Insomma la prospettiva di un'ulteriore puntata di The Duellists il film del 1977, per la regia di Ridley Scott, vista in diretta (come le erano state le precedenti della “scazzottata” allo Stadio e della “marcia antifascista” che devastò e tenne in scacco Cremona) c'era tutta.
Tra Casa Pound, una delle versioni del neofascismo estremo, ed i Centri Sociali, il corno (sedicente sinistrorso) opposto, non corre (volendo ricorrere ad un eufemismo) buon sangue. Questo si sa.
La loro incompatibilità è su tutto. Ma l'irriducibilità non è solo dialettica. Si può azzardare, anzi, che il perno della loro testimonianza è rappresentato dalla volontà non già di surclassare le ragioni dell'avversario, come avverrebbe normalmente in qualsiasi contesto civile, bensì di spianare (di asfaltare, come avrebbe detto un Renzi dei tempi migliori) il nemico.
A cominciare dalla negazione del diritto di tribuna. Negazione riservata in primis a Casa Pound; ma che vale erga omnes per ogni espressione dialettica che non sia in sintonia con i dogmi antagonisti. Esercitati sistematicamente sia contro i veri razzisti sia contro coloro, che, pur ripugnando qualsiasi razzismo, non accettano derivazioni assiomatiche in materia di migrazioni incontrollate e senza limiti.
Siamo in piena campagna elettorale. Casa Pound (nei cui confronti non sarebbe illogico l'accertamento del titolo di agibilità politica coerente con le prerogative costituzionali) partecipa alla competizione. Allo scopo, si presume, di vedersi riconosciute quote di mandato parlamentare. Ha chiesto (ed ottenuto, previa verifica dei requisiti) l'autorizzazione a svolgere un comizio. Per quanto sull'ineludibilità/opportunità di un siffatto adempimento sia per giorni aleggiato più di un parere contrario (cui hanno partecipato soggetti non esattamente deputati, come il circolo ARCI di un Comune limitrofo), non v'è dubbio alcuno attorno fatto che il parterre degli aventi causa nella procedura autorizzativa non comprendesse il Centro Sociale Dordoni.
Dunque la “licenza” per l'evento contemplava l'intervento del massimo esponente del soggetto richiedente (per la cronaca, Simone Di Stefano) con svolgimento al chiuso. Condizione questa che nessuno player politico, dotato di un minimo di dignità, accetterebbe.
Vogliamo pensare che l'organizzazione neofascista l'abbia invece accolta come moneta di scambio per ottenere un permesso non esattamente scontato, per evitare l'esposizione ai rischi insiti nel pannel del 24 gennaio di tre anni fa o anche per ripararsi dal rigore invernale.
Andrebbe, a questo punto considerato, da un lato, che anche il più dogmatico Stato etico dovrebbe porsi remore ad esercitare censure preventive al diritto di tribuna a testimoniare teorie, ancorché aberranti, espresse in un rapporto di rispetto del quadro ordinamentale (perentorio nelle declinazioni, ma vago negli strumenti interpretativi e soprattutto sanzionatori).
Insomma, non basta scandalizzarsi che qualcuno abbia l'ardire di fare il verso a dottrine severamente condannate dalla storia. Occorre anche delineare concretamente i percorsi pratici coerenti con la premessa di impedire l'apologia e, soprattutto, gli effetti della medesima.
Dall'altro lato, volendo dare un senso all'incipit bisognerebbe sempre chiedersi come, alla distanza, possa reagire una opinione pubblica ormai assuefatta al crescendo wagneriano di una intolleranza e di una violenza che non promettono niente di buono. Più che ai suoi diretti protagonisti (del cui destino non sarebbe inopportuno fregarsene) alla propria sicurezza e serenità e soprattutto alla capacità di tenuta delle garanzie liberali e democratiche.
Si sarà ben capito non solo che questo aggregato, teorico e (soprattutto) pratico, capace, soprattutto avvalendosi del brand (abusivo, dicono gli eredi) del poeta, saggista e traduttore statunitense (dal passato imbarazzante ma non inequivocabilmente schierabile con crani rasati, croci celtiche e mito della forza e della razza) di intrigare fasce significative di consenso giovanile. ammaliato da suggestioni. Che un tempo erano suscitate da narrazioni classiste e che oggi sono sparite dal radar anche della sinistra più massimalista. L'irriducibile avversione al combinato di siffatte teorie politiche e, soprattutto, della loro testimonianza pratica richiederebbe un'analisi ed una riflessione molto particolareggiate ed ampie. Cosa incompatibile per la cronaca degli eventi pomeridiani che prospettiamo qui.
Non rinunciando, però, a sottolineare la nostra collocazione a 180 gradi rispetto alle finalità di questa e di tutte le altre (spesso concorrenti tra di loro) testimonianze di segno inoppugnabilmente fascistoide.
Certo che ci piacerebbe la prospettiva rappresentata dalla dissolvenza sui cardini e sui decumani del creato di tutti i rimandi, revisionati o potenziati che siano, di aberranti teorie, ispirate da impulsi di giustizialismo sociale ma in realtà paranti a concreti approdi autoritari e totalitari. Ciò, purtroppo, non è avvenuto negli ultimi settantadue anni che ci separano da quel cambio di passo che avrebbe dovuto irreversibilmente archiviarle. Al punto tale che la Carta Costituzionale e ben due leggi ad hoc ne sancirono l'irreversibilità e severe sanzioni a carico di chi se ne facesse restauratore.
Nessuna delle oltre duecentomila (200.000!) leggi che regolamentano l'ordinamento italiano (più simile ad un groviera) è stata più violata di queste.
Perché? Bella domanda! Cerchiamo di fornire qualche risposta. Perché, innanzitutto, una certo livello di catalessi o di non totale morienza o, se si preferisce, di reviviscenza poteva essere implicito od entro alcuni limiti scontato nelle dinamiche di un fenomeno così vasto e radicato come il regime, durato (soprattutto, grazie al pugno di ferro) un ventennio.
Per non parlare poi dell'immarcescibile categoria antropica che non si rassegna a trarre le conclusioni dall'aforisma di Sir James Russell Lowell (soltanto gli sciocchi e i morti non cambiano opinione) e che sembra concorrere ad ingrossare le fila dei renitenti a trarre lezioni dalla storia.
Risultato cui certamente concorre una serie di concause, da cui non vanno escluse certe testimonianze “antifasciste”. A cominciare (vogliamo essere diretti!) dall'errore di aver fatto troppo poco (intenzionalmente?!) per fare della condivisione/inclusione dell'ordinamento liberaldemocratico, scaturito dalla Liberazione, il perno della nuova Italia così percepita da tutti.
Invece, mentre il Guardasigilli della Costituente era prodigo e benigno in politiche, se non proprio di sdoganamenti, di epurazioni talmente attenuate da rasentare, poi come avvenne, l'amnistia generalizzata, l'antifascismo ideologico si andava attrezzando a spostare stabilmente il proprio baricentro su un uso strumentale di ideali che dovevano essere prerogativa di tutti.
È (o dovrebbe) ben noto l'assunto del Gresham (la moneta cattiva scaccia quella buona). È così che, come osserva oggi su Corsera Galli della Loggia, poterono certificarsi “antifascisti a 18 carati” esclusivamente “quelli che non esitavano a definire nazisti gli USA, non riservavano una sola parola di solidarietà agli antifascisti cechi ed ungheresi (angariati dai regimi comunisti Come antifascisti si sono sempre proclamati i terroristi delle Brigate Rosse, favoriti, fino ad un certo punto, dalle attenuanti riconosciute dalla nomenklatura comunista da compagni che sbagliano.”
Cosi il politologo/editorialista definisce plasticamente la categoria certificata dell'antifascismo e, ad un tempo, chiarisce come (il y a toujours un pur plus pur qui t'épure) quella categoria abbia molto concorso alla deriva di una testimonianza antifascista sostanzialmente concessa in franchising ad ambienti che, slogan a parte, non hanno alcuna attinenza coi cardini dell'antifascismo. Innanzitutto perché ne praticano uno che esercita esclusivamente l'intolleranza e la violenza. Se ieri non è avvenuto così, lo si deve al combinato di una serie di circostanze. Di cui una osiamo definirla fortuita (proprio perché la sua segnalazione non abbia ad essere interpretata come compiacenza).
Casa Pound Cremona, al cui interno hanno cominciato a circolare, insieme a giovani forse inconsapevoli virgulti, vecchi volponi forgiatisi (come Alemanno e Rauti jr ma anche Mambro e Fioravanti, nei campi Hobbit, fonte di abbeveramento giovanile sia del wording neofascista sia delle ansie eversive e terroristiche) ha capito l'antifona ed è rimasta fedele alla consegna di auto consegnarsi nel Salone del Cittanova (dove per decenni si svolsero i congressi e le manifestazioni delle sinistre e dell'ANPI). Salvo una sarcastica esortazione (andate a lavorare!), prontamente rintuzzata, con l'ausilio della circostanza domenicale, dall'opposto fronte antagonista, da un canonico (andateci voi!). Che, come improperio evocante scorrimenti di sangue, non sarebbe proprio il massimo.
L'altra contingenza positivamente concorrente è rappresentata inequivocabilmente dalla “nudità” degli antagonisti (numericamente, a voler essere generosi, una trentina). Che, nella circostanza non hanno potuto avvalersi né dell'apporto esterno di cui avevano beneficiato in passato (ma come avrà fatto a passare inosservata la mobilitazione di non meno di tremila manifestanti adeguatamente attrezzati alla pugna). Né degli endorsement con cui una certa sinistra (non certamente tutta catalogabile nella sinistra cosiddetta estrema) aveva condiviso il gesto di vendicare “il valoroso compagno Emilio” ed aveva riconosciuto nella mobilitazione del Dordoni, del circolo anarchico del Cascinetto ed ovviamente del vasto arcipelago dell'antagonismo (tra cui NO TAV, circoli autogestiti ecc, provenienti da tutt'Italia e tutta Europa) il perno della risposta da fornire al riemergente neo-fascismo. Così legittimandola su quel terreno politico ed etico su cui era già stata accreditata dai gauchistes caviar, come le Posse e De Luca, che erano venuti a Cremona a versare benzina sul fuoco.
Ieri di queste testimonianze in piazza del Cittanova neanche l'ombra. Forse si è capito che l'antifascismo è una cosa terribilmente seria per essere strumentalizzata a bassi scopo politici ed, ancor di più, per essere delegata all'antagonismo.
La terza, secondo chi scrive ancor più determinante, condizione concorrente alla derubricazione pratica dei potenziali pericoli devastanti insiti in un evento che avrebbe potuto replicare le gesta di questo triennio, è da individuare nella risposta dello Stato.
Che per noi resta l'unico regolatore preposto a mettere mano alle lesioni inferte alla legalità.
Il miglior favore che un regime libero possa fare al fascismo (e, per essere chiari, a qualsiasi altra dottrina portatrice di pulsioni violente ed antidemocratiche) è la rinuncia all'applicazione della legge. Difendere la democrazia dal fascismo come da ogni altra minaccia è compito esclusivo delle forze dell'ordine della Repubblica. Coadiuvate dal sostegno della testimonianza civile e culturale dell'associazionismo antifascista e dal permanente impegno educativo della scuola.
Ieri la risposta ai pericoli di illegalità ha funzionato esattamente così. In modo netto, trasparente e, soprattutto, percepibile; dalle parti direttamente in causa e dalla pubblica opinione.
Speriamo serva a futura memoria. Se le cose fossero andate così a partire dalla “scazzottata” del post-partita e dalla manifestazione “antifascista”, si sarebbe risparmiato a Cremona un destino di tensione.
L'azione investigativa e giurisdizionale ha fatto un lavoro apprezzabile dal punto di vista sia del sanzionamento dei reati che del ristabilimento della legalità lesa. Soprattutto, si è affermato inequivocabilmente che non c'è franchigia per qualsiasi illegalità, arbitrariamente catalogata come testimonianza politica.
Sin dalle premesse del presidio i manifestanti hanno scandito “nello Stato non crediamo, il nostro antifascismo a nessuno deleghiamo” (o qualcosa di molto simile).
Liberissimi di non fidarsi né dello Stato né di eventuali deleghe a tutela della democrazia da rigurgiti fascisti.
A nostra volta preferiamo che la difesa dell'ordine repubblicano, sostenuta da coerenti testimonianze civili, sia, come anticipato, prerogativa dello Stato. E non di sedicenti “antifascisti” portatori di visioni e di metodi di lotta violenti e non dissimili da quelli praticati dal fronte opposto.
L'evento, le cui premesse ed il cui annuncio hanno concorso a gettare preoccupazione e a disertare il centro della città (in un pomeriggio di non lavoro, che avrebbe dovuto essere finalizzato a ricreazione e a riposo), forse era stato caricato (ma solo col senno di poi) di aspettative negative eccessive.
D'altro lato, era già capitato (l'aneddoto ha uno scopo distensivo) nell'episodio della «Madonnina del Borghetto» del guareschiano “Don Camillo monsignore ma non troppo”. In cui la semplice cessione da parte della Parrocchia di un fazzoletto d'area necessario per una casa popolare aveva assunto, nelle aspettative degli operatori dell'informazione, le caratteristiche di un mezzogiorno di fuoco.
Sbollita la tensione, un giornalista se ne lagnò col Senatore Giuseppe Bottazzi (alias Peppone) con un “tutto qui, Senatore?”. Al quale l'interessato oppose un “i comunisti non amano dare spettacolo”. Che ebbe come contro-replica un “allora non lo prometta!”.
Ciò per dire che in meno di due ore (comprese tra le prove di faccia feroce e di avvicinamento alla location del “nemico” ed il sciogliete le righe) il cumulo di tensione si è sciolto come quella neve che era stata vaticinata e che non è scesa al sole, che non era previsto e non sarebbe uscito.
I primi a ringraziare le decine di operatori dell'ordine, perfettamente attrezzati e schierati, dovrebbero essere i venti o poco più contestatori, che in caso contrario (di omissione delle misure, s'intende) avrebbero dovuto vedersela con un fronte opposto numericamente soverchiante.
Il canovaccio dell'evento si è snodato, d'altro lato, secondo scansioni, come abbiamo già detto, imprevedibili rispetto alle premesse (ed è stata una sorpresa non spiacevole). Riservando quadretti del tutto incongrui alle enunciazioni ed alle minacce. A cominciare dall'arrivo del leader di Casa Pound, immaginato come portatore di inquietanti profili lombrosiani presupposto di indicibili violenze, ma che in realtà chiede il comfort di un caffettino caldo primo di scaldare la sala con performances oratorie.
Per finire con la scenetta altrettanto godibile della briosa signora che dalla finestra dell'edificio sovrastante la linea del contro-comizio “antifascista” arringa con un vigoroso e bi-partisan “Vergognatevi” (secondo noi diretto tanti agli “antifascisti” quanto ai neofascisti).
Cremona saprà trarre da questo domenicale pomeriggio siberiano (nel clima) la giusta lezione?