Caro “Eco del popolo”, rispondo volentieri al tuo invito a partecipare alla festa dell'otto marzo sull'antico (ora moderno on line) foglio socialista. Lascio ad altre/i, più aggiornate/i di me, gli argomenti della attualità e colgo invece l'occasione per far memoria dello storico formidabile contributo del Movimento operaio internazionale ed italiano alla promozione ed alla lotta per la emancipazione femminile. Ci furono figure mitiche come Anna Kuliscioff, Angelica Balabanoff, Clara Zetkin, Rosa Luxemburg... ma il movimento femminile si sviluppò con tante compagne dappertutto e naturalmente anche nella nostra realtà cremonese.
Lavorando attorno al centenario della nascita del partito comunista a Cremona ho ritrovato significativi segni sulla importanza che la sinistra, e quindi anche il partito nato il 21 gennaio nel congresso di Livorno, attribuiva alla tematica femminile ed all'organizzarsi delle donne stesse come protagoniste.
In vari momenti una impressione non banale che ho avuto è quella del differenziarsi di quanto scritto, sulla stampa dei partiti operai, specificamente dalle o sulle donne rispetto agli articoli e documenti del gruppo dirigente (“maschile”) di partito. Nei non pochi scritti delle o sulle donne su quei giornali è molto ridotta la polemica ideologico – partitica – correntizia e quindi l'enfasi sullo scontro interno alla sinistra tipica di quegli anni. Ciò a vantaggio di sofferte questioni della vita e della condizione femminile.
Anche scorrendo le pagine de “l'Eco dei comunisti”, che si pubblicò a Cremona nel 1921 e 22, si nota (e mi ha colpito) la suddetta peculiarità. Naturalmente le donne (in genere giovani) che avevano aderito al PCd'I ne “sposavano” le posizioni ma pare dandole quasi per scontate. Nel loro impegno appare del tutto prevalente, rispetto alle contrapposizioni ideologiche cui “i maschi” dedicavano fiumi di inchiostro, la denuncia delle ingiustizie e le arretratezze che colpivano la donna e dunque l'impegno che la donna stessa doveva assumersi nelle rivendicazioni e nelle lotte che ne conseguivano. Scelgo di seguito qualche esempio dai molti presenti sul settimanale del neonato PC cremonese.
Nell'appello alle nascenti sezioni perchè si costituiscano in esse i “gruppi femminili” si scrive che ad ispirarli devono essere “altissimi sentimenti di umanità e di giustizia nel combattere con serenità e fermezza per vincere il nemico comune: il capitalismo sfruttatore”. Insomma c'è un linguaggio oggettivamente diverso rispetto a quello che metteva sempre in primo piano per esempio i meticolosi dirompenti famosi “21 punti” della IIIa Internazionale.
Una delle prime “sezioni femminili comuniste” che scrive sul giornale è quella di Bonemerse. Essa si è riunita in assemblea il 12 marzo 1921 per chiedere alla Federazione PCd'I che convochi “un congresso provinciale delle sezioni femminili onde sia tracciato un programma d'azione da svolgere in mezzo alle donne della provincia”. Dal contesto si evince che il programma deve essere sui loro problemi concreti...
La convocazione di un “Convegno provinciale straordinario” per il 3 aprile '21 nel salone municipale di Cremona reca tra i punti all'ordine del giorno un punto specifico sui “gruppi femminili”.
Nel marzo un articolo per la “giornata internazionale della donna” mette in evidenza che “la Russia soviettista ha abolito giuridicamente ogni ineguaglianza politica e sociale tra i due sessi...”
“Lavoratrici alla riscossa!” si intitola un appello sull'impegno delle donne firmato da Gino Rossini sul numero del 30 luglio 1921. Parla delle condizioni di lavoro “nell'officina, nel laboratorio, nel campo sotto il sole cocente (…) per cui andate poco a poco distruggendo il patrimonio della vostra salute...” per concludere con un “Basta sopportare, entrate in battaglia coi vostri fratelli, sposi e padri per uguaglianza, pace e libertà”.
Così nell'agosto del 1921 si dà notizia che “nella sede di via Monteverdi 4” si è messo all'opera il Comitato femminile provinciale del partito.
Una questione che si evidenzia in ogni numero del giornale è l'intensificarsi della violenza criminale fascista, anche con riferimento alle sue devastanti conseguenze sulle famiglie di chi viene colpito.
Concludo citando una bella lettera di Savina Manara, pubblicata il 15 ottobre 1921. Lei è giovanissima e scrive così di un momento di orgoglio e di “intima ribellione nel fondo dell'anima”.
“Mi fu gridato l'altro giorno per strada: è una donna, non si impicci di fatti di politica, lei! Fu un ignorante che si dondolava, le mani nel panciotto, davanti al Bar Roma. Mi aveva vista passare con due compagne di scuola e io portavo il distintivo comunista”. Il racconto prosegue con l'atto di quel tale, che l'aveva “seguita in via Giudecca” e che le strappò “il piccolo disco rosso vigliaccamente perché ero sola e donna”. “Ebbi il mio sangue freddo … gli risi in faccia... si vede che è tanto ignorante Lei” (gli dissi Lei proprio con la L maiuscola, aggiunge...). Quindi Savina racconta “l'intimo palpitare dello sdegno” e che ebbe “l'ingenuità di riferire l'atto villano a due guardie regie”. Esse subito interpellarono l'uomo, lui mostrò il distintivo... visto che era comunista le guardie si stupirono e così si rivolsero a Savina: “Ah! Ma io credevo che fosse fascista”... Insomma al prepotente davano ragione. Ma “... io non ho mai creduto che la forza pubblica fosse imparziale...” scrive e si firma la Manara.