“Il concertone della ripartenza” l'aveva etichettato Repubblica. Il tempo (poche ore) per riaverci dallo stordimento per l'ennesimo deragliamento di una ricorrenza/celebrazione tradita (del che è, se occorressero conferme, dimostrazione plastica il tranello mediatico del prevalent influencer) e l'evento, da troppi anni divenuto succedaneo (per consunzione del modello rievocativo? Per incapacità del Sindacato di aggiornare la propria offerta?), “diventa un caso politico”. Come recitano quasi tutti media ipnotizzati dallo charme e dalla prontezza utilitaristica di un irresistibile menestrello (prontamente ed amorevolmente soccorso dall'altra metà della ditta “sono fiera di lui, andare contro tutti per dire ciò che si pensa non è cosa da poco”).
Peccato che il proposito o la minaccia (“lo rifarei ancora”), rientrando ormai nel modulo consolidato di un uso (abuso) cinico della “tribuna” (cui pochi resistono per testimoniare se stessi) si materializzi in un lancio di piatti e di contumelie da ringhiera, poco consono al fatto che il concertone è sostenibile coi danari dei contribuenti e legittimato dal teorico partenariato sindacale.
Cui, sia pure restando latente qualche strascico suscettibile di riattizzare la lite da ballatoio (su argomenti poco consoni al pannel celebrativo), mette la sordina un filotto di accadimenti che (questi sì) avrebbero dovuto e dovrebbero permanentemente rientrare nel pannel comunicativo e nella mission di chi organizza il mondo del lavoro.
Muore una giovane apprendista travolta dalla macchina su cui stava operando; in circostanze su cui il dovuto riserbo non impedisce di azzardare l'ipotesi di allentamento della sicurezza.
Passano poche ore e dopo Luana (una ventenne che non disdegnava lavori poco consoni all'appealing delle attività per cui ormai le nuove generazioni letteralmente sbavano, accontentandosi del reddito di cittadinanza) e sul lavoro, per intendersi, lavoro manuale, quello che ormai non motiva più tanto gli ospiti (che vengono in Italia per supplire alla diffusa neghittosità), muoiono altri cinque lavoratori (dell'agricoltura e dell'edilizia). Una cosa da grandi numeri, considerando che in soli tre mesi ne erano capitati già 185.
Che sono niente rispetto alle vite mietute dalla pandemia; ma che, non potendo non relativizzare, gridano vendetta, più che sulla massa critica, su una metabolizzazione fatalistica.
Se ne dà notizia (magari intensivamente) per compiacere la “fame” mediatica. Poi, passato lo giorno, la percezione inclina sul versante del “sono cose che succedono”.
Sulla componente fatalistica delle dinamiche dell'infortunio sul lavoro, non ci pare ci sia materia per azzuffarci.
Ma dirà pur qualcosa una serie di fatti consolidati che rappresentano plasticamente il default del lavoro, oltre che come principale diritto costituzionale e opportunità di ruolo civile e sociale, anche come fattispecie degna di tutela.
Del che è segnalatrice, per dirne una correlata alla particolare temperie, dell'eventualità che sia messa a rischio la continuità del trattamento pensionistico dei veterans, che un anno fa sono rientrati generosamente in servizio. Per essere solidali coi sofferenti e per togliere dalle peste un management manifestamente inadeguato.
Torneremo sul motivo principale di questa denuncia, mi ci si consenta di andare (per modo di dire) fuori tema.
Il combinato disposto delle conseguenze della pandemia dimostra, in evidentemente contrasto con una narrazione ad usum delphini, che siamo un Paese più povero, più disgregato, più smarrito rispetto alle certezze che, con un po' di spavalderia, hanno guidato gli ultimi decenni.
Riandando a Nitzsche: alcune persone non vogliono ascoltare la verità perché preferiscono non vedere distrutte le loro illusioni. Il principale alimento delle illusioni risiede in un modello di rilancio che si affida ad una salvifica immissione di risorse, attinte a debito e non, come si dovrebbe, dal gettito di una tassazione capace di attenzionare i patrimoni, accumulati nella congiuntura della finanziarizzazione dell'economia.
Si dice da oltre un anno che “dopo tutto dovrà cambiare”. Già, sarebbe il momento adatto per programmare un nuovo ciclo di investimenti finalizzato sia all'assorbimento delle conseguenze devastanti sia ad una forte rimodulazione del modello perseguito e consegnato dal ciclo e della globalizzazione.
Progetto nel quale il peso maggiore dovrebbe essere rappresentato dalla riqualificazione del ruolo, della remunerazione e della tutela del lavoro.
Mentre è di una inoppugnabile evidenza che la sinistra politica e sociale non è stata capace d'altro che di sostituire al tramonto del mito del riscatto sociale, un'indistinta ed impalpabile rigenerazione etica. che esprime una valenza sul piano dell'identificazione civile, non dell'eguaglianza socioeconomica.
L'iperliberismo finanziario e tecnocratico ha imposto la deregulation, la delocalizzazione delle imprese ed il dumping salariale e sociale.
La resilienza dall'emergenza e una generale riforma delle politiche del lavoro dovrebbero andare di pari passo: nuovi contratti sociali imperniati sui principi del pluralismo democratico e su progetti di sviluppo, per riattivare, in condizioni ovviamente aggiornate, la simbiosi del 900 tra capitalismo sociale, democrazia e stato sociale. Rimodulando le linee guida del modello liblab, correggendo ed integrando l'assistenzialismo del vecchio welfare (in deficit) con la variabile della partecipazione e della responsabilità dei ruoli.
Ma di ciò non c'è contezza. Né nelle indicazioni concrete dei Piani di recupero né nella testimonianza della sinistra politica e sociale.
L'ecatombe dei morti sul lavoro ad un tempo svela che la tutela dell'integrità fisica dei lavoratori è negativamente sinergica alla caduta della considerazione generale del lavoro.
Queste morti atroci aprono la porta della memoria e un po' anche la porta dell'animo. E conducono alla considerazione che non ci sarà nessun riequilibrio civile e socioeconomico se i corpi intermedi sociali, lo Stato e le Regioni non torneranno alla centralità della tutela della sicurezza.
Questo si sarebbe dovuto testimoniare il 1° maggio.