Anche il nostro incipit, come ha fatto il nostro fratello maggiore,l'avantionline (in quel momento ancora diretto da Mauro Del Bue), inizia dall'autodefinizione “socialista”. Che Emanuele Maccaluso (acronimo giornalistico EM.MA) si era cucito addosso con molta aderenza sostanziale al suo profilo e, diciamolo, con una certa concessione beffarda.
Cui ha pienamente diritto, se si pensa alla sua qualifica di “migliorista” condivisa con quei dirigenti di alto livello del PCI il cui profilo era stato imperniato dalla testimonianza dell'indimenticato leader Giorgio Amendola. Che per molti anni della parabola del comunismo italiano professò, in contrasto col massimalismo, il metodo gradualista ed uno stretto rapporto con le componenti riformiste della sinistra, a cominciare dal PSI.
Il “centralismo democratico” tenne dentro tutto o almeno molto del confronto interno. Che, a dispetto di quella sorta di segretezza quasi cospirativa, fu molto intenso. Il “migliorismo”, anche se non esattamente appartenente all'inner circle della nomenklatura, in realtà costituì il perno teorico-pratico di uno spendibile profilo riformista in capo al più importante partito comunista d'Occidente.
Nella gerarchia dei gradimenti del vastissimo popolo comunista la qualifica di “migliorista” non fu esattamente né un complimento né un accreditamento.
Figurarsi se poi quell'aggettivo qualificativo veniva raddoppiato con “socialista”.
Insieme a Napolitano e ad alcuni leader emiliani e milanesi, Macaluso non solo entrò, nei tempi non sospetti del ciclo berlingueriano, nel cono di reciproca complicità con gli ambienti socialisti.
Ma nel momento cruciale della dissoluzione del PCI, che coincise anche quasi temporalmente con il fine corsa del PSI, il “migliorista” Maccaluso fornì l'assist giusto che avrebbe consentito di convertire proficuamente una difficile transizione.
Emma si spese molto con il Progetto della Costituente socialista a metà della prima decade del 2000, che avrebbe dovuto rappresentare l'alternativa alla demo cristianizzazione di quel che restava del PCI, malinconicamente, sia pure con una baldanza di facciata, approdato al PD.
Già, avrebbe potuto…
Molto congiurò contro la concretizzazione di quelle consapevolezze. Lo scenario presente di macerie di questa che definire sinistra sembra un azzardo rende ancor più severo il giudizio su quella mancata opportunità.
Ecco, perché l'autodefinizione di “socialista” (che deduciamo da un suo scritto) assume un valore fortemente didascalico per il valore permanente della sua testimonianza
L'accusa a me rivolta è essere stato filosocialista. Ed è vero. Infatti, per me l'unità della sinistra è stata una bussola che ho sempre seguito. Sono stato in rapporti amichevoli con Pietro Nenni. L'altro segretario del Psi, Francesco De Martino, quando l'università di Napoli festeggiò i suoi 70 anni, per ricordare un maestro del diritto romano, fui io invitato a parlare sul suo impegno politico, accanto a quello di studioso. Sono stato amico affettuoso di Giacomo Mancini e parlai io ai suoi funerali.
Sono stato amico di Giuseppe Saragat con cui feci spesso lunghe passeggiate in Valle d'Aosta quando mi raccontava le vicende che lo spinsero a firmare l'ultimo patto di unità d'azione con i comunisti negli anni del fascismo. Sono molto amico di Rino Formica. Non ho mai incontrato e parlato con Bettino Craxi (come ricordò lui stesso in un'intervista rilasciata per un libretto a Paola Sacchi). E non perché ero direttore de l'Unità quando c'era Berlinguer segretario e polemizzavo con lui. In verità, non ci fu mai occasione per parlarci e, a ben pensarci oggi, mi dispiace.
Per più opportunamente delineare il ricco profilo dell'illustre ed apprezzato scomparso L'Eco del Popolo si avvale della testimonianza “visto da vicino” di Giuseppe Azzoni. Che, come si ricorderà facilmente, è stato per lunghi anni ai vertici del gruppo dirigente del PCI Provinciale. Ha conservato buona memoria, ricche fonti documentali, voglia di aderenza storica, apprezzabilissima disponibilità a testimoniare a beneficio della memoria storica.
Gliene siamo molto grati. In considerazione dello sforzo di approfondimento e del supporto iconografico (inserito nella nostra Galleria), rappresentato dalla due immagini che pubblichiamo. E che ci inducono a rivelare di essere stati in quella circostanza testimoni oculari, come invitati socialisti, di quella importante assise.
Le tracce del passaggio di Macaluso a Cremona
di Giuseppe Azzoni
Ringrazio l'Eco del popolo che mi chiede e mi dà modo di scrivere un ricordo di Emanuele Macaluso. Un ricordo sentito, commosso e grato per un compagno che ha dato molto al movimento operaio ed all'Italia. La sua forte biografia è oggi su tutti i giornali. Con gli inizi di giovanissimo antifascista da dirigente dei braccianti siciliani nella CGIL di Giuseppe Di Vittorio e da militante nel PCI di Girolamo Li Causi ancor prima della Liberazione. Sono anni di attacchi ed assassini mafiosi contro i sindacalisti, gli anni di Portella della Ginestra e Macaluso a metà degli anni '50 è segretario regionale della CGIL siciliana. Poi lo sarà per il partito comunista entrando, negli ultimi anni della segreteria Togliatti, negli organi dirigenti nazionali: ricoprirà da allora e poi con Longo, Berlinguer, Natta, importanti diverse responsabilità organizzative e politiche e sarà parlamentare per diverse legislature.
E' noto che nella dialettica interna del PCI Macaluso è un riformista, con Amendola, con Chiaromonte, con Napolitano ed altri. Con franchezza esprimerà in certi momenti nel dibattito orientamenti diversi da quelli della maggioranza ed anche dissenso... come sulla invasione della Ungheria, su certi momenti del rapporto col PSI, su indirizzi e scelte in alcune lotte sociali... Lo farà sempre con assoluta lealtà e rigoroso rispetto delle regole del partito (magari avanzando proposte per modificarne alcune). Dunque lo ricordo come personalità di grande spessore umano, culturale e politico, di grande coraggio ed acume, apertura nel confronto, intelligente ironia anche. Personalmente qualche volta non ero d'accordo con certi suoi interventi che leggevo sui resoconti del Comitato centrale o in articoli su Rinascita o l'Unità: ma ci riflettevo e sempre comunque vi si apprezzava il forte spirito costruttivo per il nostro partito.
Anche in questi ultimi anni, leggendo sue belle interviste, mi colpiva la sua coerenza nei giudizi positivi sulla storia del PCI di Togliatti, anche quando magari li aggiornava criticamente.
Con il PCI cremonese ebbe un buon rapporto e qui venne in alcune occasioni. Nella primavera del 1965, per esempio, tenne un comizio per le elezioni amministrative a Cremona. Importante la sua venuta nel febbraio 1973 per la conferenza agraria provinciale (con una relazione di Evelino Abeni). Macaluso, allora con responsabilità nel settore, illustrò la politica agraria del PCI su versanti che ci toccavano direttamente: dalla zootecnia all'impoverimento di risorse umane conseguente all'esodo, dalla arretratezza dei servizi nei paesi rurali al tema degli affitti agrari al rapporto costi prezzi per i prodotti alimentari. Il nostro Mario Bardelli collaborò strettamente con lui (così come con Chiaromonte e con Pio La Torre) quando in Parlamento seguiva questa problematica.
Un'altra venuta di Macaluso a Cremona fu per la festa dell'Unità alle Colonie Padane nel 1978, con un ben partecipato comizio.
Il mio ricordo è particolarmente vivo e positivo, anche se sono passati molti anni, per quando, nel febbraio del 1983. venne a seguire e concludere il congresso della nostra Federazione, di cui ero allora segretario. Era un momento politicamente non facile ed egli ci diede un bel contributo a concludere bene quel congresso.
In quella occasione lo intervistò per “La Provincia” Francesco Tartara. E' una intervista corposa e densa pubblicata il 6 febbraio. Ad una domanda sulla discussione (particolarmente forte in alcune nostre Sezioni) sull' “esaurimento della spinta propulsiva” dell'URSS Macaluso rispose con rispetto per le diverse posizioni in merito ma argomentando su come la stessa realtà dell'URSS (era il tempo di Andropov) stesse dando ragione alle analisi ed ai giudizi dei comunisti italiani.
Sulla organizzazione e sul rinnovamento del partito affermava
...non credo alle palingenesi, credo sempre agli sviluppi, al rinnovamento nella continuità come diceva giustamente Togliatti...
E sui rapporti tra comunisti e socialisti, allora in piena burrasca
Mi pare che la cosiddetta politica della governabilità non ci abbia dato la governabilità, c'è paralisi, c'è conflittualità, non c'è una soluzione dei problemi (…) Attraverso il dibattito che anche qui si sta svolgendo, noi vogliamo portare avanti una linea che sia al tempo stesso di critica anche severa nei confronti del Partito Socialista ma lasciando aperta la prospettiva di una unità della sinistra come asse portante di una alternativa di governo...”