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Campagna Vax: è la vittoria dei Presidi Territoriali

Abbiamo ricevuto, di buon grado pubblichiamo e rispondiamo

  03/05/2021

Di Redazione

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Comunicato

Si comunica che, dopo questi lockdown, il movimento politico Grande Nord Segreteria di Cremona proseguirà nell'organizzazione di banchetti e/o gazebi ed incontri con la popolazione nella Città di Soresina sul nostro progetto di ricollocazione del Pronto Soccorso e/o Primo Soccorso presso il Polo Sanitario "Nuovo Robbiani" attraverso raccolta firme da inviare alla Regione Lombardia e all'Ats ValPadana.

Luca Gusperti 

Responsabile organizzativo 

Confederazione Grande Nord 

Segreteria di Cremona 

Pubblicando sopra, come abbiamo fatto, il comunicato del movimento (che a dire il vero conosciamo molto marginalmente), abbiamo pagato il nostro pedaggio di aderenza allo spirito di un giornalismo aperto, senza riserve, alle notizie di contenuto. 

Che le poche ed essenziali righe lo siano è fuori discussione. Stiamo ben lontano dall'approfondimento dello specifico della struttura del Nuovo Robbiani, argomento che appartiene ad un altro piano di valutazione. Ci interessa, invece, sottolineare il particolare e crescente interesse delle espressioni critiche nei confronti del generale default del sistema sociosanitario lombardo di fronte allo tsunami pandemico che ha travolto gli argini di difesa della salute e che sembra ancora ben lontano dalla totale remissione. 

Diversamente dall'impulso dell'establishment politico-istituzionale tutto proteso ad una campagna di rassicurazione e di contenimento del danno di immagine, da tempo andiamo sostenendo che, per correggere le cattive posture sedimentate in un quarto di secolo di politiche scellerate, sia indispensabile mostrare senza reticenze e con spirito emendativo le ferite e tenere assolutamente conto, al di fuori di qualsiasi spirito di parte, delle lezioni, implicite nelle percezioni degli ultimi due decenni ed impartite dai fatti di questi quindici mesi. 

Periodo in cui il cosiddetto welfare lombardo ha affrontato l'impari lotta a mani praticamente nude. 

Contro un nemico di cui si sapeva poco e con mezzi e strutture rese inadeguate dalla costante opera di traslazione delle risorse dalla sanità pubblica a quella capitalistica e di sistematico sguarnimento dei presidi territoriali di prevenzione, cura ed assistenza, che avevano costituito la base della riforma sanitaria nazionale e del piano attuativo della Regione Lombardia. 

Si fanno i tours nelle località maggiormente colpite dal disastro; ma non con l'intento di assumere consapevolezze de visu e spunti correttivi. Il che lascia pensare (se si vuole seriamente riflettere sulla catenaria di troppe variabili implicite nell'assertivo del Governatore) che su questo terreno non si avranno, nell'immediato e nella prospettiva, correttivi (“drizzoni”, direbbe il Cavalier Berlusconi) significativi. 

Nei precedenti approfondimenti non siamo stati minimamente reticenti sull'argomento. Sostenendo semplicemente ciò che sta nell'esatta sensazione del fallimento dell'aziendalizzazione/privatizzazione/polarizzazione del servizio sanitario lombardo. 

Vale a dire, il sistematico riavvolgimento della pellicola e la ripartenza da dove il Piano Sanitario di 30 anni fa era partito. Per essere più espliciti dai suoi perni informatori: permettere alle persone di essere sane, aiutare a prevenire le malattie, a guarire o convivere con le cronicità. Non necessariamente e non esclusivamente nell'epicentro esclusivo del sistema che è la struttura ospedaliera (specie quella capitalistica). Con una nuova relazionalità tra dispensatori ed utenti del servizio. Che consenta immediatezza di accesso alle prestazioni, tempi ridotti per la diagnostica, archiviazione della scheda clinica a distanza, controlli e prestazioni terapeutiche a distanza. 

Non ne abbiamo parlato con chi ha redatto il comunicato, ma ci sembra che, almeno dal punto di vista della territorializzazione, lo spirito sia questo. Non nella pretesa di una sanità della porta accanto, in cui ricevere prestazioni di alta specializzazione. Bensì nell'illuminata aspettativa di costituire una rete articolata, consona alle caratteristiche della periferia, capace di fornire un format basico di servizi di tutela della salute, capace di interagire con la realtà frammentata del territorio e di agire in tempo reale con la struttura più complessa. 

Detto questo e per restare aderenti agli spunti offerti dalla quotidianità, non riusciamo francamente a capire l'adozione dello schema assolutamente centralizzato della campagna vaccinale. 

O meglio presumiamo di afferrare sia la necessità di invertire scenari difficilmente recuperabili sia l'indifferibilità di una mossa del cavallo, che avrebbe posto di fronte ad un fatto compiuto difficilmente contestabile dal punto di vista di opzioni alternative. 

Rilevare qualche pulviscolo nel funzionamento degli hubs sarebbe come parlar male di Garibaldi. Sia perché sinceramente, a parte qualche controindicazione accessoria, il percorso, prevalentemente funzionante per effetto dell'impegno determinante del volontariato e della struttura periferica, ha dimostrato, in un contesto di assoluta emergenza, di capovolgere la negativa tendenza e di recuperare significativamente le condizioni per un ragionevole standard di immunizzazione. 

Sia perché, nella situazione data, empiricamente le opzioni alternative non fornivano garanzie di maggiore efficacia. 

Senza poter affermare che “è andata”, è evidente che si sono acquisiti margini positivi, nella pratica di una contromisura, ritenuta fondamentale per il debellamento della pandemia. 

Il futuro dirà qualche cosa di più preciso sulla efficacia e sulle possibili evoluzioni scientifiche e terapeutiche. 

Ma servirà anche a fornire suggerimenti sull'allestimento di un impianto che non necessariamente dovrà restare ingessato nella modalità centralizzata. 

Sia dal punto di vista logistico che da quello della messa in campo di una pluralità di strumenti ed apporti.

Vi ricordate che siamo stati impiccati per più di un anno al modello della fonte unica di effettuazione del tampone? Da qualche settimana la situazione di un ganglio fondamentale per la filiera a valle si è sbloccata; con la messa in campo di strutture accreditate e delle farmacie.

Non siamo assolutamente i cantori di una deregulation, replicante i canoni liberistici che vanno contestualizzati nei sistemi. 

Ma ci ha molto incuriosito la notizia, attinta da un editoriale del nostro amico Domenico Cacopardo, una sorta di report comparativo con quanto sta avvenendo Oltreatlantico: “l'accelerazione delle misure antipandemia, la cui principale, la vaccinazione sta procedendo a passo più che spedito. Una campagna che trova la sua più evidente manifestazione negli hub liberi sparsi in tutto il paese, nei quali ognuno, a prescindere dall'età, dalla situazione patologica, dalla nazionalità (tanto che s'è già constatato un turismo vaccinale soprattutto dall'Argentina, dal Brasile, dall'Uruguay e dal Messico), può mettersi in fila e, dopo avere aspettato ore, molte ore, per il raggiungimento del proprio turno, ottiene la sospirata inoculazione.” 

Probabilmente non tutto è replicabile nella nostra realtà, in cui, a differenza degli USA, la sanità ha una forte base solidaristica e dove i presidi non mancano. 

Il quesito che poniamo per il prosieguo è se non convenga attrezzare (visto che la risposta vaccinale dovrà costituire un perno costante ed ineludibile) un'orditura organizzativa più leggera, flessibile e correlata alle caratteristiche del territorio. Che, nel caso del nostro, certamente non manca di quei presidi che hanno funzionato per lungo tempo e che, semplicemente, sono stati o totalmente dismessi o riconvertiti ad altri scopi. 

Ci riferiamo agli “ospedalini” coincidenti coi comuni capo-distretto dell'ordinamento periferico allestito dall'unificazione nazionale. 

Perché non riqualificarli come segmento di base della sanità di base, di riferimento di un livello assistenziale vicino alla periferia e capace di rendere sinergica l'azione della medicina di base, il primo intervento, la specialistica decentrata e, appunto, le campagne vaccinali. 

Non importa il colore dei gatti, importante, come diceva il grande timoniere, che acchiappino i topi. 

E per acchiappare i topi non si può certamente dire che le farmacie si siano tirate indietro. Inventandosi una più vasta gamma di prestazioni paramediche, il servizio a domicilio e l'esecuzione del tampone. Con il preavviso della disponibilità a partecipare alle campagne vaccinali. 

L'occasione é propizia per una riflessione a tutto campo sullo spreco e sulla dissennata trascuratezza verso l'impiego nell'ordinamento sanitario di presidi, che si prestano sia ad una ottimizzazione dell'impiego delle risorse sia ad una benefica sinergia di decentramento. 

Ricordo che nel 1974 da presidente della Azienda Farmaceutica Municipalizzata (prima azienda comunale fondata in Italia dall'assessore socialista Giuseppe Garibotti) ipotizzai nel corso di una conferenza di livello istituzionale una conversione dell'esercizio farmaceutico come segmento dell'ordinamento del futuro SSN. 

Tanto per essere coerenti con questo ipotizzabile, fecondo progetto, i successori pensarono bene non solo di non farne niente, ma addirittura di smantellare l'azienda (che contava allora 14 punti vendita) comunale, espressione del municipalismo socialista. 

Svendendo ad un network europeo (peraltro concorrente dei titolari privati) un aggregato che avrebbe fatto molto comodo nell'ottica dell'estensione dei soggetti chiamati ad un modello di sanità articolata e vicino ai cittadini. 

Per la cronaca (ma sul punto farebbero bene a chiarire i fenomeni della Giunta dell'epoca) il risultato patrimoniale dell'operazione (di svendita) fu rarefatto da un errato calcolo di convenienza derivante dalla privatizzazione e dal “far cassa”. 

Nel settore il Comune di Cremona è restato col cerino acceso in mano: niente più farmacie e l'incasso rarefatto in ingarbugliate interpretazioni sulle destinazioni statali. 

Il Comune è socio minoritario al 10% e, quindi, assolutamente ininfluente nelle strategie aziendali; ma indispensabile per poter consentire di definire “farmacie comunali” gli esercizi che appartengono ad una multinazionale privata. (e.v.)

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