Da almeno un anno, vale a dire dall’epoca in cui si cominciò ad abbozzare qualche idea per una degna e feconda celebrazione del 70° anniversario della Liberazione, ci siamo, in un contesto di non pochi mal auguranti presagi, affidati oltre che, ben s’intende all’impulso militante, anche, lo ammettiamo, a qualche, si sa mai, benefica influenza astrale.
I precedenti più lontani nel tempo, ma comunque compresi nel ciclo della seconda repubblica, non promettevano bene: celebrazioni elitarie, riservate a pochi “nostalgici” e ai ristretti cenacoli istituzionali, partecipanti più per dovere d’ufficio che per intimo afflato. Cosi che il 25 aprile finiva per diventare una delle feste nazionali, celebrate in termini formalistici e la libertà, riconquistata dal sacrifico e dalla testimonianza dei Matteotti, Pertini, Buozzi, fratelli Cervi e tanti altri, meritevole di menzione sulle lapidi, di qualche stanca cerimonia o poco più.
Tali scenari di sfinimento del popolo della Resistenza incorporavano, passin passino, una progressione da legge fisica: i vuoti presto o tardi vengono riempiti.
Ecco che, mentre la piazza nera osava celebrare il suo 26 aprile con gesti, che, oltre ad essere vistosamente illegali, diventavano vieppiù sfrontati, la testimonianza della Resistenza ripiegava. snaturare
Ripiegava per esaurimento, per pigrizia, per smarrimento. Ed accettava, vuoi per una mal interpretato senso di “tolleranza” vuoi per la consapevolezza dell’ impari capacità di contrastarne la deriva, il progressivo snaturamento della ricorrenza.
Il corteo, che sempre rappresentò l’orgogliosa rivendicazione verso la città della testimonianza e della fedeltà ai valori della celebrazione, veniva progressivamente stravolto dalla compresenza di frange, sempre più consistenti e sempre più violente, vogliose di trasmettere un messaggio, in evidente contrasto con la proclamazione di autentico antifascismo, di intolleranza e di violenza.
Intolleranza e violenza manifestate soprattutto nella piazza. In principio, si cominciò ad insolentire e disturbare gli oratori ufficiali (quasi sempre testimoni e protagonisti della Liberazione, rappresentanti dell’associazionismo partigiano, giovani studenti e vertici istituzionali di provata appartenenza all’arco resistenziale).
Si passò, con l’insediamento di giunte di centro-destra (formalmente non imputabili di tiepidezza verso le celebrazioni), a negare di fatto agli oratori istituzionali il diritto di tribuna.
Su tali inquietanti preesistenze, diciamo pure assecondate dall’affievolimento dei presídi democratici e da uno sconcertante approccio di contenimento da parte degli organi statali preposti, si è andata sovrapponendo, in un crescendo ormai incontrollabile, una fase estrema di radicalizzazione e di violenza. Che, con i fatti del 18 e, soprattutto, del 24 gennaio, ha posto la comunità di fronte ad un serio problema di tenuta delle basi della convivenza e della legalità.
Se accetti un duello interminabile ed incontrollabile tra una destra neo-nazista ed un antagonismo nichilista sedicente antifascista, che intossica la città e mette a repentaglio sicurezza personale e beni della città; se accetti che sedi di proprietà comunale date in comodato si trasformino in basi operative per azioni di guerra, quali sono state quelle del pomeriggio di sabato 24 gennaio; se accetti che quell’antagonismo ammanti di antifascismo la sua mission di violenza e di annientamento; se accetti tutto questo, implicitamente accetti la regressione delle finalità e delle modalità di testimonianza dei valori, dei principi ispiratori della nuova Italia sortita dalla Resistenza, dalla Liberazione, dalla Repubblica.
Con questi precedenti, lontani e più vicini, che gonfiavano l’animo di sconcerto e di preoccupazione, come si poteva pensare di celebrare un degno e costruttivo 70° anniversario della Liberazione?
Diciamo subito che tali sentimenti hanno cominciato a dissolversi già di primo mattino del 25; quando, a seguire al rito religioso, nel tempio della Resistenza del Civico Cimitero, è sembrata rimaterializzarsi la voglia di testimonianza e di attualizzazione dei valori che furono di quei patrioti immolatisi per liberare la patria, per conquistare la libertà e la democrazia, per consegnare il futuro alla pace ed alla libertà.
Ideali e sacrifici così ben interpretati nella bellissima, apprezzata opera, la Pietà Laica, realizzata e donata dal Prof. Mario Coppetti.
Opera che da oggi arricchirà il significato simbolico del luogo di celebrazione della Resistenza a Cremona.
Che il verso degli eventi fosse ben diverso dalle predenti, mortificanti ricorrenze sarebbe stato evidente, oltre che alla cerimonia al Cimitero, anche alla partenza del corteo e, soprattutto, nella piazza maggiore, dove è tradizione si pronuncino gli interventi ufficiali.
Non disponiamo di un conta-partecipanti scientificamente accreditato, che ci induca ad esporci in stime azzardate.
Ma di una cosa siamo certi: corteo e piazza sono stati veramente di proporzioni significative e paragonabili solo ai precedenti degli anni cinquanta e sessanta.
Ma, se passiamo dal dato quantitativo al profilo qualificativo, non possiamo che sbilanciarci: tanti giovani, tante donne, tante organizzazioni, tante bandiere. Tanta gente, insomma, ben consapevole della ragione di essere lì, orgogliosa dell’essere lì insieme, nella diversità delle opinioni sulla quotidianità, ma nella memoria di quel cambio di passo dalla guerra alla pace, dalla dittatura alla libertà e democrazia, dall’epoca buia dell’ingiustizia e del sopruso ad un futuro da costruire.
Questo è stato il 25 aprile del 70°. Indulgendo alla retorica, scusabile per una ricorrenza per noi ancora tanto significativa, un settantesimo da incorniciare.
Per i messaggi di coesione, di determinazione per tornare a fare dell’antifascismo il segnavia permanente della vita democratica.
Per i messaggi di sicurezza e di convincimento che, se il modello di libertà e di democrazia conquistato dalla Resistenza viene presidiato tutti i giorni, non ci sono margini per i sovvertitori.
Per loro, c’è posto, come è avvenuto sabato 25, per gracchianti titoli di coda. Gracchianti e controproducenti per questi testimoni di mera violenza. Che vanno sempre più isolati e destinati all’irrilevanza, nella percezione della gente e nella potenzialità di nuocere.
Questa operazione di bonifica deve andare di pari passo con l’impegno, in vero mai lesinato, a dissolvere fin in fondo le residue ombre sulla Resistenza. Rifuggendo da assurdi negazionismi di rari episodi di esercizio arbitrario di rivalse da parte di chi, vittima di violenze, torture, emarginazione, cercò giustizia con gesti in cui la giustizia sconfinò nel terreno della vendetta e dell’arbitrio. Assurdi negazionismi anche rispetto ad un diffuso uso strumentale della Resistenza e della Liberazione come precondizione per il passaggio da un orribile dittatura ad una transitoria democrazia, anticamera di chissà quali democrazie “popolari”.
È quanto, d’altro lato, si è posto il programma celebrativo del 70°. Che ha riportato la testimonianza antifascista, nelle scuole, nel mondo del lavoro, nei circoli, nelle piccole realtà territoriali.
Come hanno suggerito gli apprezzati interventi del Sindaco Galimberti, del rappresentante della Provincia Andrea Virgilio e della presidente dell’ANPI Laudadio, è imperativo non smobilitare. Ma investire sistematicamente su una lettura della memoria resistenziale carica di futuro e su una divulgazione work in progress. Che ponga al centro il rapporto con le nuove generazioni così ben rappresentate in piazza dai tanti giovani desiderosi di sapere.
Di ciò costituisce spunto, tra le tante, tracce simboliche della celebrazione del 25 aprile, la bellissima iniziativa di ostensione, durante tutto il corteo ed al termine nel cortile di Palazzo Comunale, delle immagini dei martiri dell’insurrezione.
Il cui significato è da conservare al di là della ricorrenza.
Tra gli allegati pubblichiamo una selezione digitalizzata dei numeri de L’Eco del Popolo degli anni 195, 1946, 1964 e 1965 dedicati alla ricorrenza della Liberazione.
Che ha rappresentato, per tutto il ciclo della direzione di Emilio Zanoni della testata socialista, un prevalente e costante tema. Non solo perché congeniale al suo vissuto ed alla sua precedente militanza. Ma perché costituiva un filone identitario ed una direttrice di militanza e di testimonianza civile.
Emilio Zanoni, come dimostrano i manoscritti recuperati e trascritti da Giuseppe Azzoni, da poco confluiti nella significativa pubblicazione “Bandiere sul Torrazzo”, sviluppò per tutta la sua esistenza un impegno indirizzato alla salvaguardia delle testimonianze ed alla loro divulgazione.
Nel 1965, in occasione del 20° anniversario della Liberazione, per la cui degna celebrazione i socialisti, appena investiti di responsabilità gestionali nella vita istituzionale locale, impegneranno i consessi per un significativo programma rievocativo, Zanoni, che aveva affidato la ricostruzione degli avvenimenti a memorie destinate ad essere pubblicate molti anni dopo, raccolse le testimonianze dei suoi più vicini compagni delle Brigate Matteotti.
Del che pubblichiamo l’edizione digitalizzata e, per una comoda lettura, il testo trascritto.