Si dice che il capostipite francese di una dinastia inglese, Goffredo D'angiò, fosse detto “il plantageneto” poiché portava invariabilmente sul cappello un rametto di ginestra (genêt) che mi piace immaginare alla stregua di una mimosa: immagine enigmatica e fascinosa perché non ci immagineremmo un bellicoso atleta della guerra indossare un fiore così gentile.
Penso che soprattutto gli uomini dovrebbero indossare ora questo fiore gentile, simbolo di una giornata che ricorda ogni anno donne che scioperavano, bruciate vive, donne che lottavano per i propri diritti a detrimento perfino della vita.
Penso che gli uomini e la loro mascolinità (che sicuramente al Plantageneto non mancava) dovrebbero farsi carico di riconoscere, ammettere, vedere in tutta la sconcertante pienezza quanto ancora la condizione femminile e le conquiste sin qui fatte siano parziali e pronte ad essere sacrificate sull'altare della crisi, del “Covid”, delle difficoltà economiche, delle asperità esistenziali. Poiché ammettere limpidamente che esiste un problema e farsi carico responsabilmente di progredire è tutto tranne che debolezza ma forza, dirittura morale, concretezza.
Quando si dibatte di diritti civili mi sconcerta sempre l'attaccamento di certa destra (naturalmente trasversalmente collocata come il recente dibattito in Consiglio Comunale in merito alla Legge Zan ha ampiamente dimostrato) ad un mondo fatto di steccati, di limiti, di proibizioni pervaso da un avido attaccamento ai pregiudizi, alla possibilità di essere liberi di discriminare, di poter ingiuriare sottomettere e disprezzare: cosa che loro chiamano “libertà di opinione e pensiero”.
Io penso che la costruzione di un mondo libero dai pregiudizi, a piccoli passi, dove non venga cinicamente sversata l'idea tossica della necessità di capri espiatori, della sua ineludibilità nel convincimento che il disprezzo e la ferinità nell'essere umano siano inevitabili; sia il dovere di tutti i progressisti e dei libertari. (non vi è nulla di più luminoso ed importante).
Ora è chiaro che la misoginia feroce della nostra società travestita da paternalismo e condiscendenza sia una grossa fetta di questo indigesto polpettone; negare che ciò esista rende solo più profondo il solco tra una società incompleta, immatura e infelice ed un reale progresso sociale e culturale, economico ed esistenziale: un processo di reale parità che parta dall'educazione, dai modelli culturali e comportamentali per portare ad una sempre più completa integrazione e compenetrazione delle occupazioni e delle mansioni (dei generi) abolendo definitivamente ciò che è stereotipo, sottomissione, necessità del capro espiatorio, incompletezza e frustrazione collettiva. Una società che non discrimina, che non relega e che sviluppa le piene potenzialità di tutti è una società più ricca, da tutti i punti di vista.
Qualche giorno fa ho letto con immenso piacere della manifestazione di gentiluomini con ai piedi eleganti scarpette rosse: questo è portare fieramente la mimosa sul proprio cappello, questo è essere parte della risoluzione di un problema culturale, questi sono i plantageneti che vogliono e conseguentemente agiscono per una totale e prospera parità.
Concludendo ricordo a me stessa e a tutte noi l'immagine di Eleonora d'Aquitania che entra a Costantinopoli in armi, lei che era una tra le più colte e fascinose dame della sua epoca amata da trovatori e Cavallieri conosceva l'importanza anche iconografica della lotta.
Questo incarna in immagine, con un potere fortemente iconico, il fatto che con gentilezza, fascino e incrollabile determinazione si deve continuare a lottare senza mai lasciarsi irretire dalle scorciatoie ideologiche che ci hanno lasciate aperte per secoli (scorciatoie che portano dentro angusti steccati sociali di conformismo, arrendevolezza, presunte e micidiali imposizioni propinate per verità “naturali”).
Non bisogna arretrare di un millimetro, ragazze. Ad Maiora.