Egregio direttore, ho scelto da tempo di integrare l'informazione della carta stampata con alcune fonti di informazione e approfondimento (quale la sua) presenti in rete. Casualmente mi sono imbattuto in un servizio di fanpage.it (reperibile al link - ndr) che tratta la questione di Cremona passata di recente agli onori (si fa per dire) della cronaca per il triste primato di città più inquinata d'Italia e seconda in Europa da uno studio dell'Agenzia Europea dell'Ambiente pubblicato il 17 giugno scorso. Condivido le ragioni (sacrosante) degli abitanti del quartiere Cavatigozzi che pretendono di fare chiarezza una volta per tutte sulla qualità dell'aria (ma non solo) che respirano. Non ci vedo nulla di strano. Viviamo in una particolare zona della pianura padana che per morfologia, posizionamento geografico e insediamenti produttivi si presta ad accumulare piuttosto che a smaltire qualsiasi tipo di inquinanti, soprattutto quelli atmosferici. Detto ciò, da persona umile quale sono e che bada sempre al sodo, mi sorge un dubbio sulle finalità del servizio in questione: partendo dal titolo (“Cremona avvelenata: perché è la seconda città più inquinata d'Europa”) e finendo coi contenuti, è stato chiarito perché Cremona risulta essere la città più inquinata d'Italia? È tutta colpa di Arvedi? Ovviamente no, ma allora dove voleva parare il giornalista?
Lei che cosa ne pensa?
Giuseppe Davini giusda50@gmail.com
Proficuo incontro tra Comune di Cremona, Comitato di quartiere 3 e Acciaieria Arvedi S.p.A.
Illustrato anche il progetto del nuovo parco rottami
Cremona 30 luglio 2021 - Si è tenuto oggi pomeriggio l'incontro, promosso da tempo, tra il Comitato del quartiere di Cavatigozzi, il Comune di Cremona con il Sindaco Gianluca Galimberti, l'assessore alle politiche della Partecipazione Rodolfo Bona, l'assessore all'Ambiente Simona Pasquali e la dirigente del Settore Sviluppo Lavoro, Area Vasta Rigenerazione Urbana, Quartieri e Ambiente Mara Pesaro e con i rappresentanti della Acciaieria Arvedi S.p.A., Gerardo Paloschi e Alessandra Barocci. Questi ultimi hanno illustrato gli interventi previsti nel progetto del nuovo parco rottami, con la completa insonorizzazione del capannone, che sarà costruito in loco con la barriera antirumore e ampie fasce alberate che andranno ad aggiungersi al potenziamento del bosco naturale esistente. Il Comune si è riservato di valutare il progetto sotto tutti gli aspetti una volta che sarà definitivamente presentato agli Enti per l'autorizzazione.
Il progetto del parco rottami si inserisce nell'evoluzione dell'azienda che si pone l'obiettivo del quasi totale annullamento della produzione di CO2, in netto anticipo rispetto alle richieste e alle indicazioni europee.
Ai rappresentanti del Comitato di quartiere sono stati anche consegnati i documenti che erano contenuti nella risposta ad una interrogazione scritta di un Consigliere comunale. In particolare due documenti di ATS e di ARPA sull'analisi delle polveri del quartiere e un documento di ATS relativo al cronoprogramma dello studio epidemiologico che è in atto in questi mesi.
L'incontro è stato anche l'occasione per analizzare altre problematiche, già più volte affrontate e sulle quali molto lavoro è in atto:
- Interventi sul quartiere in fase di realizzazione (ad esempio rotonda e palestra).
- Progetto di superamento del passaggio a livello.
- Completamento delle ciclabili con il progetto casa lavoro.
- Prospettive sul potenziamento della ferrovia con riduzione del numero di camion sulle strade.
- Ulteriori interventi di mitigazione acustica e di controllo ambientale.
- interventi su via Acquaviva.
- Ulteriori aree di potenziali piantumazioni.
I temi elencati e quelli relativi ai documenti citati saranno affrontati ancora nei prossimi "Osservatori attività metallurgiche", il primo dei quali è in fase di convocazione per settembre.
L'Amministrazione inoltre intende costruire altri momenti di partecipazione con realtà dei cittadini del quartiere per affrontare insieme questione, opportunità, problematiche, investimenti che caratterizzano il Quartiere 3.
La colonna infame
Considerando che la lettera del nostro lettore ed il comunicato pervenutoci dall'Ufficio Stampa del Comune di Cremona sono accomunati dal medesimo contenuto, prendiamo, come si suol dire, due piccioni con una fava. Non per neghittosità; ma per ottimizzare, in costanza di incroci e correlazioni, un approfondimento ed una riflessione che, una volta tanto, convergono (anche se le valutazioni dovrebbero essere finali!) su un approdo potenzialmente fecondo.
Degno, comunque di essere sottolineato positivamente; perché dimostra, innanzitutto, il buon funzionamento della filiera delineata dalla partecipazione sociale alle problematiche cittadine (rappresentata dall'eccellente testimonianza del Quartiere) e dalla prestazione istituzionale (del Comune che si fa carico della segnalazione, convoca le parti, avanza non già una mediazione ma un sensato punto di incontro di valenza progettuale).
Se fosse consentita una licenza poetica (di valutazione personale), dovrebbe essere sempre così!
Onore ai rappresentanti della comunità (Civica Amministrazione e Quartiere) ed anche all'Azienda chiamata in causa e non sottrattasi al confronto (invece, di contare sull'esito di paginone pubblicitarie sui maggiori organi di stampa, di avvalersi di una posizione dominante nel contesto informativo locale e di confidare stabilmente negli “ammortizzatori” assicurati da figure embedded) ed alle responsabilità.
I prossimi passi diranno dell'aderenza tra volontà e risultati concreti di questa positiva pagina di testimonianza civile.
Saremmo, però, omissivi, se non prestassimo la dovuta attenzione al contenuto della riflessione e degli interrogativi del lettore.
Già il video in questione ci è giunto e l'abbiamo doverosamente e meticolosamente esaminato.
Di Cremona, del suo contesto ambientale, della sua sostenibilità nel rapporto attività economica/tutela della salute e vivibilità esce un quadro terrificante, più che allarmante.
La Capitale del Po, come la città italiana più avvelenata (e seconda d'Europa).
Del che, come non ha mancato di osservare il deputato cremonese Luciano Pizzetti, vengono omessi riscontri scientifici, se non un generico e criptico richiamo “ad uno studio dell'Agenzia Europea dell'Ambiente”. Sia pure di passaggio segnaliamo che per questa quasi scontata osservazione il parlamentare, che in questo lungo periodo ha assicurato un'efficace rappresentanza degli interessi del territorio nei superiori livelli istituzionali ed un non marginale ruolo di indirizzo nella vita politica locale, si è beccato, più che una reprimenda, un'odiosa delegittimazione. Motivata (segnale questo di imbarbarimento della dialettica politica) dall'aver accettato nel carnet delle sottoscrizioni elettorale un contributo del gruppo Arvedi. Se ci è permessa la digressione su una materia che riteniamo molto delicata, oseremmo un endorsement inequivocabilmente favorevole alla pratica del sostegno concreto dei cittadini e dei corpi intermedi sociali all'elezione di rappresentanti locali nei consessi parlamentari e regionali. Ambito nel quale più qualificata e vasta è la rappresentanza cremonese più garantiti sono gli interessi del territorio, storicamente trascurati e vilipesi. Chiusa questa parentesi (che abbiamo aperto in solitudine, mentre avrebbe dovuto essere scontato un più vasto pronunciamento), veniamo al video.
A pelle ci sembra di essere incappati in una delle non infrequenti performances di terrorismo ambientalista. Abilmente pilotata, a partire dalla consapevolezza di un'opinione pubblica infragilita dai dilaganti social, e manipolabile dal ricorso, come punto d'accreditamento, alla chiamata dei cittadini direttamente interessati. Sul punto, anticipiamo senza esitazione, condividiamo appieno l'endorsement di Davini (“Condivido le ragioni degli abitanti del quartiere Cavatigozzi che pretendono di fare chiarezza una volta per tutte sulla qualità dell'aria, ma non solo, che respirano”). D'altro lato, segnaliamo di già aver dato ampio spazio al contributo del Vicepresidente del Quartiere Cavatigozzi e di aver ospitato, quantunque molto distante dalle nostre vedute, la riflessione di Paola Tacchini (“Ci avete rotto i polmoni”)
Non potendo postare, per ragioni di copyright, l'intero video, ne riassumiamo i tratti salienti.
L'incipit è la plastica scansione di “primati” poco virtuosi. Da cui discenderebbe un'alta morbilità/mortalità da patologie respiratorie ed oncologiche.
Sul punto, diciamo subito, che tale evidenza di livelli epidemiologici discostati dalla media è una “novità” che risale ai primi studi di quasi mezzo secolo fa. A cura del PMPIP (progenitore dell'ARPA) e del Servizio di Medicina del Lavoro (presidi anticipatori della Riforma Sanitaria, quasi completamente svuotati dalle successive gestioni regionali).
La consapevolezza dello sguarnimento delle tutele ambientali e sanitarie deve rappresentare, a prescindere dall'inaccettabile profilo dogmatico del video, un monito permanente ed un motivo di mobilitazione generale, consapevole e motivato.
Caratteristiche che non si ritrovano nella quotidianità dei comportamenti pubblici e nelle letture ad usum delphini delle manipolazioni disfattiste.
Ora, come è noto, gli ingredienti della dialettica e della testimonianza politico/istituzionale sono ormai stabilmente offerti da lacrime, sangue e, se ci si passa la licenza, merda.
Abbondanti schizzi della quale sono destinati a ricadere su un “denuncia”, suscettibile di non incidere in nulla sul terreno di una virtuosa consapevolizzazione delle problematiche effettivamente esistenti, se non nel portato di una divulgazione sfascista destinata ad allarmare e a rendere molto problematico il conseguimento di obiettivi gradualisti.
Se è permesso, tra gli ingredienti di questa poco virtuosa e costruttiva denuncia balza la cinica strumentalizzazione degli interessi a più diretto contatto, con l'epicentro della fonte di questo sconquasso ambientale. Da notare, infatti, che se la “striscia” degli imputati mette indifferenziatamente (tanto per allargare la massa critica da esporre al pubblico ludibrio) sul tavolo degli imputati cani e porci (il nastro autostradale, il termovalorizzatore, il Consorzio Agrario, l'Oleificio ecc...) la denuncia va a parare manifestamente al senior partner di questo squasso ambientale (l'acciaieria).
Diciamo tosto che, dovendo scegliere la nostra allocation, non avremmo esitazione tra il lago di Braies e Cavatigozzi.
Non solo per il diverso grado di amenità, ma, soprattutto, per il portato della vicinanza ad un opificio strutturalmente fonte di ricadute, a prescindere da qualsiasi precauzione, destinate a pesare nella qualità del rapporto di prossimità.
Dice un intervistato: “Pensando di fare la cosa giusta per la mia famiglia, dieci anni fa mi sono trasferito qui (alla Cava)”. Una scelta anticipata da un'altra intervistata: “Trent'anni fa mi sono comperato la casa a Cavatigozzi, immaginando una vita diversa; dove c'è tanto verde, ma a poca distanza c'è l'acciaieria”.
Quasi da innocenza pura queste constatazioni da disillusione.
Pur consapevoli del rischio di fraintendimento e, comunque, nella convinta riaffermazione della piena condivisione dei disagi sopravvenuti, vorremmo sviluppare un approfondimento che, per la franchezza e la fattualità dell'analisi, ci porrà nella scomoda posizione del funambulo.
Per preservare la praticabilità del ragionamento fino in fondo e qualche remota possibilità di fecondo confronto, ci vediamo costretti a mettere sul tavolo dati inaggirabili.
Indubbiamente negli ultimi trent'anni l'aggregato urbano di Cremona (che ha perso popolazione) si è sviluppato a macchia d'olio. Anziché puntare alla compatibilità di destinazioni urbanistiche diversificate (come avrebbe potuto essere un indirizzo di recupero del centro storico a funzioni residenziali non di pregio) il governo comunale (di sinistra) ha preferito smentire nei fatti i propri slanci urbanistici. Sviluppando, appunto, la funzione abitativa, prevalentemente in periferia, a ridosso di comprensori ravvicinati alla città e, tendenzialmente, suscettibili di incremento della dotazione dei servizi primari e secondari (e dotati, come auspicato da un'intervistata, di molto verde).
In sé, un indirizzo questo, non particolarmente disdicevole, se fossero state considerate le compatibilità della prossimità. Vale a dire delle destinazioni urbanistiche preesistenti. Che, anche se andate a regime gradualmente, da tempo immemorabile erano incardinate lungo una prevalente strategia di sviluppo trasportistico, logistico e produttivo. Come storica aspirazione di incremento produttivo ed in continuità con l'area “industriale” delineata tra gli anni 50 e 60 nel contesto dell'incrocio tra la Statale Codognese e la Castelleonese.
Ricorda qualcosa che in questo comprensorio urbano ci sono il porto-canale, il terminale del raccordo ferroviario ed una sterminata area a destinazione industriale (confermata per oltre mezzo secolo da tutti i PRG)?
Pur se si comprende l'impulso edificante a rendere compatibile la funzione manifatturiera e quella abitativa (in un rapporto di prossimità reciprocamente garantito e conciliabile), è stimabile che tale indirizzo sia stato coerentemente e realisticamente perseguito dalle giunte succedutesi negli ultimi trent'anni?
Che, appunto, hanno favorito coi mutamenti di destinazione d'uso, con la (scambistica) promozione delle agevolazioni socio edilizie, con la periferizzazione dei servizi un difficile equilibrio di funzioni territoriali.
E ciò che per decenni era restato al palo e percepito come una chimera (il centro interscambio merci, l'intermodalità trasportistica, le attività produttive correlate) si è messo (non inaspettatamente, visto che la politica vi si è molto spesa e sul progetto si sono investite risorse) in movimento. Li si sono decentrate attività preesistenti a Cremona (Consorzio Agrario, Oleificio Zucchi, Keropetrol, le attività del gruppo Arvedi).
Attirate dall'idea di razionalizzare gli opifici e di avvalersi di un polo caratterizzato dalla centralità del collegamento viario ed, in particolare, dalla prospettiva della via d'acqua.
Est modus in rebus, si suol dire. Si sarebbe potuto procedere su tale linea; avendo però cura di attivare gli ammortizzatori per rendere appunto compatibili gli effetti dello sbilanciamento dei preesistenti equilibri.
E, dopo aver, appunto, accelerato lo sviluppo abitativo a ridosso della demarcazione del distretto terziario-produttivo si è accelerato con il passaggio dal sogno (industriale) alla realtà.
Un passaggio che razionalizza gli insediamenti, che stimola l'ulteriore intrapresa economica di diversificazione e di salto tecnologico, che (per quanto potrà interessare poco alle massaie che agognavano vivere a contatto del silenzio e del verde) dà risposta ad una importante domanda di lavoro qualificato e stabile.
Certamente …primum vivere! Ma, una volta che fai girare un video in cui additi la causa del primato malarico nella striscia della colonna infame degli inquinatori (e sputtani un territorio che fa decisamente fatica a declinare la sostenibilità del rapporto popolazione residente-occupazione) che fai? Chiudi le fabbriche? O ti rivolgi ai residenti in qualche misura a più diretto contatto (comunque la si veda e la si possa e debba accertare nella sua effettività) con il portato di questa compresenza, come fa quel parroco tirato per la tonaca a causa dell'inquinamento sonoro dei rintocchi campanari (se uno non vuole essere infastidito da quel suono può anche andare ad abitare lontano da una chiesa).
Con buona pace degli ambientalisti radicali (cui probabilmente della ricerca di un equilibrio virtuoso e fecondo per tutti non frega proprio niente, al netto della demagogia). E con buona pace degli abitanti che, tardivamente consapevolizzati dei limiti dell'agognato salto di qualità della residenza periferica e bucolica, dovranno realisticamente raccordare sogni e realismo.
Se è consentita una conclusione, ispirata da ottimismo, la linea guida uscita dal confronto in sede istituzionale andrà assolutamente praticata. A beneficio di tutti. (e.v.)