…troppa grazia, verrebbe da soggiungere all'endorsement pronunciato dal giustamente stimato accademico e storico dell'arte Flavio Caroli, che, avendo “scelto” l'hub della Fiera di Cremona come sede del richiamo vax, “non è passato inosservato” (come osserva la cronaca del quotidiano cremonese). Soprattutto se sia il diretto interessato (che, con l'occasione ha promozionato la sua ultima fatica editoriale in uscita) sia il suo anfitrione, il direttore sanitario dell'ASST Rosario Canino, che ha molto insistito in tal senso per non passare inosservati.
Premesso che ritireremo il libro quanto prima in libreria (sia per l'interesse tematico sia per il rango dell'autore), andrebbe aggiunto che l'opzione per la location vax, senza essere esattamente estorta, sarebbe discesa da un impulso a compiacere il rapporto di amicizia con il dirigente padrone di casa.
L'evento si è prestato a qualche scampolo di esposizione mediatica, in cui può star dentro il non disinteressato calcolo ad incassare da un illustre ospite “organizzazione perfetta, attenzione e competenza” (suscettibile di invertire il colossale fiasco di critica e di pubblico accumulato dal management durante la pandemia).
Sulla corrispondenza ai fatti della percezione di Caroli (che, per quanto aggiungeremo, arrischia di diventare un Onofrio del Grillo malgré lui) non c'è dubbio alcuno (se si pensa almeno a due precedenti nostri servizi dedicati al funzionamento del centro vaccinale).
Ma, sia pur abbozzando una sensazione non malevola, il contenuto delle quaranta righe del servizio non possono, per un dovere di chiarezza verso un'opinione pubblica per più di un anno sballottata tra segnali mediatici non sempre tempestivi, univoci e rassicuranti, non indurci ad avanzare alcuni rilievi. Che trovano incroci con i percorsi di cittadini-utenti privi delle prerogative riconosciute alla notorietà.
Innanzitutto, il professor Caroli ha residenza a Milano, sia pur avendo domicilio temporaneo in una seconda casa in provincia di Cremona.
Circostanza comune a molti cittadini, che, però, non possono opzionare la sede dell'inoculazione della seconda dose. Di una tipologia vaccinale cui molti ambirebbero visto che, presumibilmente, trattasi, stimando il timing del richiamo, della versione più accreditata, anche per la circostanza che non incrocia le esigenze vacanziere.
Avendo letto la notizia e avendo tratto l'impressione di una certa flessibilità sul distanziamento temporale tra la somministrazione delle due dosi, ci siamo permessi, in occasione dell'accompagnamento di un famigliare, di interpellare circa la praticabilità dell'ipotesi di accorciare di una decina di giorni il delta delle prammatiche dodici settimane, stabilite al momento della prima dose (con il che si capisce anche che a noi consenzientissimi è stato riservato il vaccino reietto).
La ragione della timida aspettativa non discende da una frivolezza, bensì dal fatto che, per ragioni tanto di prudenza personale quanto di ossequio alle disposizioni, avevamo da tempo calendarizzato l'esecuzione di un intervento di superbonus (in cui agiamo con ruolo professionale).
In un Paese normale, in cui, sia pure in contesti difficili, si bada al sodo (il massimo accesso alla vaccinazione) e si ha rispetto del cittadino-utente, la risposta potrebbe essere binaria:
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l'anticipo dell'inoculazione della seconda dose di una decina di giorni (come richiesto)
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come accordato al professor Caroli, lo spostamento della sede vaccinale in un comprensorio coincidente al domicilio elettivo.
Avremmo anche accettato la risposta sfavorevole, se non gravata né dal tono perentorio e non esattamente convincente né da alcuni precedenti (in materia vaccinale) su cui non intendiamo essere trattati alla stregua dei compagni della partita di briscola del marchese del Grillo (io sò io e voi siete un …zzo).
La pur solerte e cortese operatrice dell'ASST ha concluso sostanzialmente in senso negativo, dichiarando la tassativa impraticabilità di sia pur limitate scansioni temporali tra la prima e la seconda dose.
Nonostante che in materia non ci sia certezza scientifica e nonostante che il modesto anticipo non alteri assolutamente il senso della declaratoria del farmaco. Leggiamo, infatti, che il vaccino di AstraZeneca prevede che la seconda dose possa essere somministrata in un intervallo compreso tra 28 e 84 giorni dalla prima somministrazione. Alcuni studi hanno evidenziato una migliore protezione nel caso in cui il richiamo avvenga nel corso della dodicesima settimana, quindi a ridosso dello scadere degli 84 giorni. Studi e valutazioni sono ancora in corso, ma viene comunque consigliato di effettuare la seconda dose il più avanti possibile nel tempo, naturalmente entro gli 84 giorni.
D'altro lato, è di tutta evidenza che i tempi di somministrazione della seconda dose appaiono scanditi, in attesa di inconfutabili certezze scientifiche, secondo la strategia della fisarmonica (flessibilizzare la tempistica di richiamo per ottimizzare la gestione delle scorte in modo da allungare il raggio della prima copertura). Insomma, nella logica, come si dice a Cremona “del capel de Lurens che el se slarga e che el se strens.
D'altro lato, proprio ai fini pratici della campagna, oltre che per ragioni di mitigazione dello stress dell'aspettativa e del limbo della prenotazione, della coda e dell'eventuale obbligo di rientro nella residenza, sarebbe che il Ministero competente attivasse meccanismi correttivi all'attuale rigidità territoriale della fonte delle prestazioni del SSN.
Diversamente, oltretutto, in aggiunta alle conseguenze di probabili rinunce alla campagna vax, si implementerebbe l'inclinazione tipicamente italica, così ben richiamata oggi sul Corsera da Gramellini “C'è chi può e chi non può. Io può” Trattandosi di un diritto universale, non sarebbe neppure il caso di far cenno ad inclinazioni poco encomiabili, che saltano la radicata consapevolezza delle disuguaglianze e delle furbizie.
In realtà, non v'è chi non veda l'ineludibile esigenza di ripensare il modello che avrebbe dovuto avere una valenza nazionale; mentre da quarant'anni le Regioni vanno ognuna per conto proprio.
In modo da consentire percorsi facilitati e equivalenti, per potenziare la risposta alla domanda di quale sanità vogliamo ricostruire sui rottami del sistema protestato dalla prova della pandemia.
Che integrerebbe anche una ricaduta di ingegneria sociale.
Sia come sia è probabile che la questione da noi focalizzata potrebbe trovare soluzione all'annuncio del professor Giorgio Palù, presidente dell'AIFA e componente del CTS, secondo cui da giugno il vaccino sarebbe disponibile anche in farmacia. Ciò che permetterà di riceverlo anche fuori dalla residenza.
La circostanza è comunque propizia per alzare un più ampio sguardo alle claudicanze del servizio vaccinale lato sensu.
Di cui il default della campagna 2020/21 per l'ordinaria antinfluenzale (da cui si cerca di distrarre la consapevolezza) è solo un picco segnalatore.
Mentre l'impressione tratta dall'esito di personali dirette esperienze (di cui ovviamente daremo prove) è che, nonostante la centralità del segmento vaccinale dimostrata dalla vicenda pandemica, il servizio in capo all'ASST è ben lungi da situarsi in livelli di accettabilità.
Ne è prova, come da quanto appena accennato, l'episodio in cui siamo stati coinvolti. Che ci ha visto costretti, nonostante la prescrizione medica, a rivolgerci al libero mercato anziché al Servizio pubblico, che ci aveva convocato per tre volte in quattro mesi (in pieno picco pandemico) senza praticare l'inoculazione (per mancanza della dose).