Una contraddizione non apparente, visto che si è trasformata in politiche discriminatorie, tali da non assicurare condizioni di equilibrio di investimenti e di equivalenti possibilità di sviluppo.
L'esempio più eclatante è sotto gli occhi di tutti: il canale navigabile Milano-Cremona-Po che sarebbe stato il coronamento finale di un sistema di comunicazioni fluviali innestato sull'asta del Po è stata cancellato con un colpo di penna, come un colpo di penna ha raallentato l'ampliamento e l'aggiornamento della via d'acqua (esistente da prima della Seconda guerra mondiale) Fissero Tartaro Canal Bianco, che collega, per stazze minime, Mantova a Rovigo. Un canale, questo, complementare al Po per i periodi di magra o di piena nei quali la navigabilità sarebbe sospesa, e a esso collegato tramite il Mincio (diga Masetti e conca di Valdaro).
Per il vero, sia pure con tempi biblici, la regione Veneto ha continuato ad alimentare finanziariamente il canale in modo che, allo stato, non manca molto per renderlo tutto utilizzabile per natanti di tonnellaggio economico.
Ma altri esempi macroscopici sono all'attenzione di tutti: il quadrilatero Cremona Mantova Parma Piacenza non dispone di una stazione dell'alta velocità essendo stata preferita Reggio Emilia ben più vicina a Bologna di quanto non sia una località posta al centro delle quattro provincie. La bretella di collegamento tra l'Autobrennero e l'Autocisa, in programma da decenni, è sistematicamente posposta a opere di più pressante interesse di Bologna e di Modena a discapito delle economie di Mantova, di Parma e, in modo meno vitale, di Cremona e Piacenza.
Le iniziative culturali delle quattro città, tutte in modo diverso rilevanti, dal sistema Mantova, alla Cremona dell'arte e della musica a Parma con il suo morente Teatro Regio, vittima di una assurda alleanza con il comunale di Reggio Emilia, o dell'arte in una boccheggiante Galleria Nazionale di Parma, a Piacenza che, su questo terreno, mercé un allineamento del comune sulle posizioni exdemocristiane del Pd, riesce ad avere una certa autonoma rilevanza, sono il segno di una grande area contigua, di interessi intersecati, di latenti sinergie, che non mette a fattor comune nessuno degli asset di cui dispone e che potrebbero essere il segno di un felice rilancio.
Ai nostri giorni, casualmente, si sta manifestando un'opportunità istituzionale che, presto, potrebbe diventare concreta.
La riforma costituzionale appena approvata e che sarà sottoposta a referendum confermativo a ottobre, prevede l'abolizione definitiva delle provincie e la possibilità di costituire le aree vaste, cioè ambiti istituzionali ultraprovinciali, nei quali alcune funzioni amministrative di base saranno unificate e le occasioni di programmazioni troveranno interpreti meno distanti dalle pur vicine regioni.
Il disegno riformista, a dire il vero, è più ampio e complesso e prevede, come passo successivo alla costituzione di 40/50 aree vaste, l'abolizione delle regioni o la loro ibernazione, in modo da ottenere una gestione delle comunità locali effettivamente deburocratizzata con un'organizzazione ultraprovinciale più economica ed efficiente. Qualcosa di simile ai dipartimenti francesi che hanno sin qui dato ben altra prova rispetto alle regioni italiane, tutte superfetazioni burocratiche che hanno tradito le posizioni ideali di chi le aveva immaginate.
L'occasione delle aree vaste, in Emilia, è pensata come un rafforzamento della posizione egemone di Bologna che sarebbe il capoluogo di un'area vasta comprendente Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Insomma, l'abolizione delle specificità parmigiane e piacentine (tra le quali la cultura e l'economia del parmigiano e del grana padano –insieme a tutti gli altri prodotti tipici e a una storia che dà ricchezza al tessuto sociale, rappresentano una peculiarità da valorizzare non da omologare). Mentre, di là dal Po, non è chiaro verso quali accorpamenti si stia dirigendo la regione Lombardia a trazione leghista.
Perciò, un'intesa preliminare tra le città del quadrilatero, per la creazione di un coordinamento politico-amministrativo prima e, poi, per forme di valorizzazione degli asset differenti e comuni, può essere lo strumento che permettere di cogliere un'occasione storica, la prima che si presenta dopo il 1861.
Certo, occorre aprire un dibattito, dapprima tra le popolazioni (che però saranno ricettive di alcune istituzioni, più gelose degli orticelli politici che propositrici di sviluppo) e poi tra le municipalità avendo come meta la conquista di un'autonomia amministrativa e un coordinamento autonomo operativo.
Una strada lunga e difficile da percorrere.
Ma Mao Tse Tung disse che: «La Lunga Marcia iniziò con un passo.»
È il medesimo passo che le donne e gli uomini di Cremona, di Mantova, di Parma e di Piacenza potrebbero presto muovere verso la valorizzazione dei loro territori e di loro stessi.
Domenico Cacopardo
www.cacopardo.it
Si ricorderanno agevolmente i precedenti del dossier ormai giunto alla settima edizione. Con la presente pubblichiamo un importante contributo di Domenico Cacopardo, già Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, già Presidente del Magistrato per il Po e già Presidente del Magistrato per le Acque, autore di numerosi romanzi, giornalista ed editorialista per la Gazzetta di Parma, Italia Oggi, La Sicilia.
Recentemente ha dedicato proprio sulla Gazzetta un importante articolo sugli snodi della cosiddetta Legge Delrio in materia di “Area Vasta”; con cui ha messo a fuoco, cosa che avviene molto raramente, un aspetto sacrificato dal dibattito in corso. Vale a dire, le aree vaste dislocate su più Regioni.