Legge Regionale 25 dell'aziendalizzazione ospedaliera, è assurto, a mandato regionale concluso, ai vertici della galassia della sanità privata.
Un quarto di secolo fa la “rivoluzione culturale”, impressa dal “celeste” governatore, partiva dal proponimento di sottrarre la sanità dalla gestione partitica. Nei primi tempi un po' in sordina, nelle stagioni successive smodatamente, il governo della sanità, un tempo assicurato dal coinvolgimento delle istituzioni territoriali e dal controllo trasparente, è transitato ad un regime di totale controllo centralistico dell'apparato. Conseguito con la sistematica occupazione di tutte le posizioni di vertice della struttura regionale e periferica dell'apparato regionale.
Come dimostra l'organigramma che alleghiamo e che è stato tratto dalla stampa d'informazione, ogni posizione di responsabilità di vertice delle ATS e delle ASST è il risultato di una particolareggiata ed ossessiva pratica spartitoria, orientata da un rapporto più che di fiducia, di fidelizzazione (extraprofessionale).
Dopo una smaccata, offensiva campagna, durata un anno, di dezinformatsiya e di depistaggio delle responsabilità, la sala regia della destra lombarda deve aver stimato che ciò non bastasse ed ha attivato un'operazione bivalente di maquillage di un'immagine manifestamente compromessa e di redistribuzione del potere partitocratico (anche in vista delle prossime scadenze elettorali). In proposito diciamo subito che la Moratti è figura specchiata che ha ben operato ovunque (con qualche falla in Rai ed al Ministero dell'Istruzione). Di più, essendo ricca di suo, garantirebbe circa la saldezza dalle tentazioni correnti. Viene percepita come un Re Mida, capace di trasformare in oro il cumulo di macerie sedimentato dalle giunte forziste/leghiste. Stupisce la sua decisione di partire per il fronte di una testimonianza disperata, sulla cui correzione è azzardato formulare auspici di risultati fecondi.
Perché, ripetiamo, le criticità sono di natura strutturale e non appiano, almeno nella logica scaturente da un “confronto” tutto ispirato da aspettative di rigenerazione e dalle logiche di Cencelli, facilmente sormontabili.
Ci saremmo attesi che il nostro campo di riferimento (il centro-sinistra) si alzasse in piedi ed avviasse, accantonando i salamelecchi del senso di responsabilità della gravità del momento, una campagna decisa. Un sussulto di testimonianza civile, politica e istituzionale. Di fronte alla disintegrazione dei presidi operativi ed istituzionali. Di fronte alla constatazione del fatto che il “rimpasto” si rifa alle stesse logiche disperate del bunker di Berlino, l'opposizione di centro-sinistra (ammesso che gli interessati si ritengano ancora tali) deve rifuggire dai tentacoli del piccolo cabotaggio.
Semplicemente affermando (anche solo come annuncio di forte valore simbolico) che è giunto il momento di una scelta cruciale: l'amministrazione della Lombardia va commissariata.
Forse è implicito nel wording enunciativo delle prime battute del gruppo consiliare del PD (tra cui il rappresentante cremonese Piloni).
Renderlo più esplicito non guasterebbe all'intensità della campagna di denuncia ed alla percettibilità del messaggio.
D'altro lato, la sinistra riformista, se ritiene giunto (per il bene dei lombardi, al capolinea il ciclo di governo della destra e se vuole candidarsi all'alternativa a questo sciagurato quarto di secolo (succeduto al breve ciclo di Fiorella Ghilardotti), non deve indugiare. Deve mobilitare il campo, allargando alle tante testimonianze civiche. Rappresentate dagli operatori della Sanità, dai Sindacati (ci sono ancora?), dal Tribunale del Malato (arridateci la compagna Anna Rossi!), dall'associazionismo diffuso, dai Comuni (in primis, quelli piccoli).
Quanto alla sorte degli artifici del disastro della sanità lombarda, altro che “ruoli compensativi”discendenti da inopinati rimpasti!
“Armi al popolo”, esorta il leader lombardo dei Verdi. In proposito, occorrerebbe andar cauti nell'evocare il ricorso (sia pure a gittata ironica) a siffatti strumenti di censura dell'operato. Ma, indubbiamente, lo stratagemma congeniato per uscire dall'angolo dell'inefficienza e dell'impopolarità del servizio reso assomiglia molto ad una furbata. I protagonisti lombardi della gestione del Coronavirus e, risalendo per li rami, del modello sanitario andrebbero sottoposti ad un severo vaglio e ad una severa sanzione. Del ricorso alle armi neanche a parlare, ma l'uso di scarponi chiodati sulle basse terga non appare inopportuno.
Perdurando la latitanza (ne fa fede il particolare della partecipazione al "pacco" del nuovo ospedale), la sinistra si ritenga candidata allo stesso gesto sanzionatorio e lato sensu alla condanna della storia. Che sarà severa (a cominciare dalla conferma elettorale della destra) e che non farà distinzione fra responsabilità dirette della destra e connivenze e/o diserzioni della sinistra.