Andreste a Milano per incontrare uno spergiuro che mente contro ogni evidenza?
Domanda men che retorica. Visto che LA NOMENKLATURA TERRITORIALE, senza esitazione, SI È PRECIPITATA a Milano
…col piattino in bocca e le mutande in mano…
Il motivo dante causa, addirittura scatenante, per raggiungere precipitosamente il “tavolo” allestito premurosamente a Palazzo Lombardia dal Governatore Fontana è stato presumibilmente lo shock dell'inaspettato (sic!) annuncio (servito freddo con lo stigma dello sfregio): “La Mostra nazionale del Bovino da latte lascia Cremona per Brescia”.
Se detto annuncio fosse stato realmente inaspettato dal vertice di Fiera Cremona, dalle associazioni categoriali, dalle istituzioni territoriali e, in generale, dal ceto dirigente cremonese, ci sarebbe da dubitare (in sovrappiù) della loro perspicacia.
Sull'argomento entreremo dettagliatamente (e fuori dal coro di una comunicazione destinata a non fare un buon servizio alla causa) nel prosieguo.
Qui e ora ci limitiamo a mettere sotto riflettore l'approdo di una vicenda che, se non fosse tremendamente seria, presenterebbe irresistibili risvolti surrealistici.
Comunque la si voglia vedere, la circostanza che, al di là delle indignate reazioni degli ambienti direttamente coinvolti, non sappiamo quanta opinione intercetti, prospetta pienamente sia la fattispecie del colpo di mano sia la riedizione di una non rara malevolenza del potere politico-istituzionale lombardo nei confronti della Cenerentola padana.
Fosse stata una questione esclusivamente affidata alle dinamiche categoriali che, per quanto inquadrate nella fattispecie dell'associazione, ricadrebbero quantomeno nel riferimento l'articolo 39 della Costituzione, la materia sarebbe viaggiata sui binari dell'opinabilità e della libera scelta.
Si dà il caso, invece, che le ricadute dello snodo, che inequivocabilmente avvantaggia il polo fieristico e l'economia di un territorio a danno di un altro, non possono in alcun caso essere considerate al di fuori di una preminente ottica pubblica.
Infatti, entrambi gli Enti, per quanto caratterizzati da prevalent partners categoriali, sono partecipati da istituzioni territoriali e significativamente finanziati dalla Regione.
È il caso di ricordare, tanto per non perdere di vista la verificata propensione della Regione Lombardia (al di là degli stereotipi) a rapportarsi alle politiche agricole sul territorio, che la medesima, in sede di applicazione della sciagurata riforma Del Rio (con cui le Province diventarono area vasta e persero la storica attribuzione di ente intermedio) fu l'unica (o una delle poche) ad assorbirne la funzione diretta (mentre tutte le altre, con l'aggravante della drastica riduzione delle destinazioni finanziarie, permasero in capo alla vecchia istituzione).
Per effetto della bocciatura della riforma istituzionale Renzi-Boschi, sarebbe stata conseguente la decadenza della soppressione di fatto dell'Ente Provincia. Ma, come ben noto, le cose in Italia funzionano per irresponsabile dissolvenza (tanto delle cattive coscienze quanto delle cazzate a colori) e, nelle more degli aggiustamenti ordinamentali, non si è trovato di meglio che polarizzare la competenza (centrale e strategica per il territorio provinciale cremonese) in capo alla Lombardia. Che, nei cinque anni, si “è sacrificata”, esercitandola con un certo piglio decisionista e con totale assenza di senso di equanimità nei confronti delle aree subregionali.
La vicenda dello scippo della Mostra della Frisona si incarica di chiarire fino in fondo, nel caso occorressero altre prove, sia le ragioni (vere) per cui la maggioranza di centro-destra (che da 25 anni (s)governa la Regione) ha avocato a sé la gestione della materia sia la totale assenza di pudore nell'esercitare una politica di scambio e di collateralismo (in cui le sinergie sono talmente marcate da rendere inidentificabili i conduttori e i fruitori).
Che il trasloco della sede naturale e, considerata la primogenitura storica ed il know how acquisito, appropriata e legittima, non fosse immaginabile al di fuori del coinvolgimento regionale è cosa (o dovrebbe essere) risaputa.
Non casualmente nella vicenda ha avuto un ruolo l'assessore regionale alla partita (bresciano di nascita, di residenza e di elezione); cui non ha fatto velo il venir meno dell'opportunità di fair play, imposta dal ruolo istituzionale. Assessore che, invece, si è presentato in pompa magna a riscuotere il dividendo d'immagine e di tracciamento, come nelle culture tribali, del “territorio”, e ha portato “i saluti del presidente Fontana che purtroppo non è potuto intervenire come annunciato per impegno istituzionale”.
Della sintassi ognuno risponde in proprio. Ma il senso della captatio benevolentiae di Rolfi, suscettibile di incrementare il valore aggiunto delle ricadute sul territorio e sugli operatori del Bresciano, era l'esternazione della volontà del Governatore di tenere a battesimo uno snodo, della cui importanza e dei cui contenuti, si presume, fosse cognito.
Una partecipazione fisica e convinta suscettibile di trasmettere, insieme al gesto simbolico del suggello dell'intera compagine giuntale, anche o soprattutto il senso degl'indotti. Quelli immateriali, ma di inestimabile valore (la cinghia di trasmissione tra il vertice politico istituzionale lombardo, la rappresentanza politica di alcune aree territoriali e la nomenklatura di privilegiati corpi intermedi categoriali) e, soprattutto, quelli materiali (in bresciano: le palanche), vale a dire il riconoscimento di un rango strategico nella attuale (e nelle convergenze extraregionali) rete fieristica e, ça va sans dire, l'ovvio trasferimento di risorse (strategiche e correnti).
A legittimare una siffatta interpretazione c'è il concorso di una serie di contingenze. La prima delle quali, come abbiamo anticipato, è il profilo simbolico cucito addosso all'evento della conferenza stampa. Che ha visto al tavolo (alla presidenza, si sarebbe detto un tempo) una squadra unita (di intenti politico-strategici e di interessi concreti) e, per quanto ciò sia stato fatto passare nella marginalità, “trasversale”.
Insieme al Governatore (la guest star, che doveva partecipare, che non ha partecipato, che non sapeva), l'uomo forte del salvinismo orobico, il rappresentante dell'ANAFJI (una sorta di cavallo ruffiano, utile a motivare la legittimità della discontinuità), il Presidente della Provincia di Brescia (eletto in quota centro-sinistra ed esponente del PD).
Si dà il caso che quest'ultimo integri altri requisiti, in aggiunta ad un'esternazione molto convinta sui vantaggi dell'operazione. Infatti, è tuttora Sindaco del Comune di Manerbio, uno dei perni del consolidato potere politico e categoriale (della Bassa Bresciana) e del pacchetto di mischia che, senza neanche minimamente porsi questioni di gentlemen agreement ha impostato e realizzato l'operazione.
Questa circostanza dovrebbe gettare un cono di luce sulla ragione per cui, a posteriori, si sia tentata l'operazione di de-territorializzazione e di de-politicizzazione di un progetto. Che, invece, è assolutamente connotato in senso territoriale e politico. In quanto altera un equilibrio tra sub-aree regionali e vocazioni e mette a nudo una clamorosa pratica consociativa tra schieramenti e campi (in apparenza, alternativi).
Una circostanza questa, che dovrebbe interrogare e far riflettere non solo il nostro locale establishment politico, radicato su questioni strategiche reclamanti identificazione e coesione, ma soprattutto il ceto, lato sensu, dirigente del territorio (che si è aggiunto alla politica nella postura di diserzione del dovere di progettare un futuro meno scalcinato per la provincia).
Che si possa fare diversamente è di tutta evidenza (anche allungando lo sguardo ad auspicabili sinergie fuori dai confini). Ha dimostrato di farlo l'establishment bresciano; la cui determinazione deve essere in capo sia ad un diverso rango cognitivo dei players sia al codice genetico.
Se ne avrebbe potuto avere prova già ai tempi, inizio anni 60, della progettazione dell'autostrada centro-padana; avviata dai presidenti delle Camere di Commercio di Piacenza e Cremona, ma, logicamente estesa al bresciano.
La convergenza a nord del nuovo asse di scorrimento e di collegamento Amburgo-Brennero-Tirreno/Ligure fu posta nel punto di convergenza di Peschiera/Verona nord. Ma la cosa non garbava a Brescia, che lo fece sapere ai partners piacentini e cremonesi (che abbozzarono) per il tramite di un loro rappresentante (dire istituzionale, sarebbe poco). Considerando che tale portavoce, incidentalmente assessore ai Lavori Pubblici della Provincia, era, si parva licet, fratello di un bresciano che aveva fatto molto carriera a Roma, Oltretevere.
Da allora, nonostante il responsabile perseguimento di una visione di armonizzazione e di convergenza su temi e progetti di comune interesse, la Leonessa (per quanto, soprattutto ai tempi della Prima Repubblica, la Balena Bianca fosse dal punto di vista dell'articolazione interna qualcosa di più dei Balcani) proseguirà imperterrita la cultura delle partnership, ma, sempre e rigorosamente, nell'ottica del proprio esclusivo interesse e, se possibile, con danno del subordinato partner. Nel prosieguo della vicenda autostradale il socio bresciano riuscirà, infatti, cogliendo (a metà anni 80) le conseguenze di un madornale autogoal dei soci cremonesi, a spostare a proprio favore il controllo societario (marginalizzando, nonostante le posizioni apicali, meramente di facciata, il peso degli altri partners).
Per ricaduta, sarebbe arrivato un filotto di progetti messi a segno nel vantaggio esclusivo del Bresciano (la terza corsia sulla tratta Brescia-Manerbio, la Corda Molle, la pratica diserzione della Società nel ruolo di partecipanti alla Bre-Be-Mi). Mentre le realizzazioni a valle (con beneficio di Cremona: il terzo Ponte sul Po) sarebbero state affidate ad un imperscrutabile futuro o all'esito di variabili difficilmente verificabili. Fino a giungere al punto di sfinimento delle Centropadane (l'unica Società cui il Governo non rinnoverà la concessione).
Si può parlare, in capo a questo cinico destino, di una componente di ostilità?
Mah…Vero è che nell'ultimo mezzo secolo, nonostante l'incontenibile appealing dei cremonesi, nessuna operazione di convergenza è avvenuta, non si dice con risultato vantaggioso o neutro, ma con saldo negativo. Non sorprende che l'operazione Frisona si sia consumata con le medesime modalità, con cui avvennero le partnership del passato.
Con queste reminiscenze, forse un po' fuori tema, abbiamo ritenuto di aprire la porta della memoria, per aprire anche la porta dell'animo e delle consapevolezze.
Insistiamo su questa digressione, indotti dall'enormità della vicenda e, in progressione, della maldestra risposta e, in prospettiva, del radicamento delle cattive posture.
Ogni tanto bisognerebbe alzare la testa dal pelo dell'acqua in cui si sta nuotando per percepire quanto meno la direzione. Perché non si può non rabbrividire a petto di sommari enunciati; di vibrata denuncia, da un lato, e, dall'altro, di ingannevoli rassicurazioni.
È forse il caso, per come gli eventi si sono messi su un piano inclinato, di affidarsi a Nitzsche: “alcune persone non vogliono ascoltare la verità perché preferiscono non vedere distrutte le loro illusioni”.
Se credi al Governatore Fontana (quando dichiara di non aver voluto partecipare alla conferenza stampa di Montichiari e, soprattutto, del fatto che fosse all'oscuro dell'operazione sottesa) o sei scemo o ti iscrivi d'ufficio alla categoria dei creduloni.
D'altro lato, non sarebbe il primo caso in assoluto. Se si considera che per tutto il decorso anno il governo regionale (che solo per questa ragione avrebbe dovuto sparire dal radar delle testimonianze politico-istituzionali) ha maldestramente tentato di rendere plausibile la spiegazione della disastrosa prestazione antipandemica alla luce dell'eccezionalità dell'evento e con la messa in campo di “ristori” strategici.
Investimenti, insomma, risarcirebbero il periferizzato territorio padano dalle conseguenze degli accadimenti e, soprattutto, (lo diciamo noi) delle imperizie gestionali congiunturali, accumulate sopra un quarto di secolo di marginalizzazione nei processi programmatori e vandalizzazione degli interessi originari e dei presidi preesistenti alla seconda repubblica lombarda.
Va riabilitato il tardivamente deposto Gallera, quando sentenzia: “si dimostra che il problema non ero io”.
Difficile non associarsi. Sia rispetto l'excursus del primo anno di pandemia sia al varo dell'operazione reload, che, studiata prevalentemente come risposta di make up per risalire la china dei consensi, non ha sicuramente invertito la rotta delle performances dell'istituzione regionale. Anzi, per quanto quasi impossibile, sono state peggiorate quelle del passato recente e del più remato. Che detronizzano la Lombardia dal piedestallo della locomotiva nazionale e dell'eccellenza dei servizi. Di quasi tutti i servizi e della sanità in particolare.
La costituency di questo ceto amministrativo non è sicuramente l'ansia di rispondere alle percezioni, alle analisi, alle consapevolezze dedotte dalla conoscenza della situazione del territorio e dal dovere di corrispondere con progetti strategici e gestionali conformi ad uno sviluppo equilibrato per tutte le sue articolazioni e le vocazioni che esse esprimono.
Ricalcando Edmondo Berselli, potremmo suggerire che Cremona è il sud del nord e il nord della Padania.
Le sue peculiarità (che sono importanti sul piano dell'etica civile e dell'attività lavorativa) non trovano mercato nell'offerta dei superiori livelli istituzionali. Paradossalmente, l'ente Regione che, avrebbe dovuto avvicinare l'azione pubblica alla realtà territoriale, ha accentuato una propensione centralistica, usata come una clava nei confronti degli aggregati periferici, privi di peso politico negli equilibri superiori. Dove si definiscono le strategie e destinano le risorse.
Sic stantibus rebus, la vicenda della Mostra del bovino, espiantata dal suo contesto naturale e trapiantata altrove, non è, se si considera l'incontrovertibile sommatoria di apporti e di vantaggi prodotti, che l'ultimo accadimento di una lunga filiera di volontà sottrattive.
Prima se ne convince l'establishment e prima si potrà incardinare una risposta.
Vabbè, come abbiamo premesso, un anno fa la Regione è venuta qui a promettere superfragilisticamente un nuovo ospedale. Mai chiesto e, soprattutto, in contrasto con le evidenze, che pongono al centro della resilienza sanitaria non nuovi contenitori bensì l'esatta inversione dell'ordine dei fattori che hanno fin qui scandito lo smantellamento della riforma sanitaria di quarant'anni fa.
Ridicolo che qualcuno si avvalga dell'unica testata giornalistica operante in regime di monopolio per additare come disfattiste tutte le sensibilità in opposizione ad una campagna di irresponsabili promesse di marinaio.
Una campagna che si avvale dell'errata convinzione in certi comunicatori/influencers, operanti in evidente sinergia coi padroni del vapore, che l'opinione sia disposta a trangugiare tutto.
Un'informazione dispensata con overdose di interpretazioni frequentemente disgiunte dalla realtà dei fatti, con cui si sminuiscono la gravità e la dimensione dei problemi e si enfatizzano risposte irrealistiche, al limite della turlupinatura, al solo scopo di parare i colpi dell'incapacità e mantenere costante l'appealing del consenso.
Si può diversamente leggere l'overdose di comunicazione scaturita dalla metabolizzazione del ratto della Fiera?
Noi cerchiamo di fornire una interpretazione degli avvenimenti il più possibile coerente coi fatti.
Siamo ben consapevoli di un consolidato contesto avverso agli interessi della nostra comunità territoriale. Conosciamo bene le dinamiche che orientano processi e percorsi.
Siamo preoccupati (da tempo) ma ce ne facciamo una ragione.
Ciò che per noi restano imperscrutabili sono le ragioni di certi comportamenti, assunti in rappresentanza delle istituzioni locali, della popolazione e degli operatori. Nei giorni scorsi ci siamo informalmente rivolti ad alcuni protagonisti della vita pubblica, muniti di ruolo di rappresentanza (cui abbiamo contribuito pro quota). Per una domanda indotta dall'articolessa del giorno dopo.
La domanda era (ed è): Vi sembra lecito che, con lo storico di trascuratezza verso il nostro territorio, con la sistematica spoliazione della sanità, con l'evidente complicità regionale nella vicenda Fiera, la delegatzyia territoriale sia andata, piattino in bocca e mutande in mano, a farsi coglionare dal governo regionale. Che, colpevole del disastro pandemico, di tutto lo scibile delle competenze regionali (tra cui Aria), e allo sbando, dica, per bocca del Governatore "noi sempre attenti e disponibili". Il fatto che il territorio chieda udienza ad uno così "impicciato" (anche per motivi laterali, ma non esattamente irrilevanti) fotografa l'acume dei nostri vertici amministrativi. Ditemi che non è vero. O almeno ditemi che voi non vi fate irretire da queste esternazioni da disperati venditori di frottole. Diversamente, cortesemente, spiegatemi perché i quattro gatti socialisti dovrebbero continuare a votare un centro sinistra, sedicente alternativa alla destra, ma in realtà quanto meno coinvolto se non proprio in una pratica consociativa, incapace di svolgere il ruolo di opposizione? È giunto il momento di assumere un profilo di alternatività alla destra. Per un dovere di servizio verso il modello liberaldemocratico e verso una inarrestabile spirale di degrado del sistema Regione e del sistema territorio.
Per anni la Giunta Regionale (prima di Formigoni e Maroni, adesso di Fontana) è stata impermeabile a qualsiasi segnalazione e adesso, nel grave imbarazzo derivante dall'operazione Fiera, convoca a tambur battente un'imbarazzante delegatzya istituzionale abbracciata che, senza il conforto di una decente consultazione preventiva, si fionda a Palazzo Lombardia. Per ottenere impacciate ed ingannevoli spiegazioni ed essere investita da mirabolanti promesse di riscatto del territorio più vessato, dai tempi delle penetrazioni vandaliche.
Della permeabilità dei portatori delle responsabilità apicali, in materia di affidavit su virtuose pratiche sinergiche, non si potrebbero nutrire dubbi.
Pur di fronte all'inconfrontabilità della natura e dell'importanza dei fatti, quando si tratta di prendere dei pacchi, qualcuno dei nostri amministratori si dimostra maestro.
Ci si ricorda dei ricorrenti ed itineranti pellegrinaggi della troika dei giovani e dem Sindaci di Cremona, Bergamo e Brescia?
All'insegna dell'autopromozione elettorale corale e della volontà di far lavorare insieme le comunità amministrate.
L'unica cosa che ha funzionato (ma a ranghi separati) è stato l'accordo tra Bergamo e Brescia per fregarci sul progetto città della cultura. Brescia (salvo smentite) poi si è aggiunta all'operazione Fiera.
Concludiamo così, con dolorosa consapevolezza, ma anche per un dovere di ammonimento verso coloro che volessero reiterare la teoria dei destini cinici e bari e della malevolenza degli avversari. Le cui fortune non sarebbero tali, se non beneficiassero di interlocutori come quelli ricevuti a Milano.