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Ci meritiamo tutto ciò?

La celebrazione del XXV aprile, su iniziativa del Comune di Bonemerse e dalla locale associazione culturale Il Peverone, nel ricordo di Giovanni Nino Azzoni

  25/04/2021

Di Redazione

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Con questa cronaca del 76° anniversario della Liberazione, che focalizza la giornata perno, riteniamo tutt'altro che chiuso il ciclo celebrativo. Sia perché l'argomento per la nostra testata costituisce una sorta di working progress sia in considerazione di altre due circostanze. La prima è rappresentata dal fatto che domani ricorrerà il terzo anniversario della scomparsa di Mario Coppetti; figura che per noi costituisce elemento centrale della testimonianza dei valori della Resistenza cremonese. La seconda si riferisce al combinato tra il 76° anniversario ed il 100rio del delitto politico di Ferruccio Ghinaglia e di Attilio Boldori. Potremmo definire protomartiri del contrasto all'insorgente movimento liberticida che avrebbe, per oltre vent'anni, soppresso le prerogative democratiche, condotto alle leggi razziali e ad un ingiustificato conflitto, distrutto materialmente e moralmente l'Italia. 

Torneremo, in aggiunta a quanto da almeno due mesi abbiamo approfondito, sulla materia nella seconda metà del corrente anno, quando si approssimerà la data dell'uccisione di Attilio Boldori. 

I due delitti dimostrarono e dimostrano l'assurdità della tesi secondo cui il ricorso alla violenza fu praticato dal movimento fascista come risposta al clima insurrezionale introdotto dai “rossi”. 

La decimazione sistematica degli antifascisti esposti nella testimonianza democratica, semmai attesta che, due anni prima della Marcia su Roma, il braccio di ferro tra il “rassismo” della violenza fine a sé stessa e l'impulso alla istituzionalizzazione era, in barba a supposti tentativi di “pacificazione” tra sinistre e fascisti, in atto e sarebbe stato vinto dai settori violenti. 

Venendo alla cronaca della giornata, accenneremo al fatto che le celebrazioni non hanno non potuto risentire delle limitazioni relazionali imposte dall'eccezionalità del momento. 

Donde è scaturita una profonda modifica del format celebrativo; che forzatamente ha dovuto rinunciare alle testimonianze popolari. 

Niente cortei, niente orazioni ufficiali. Ma anche niente indotti sgradevoli di materializzazione, nel corpo della stessa manifestazione, di obiettivi divaricati in capo alla rievocazione. 

Non se ne sente francamente la mancanza; soprattutto se si considera il delicato momento di smarrimento. 

Che, al contrario, dovrebbe indurre alla coesione. 

Ciò premesso, non possiamo non esprimere una moderata, realistica valutazione di soddisfazione nei confronti della giornata. 

I grandi eventi sono stati compensati da cerimonie ristrette ma di grande ricaduta simbolica. 

Ci dovremo abituare a questa riformulazione compensativa. 

D'altro lato, le questioni della modalità celebrativa e della ottimizzazione dell'indotto divulgativo restano aperte. 

Se è giustificata la permanenza di un impulso festoso, si dovrà sempre più (come d'altronde da anni stanno facendo gli associazionismi resistenziali) puntare sia sull'azione di contrasto alle diffuse violazioni al divieto di apologia, veicolo delle pulsioni negazioniste, sia, soprattutto, sull'impegno di approfondimento e di divulgazione (con passo da montagna) presso gli utenti preferenziali. Che sono le nuove generazioni, a partire all'età scolastica. 

In tale campo, nonostante si ripete il contesto eccezionale, non è venuta a mancare la tensione educativa. Occorrerà tenere su di giri il motore del formidabile progetto dei “viaggi della memoria”. Per quando sarà possibile. “Educare le nuove generazioni”: resta il core business della testimonianza dei valori della Liberazione. 

Carlo Verdelli scrive oggi sul Corsera: abbiamo perso l'allenamento al ricordo, indebolendo conoscenza e coscienza.  

La caduta della generalizzata tensione ideale favorisce il terreno di coltura per l'infiltrazione in questi contesti democratici depotenziati; con il risultato di favorire l'ibridazione tra l'antico negazionismo neofascista e le nuove pulsioni. Veicolate dai sovranismi planetari, che si fanno spazio con l'appello all'autoritarismo, alla limitazione delle libertà, al razzismo. 

Tale è il perno della riflessione per questo 76° anniversario. Che, immancabilmente, arrischia di essere depotenziato, per iniziativa della controparte e per effetto di latenti neghittosità, dalla solita questione della “pacificazione”.

Il richiamo ad un'auspicabile concordia comunitaria, alla cosiddetta pacificazione, non può tuttavia prescindere dal rifiuto dell'equazione tra le parti da avviare a sintesi. I valori e i principi oggetto dell'eredità dei Liberatori e capisaldi della Costituzione sono incompatibili non solo con quelli degli antagonisti della parte soccombente ma anche con quelli dei loro eredi che, con il motto “non rinnegare, non restaurare” si sono attestati (e li rimangono dopo quasi 80 anni) su una terra quanto meno di nessuno. Senza, pur fruendo delle prerogative assicurate dalla democrazia repubblicana, ancorarsi esplicitamente e definitivamente. 

Chi scrive stamane ha partecipato alla celebrazione intervenendo (anche come cronista) alla bella iniziativa allestita dal Comune di Bonemerse e dalla locale associazione culturale Il Peverone. Che, nel contesto di un significativo programma celebrativo, ha ricordato la figura di Giovanni Nino Azzoni. Una figura poliedrica, di testimonianza civile, in cui si sono riassunte la condizione di combattente, di internato militare, di reduce. 

Nei prossimi giorni avremo modo, grazie alla collaborazione della professoressa Liliana Ruggeri, di fornire un quadro dettagliato dell'onoranza. 

Ora e qui ci interessa segnalare che in un piccolo centro del territorio cremonese (che fornì un contributo rilevante alla Liberazione) le persone che potevano e volevano hanno potuto svolgere una testimonianza di consapevolezza e di divulgazione di grande valenza. I due Sindaci (Luca Ferrarini di Bonemerse e Attilio Paolo Zabert di Pieve d'Olmi) hanno sapientemente accompagnato la riscoperta della figura del cittadino Nino Azzoni nella più ampia contestualizzazione del senso di orgoglio e di apprezzamento permanente delle conquiste della Liberazione. 

Al termine del suo intervento, il Sindaco Zabert si è chiesto “Ci meritiamo tutto ciò?” 

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