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Matildica 4

Continua la saga grazie al ritrovamento di altro materiale su "Matilde di Canossa e i suoi rapporti con i Cremonesi"

  16/12/2020

Di Agostino Melega

Matildica+4

LA SCULTURA ROMANICA CREMONESE

 

La qualità straordinaria delle sculture dei Profeti inserite negli stipiti del portale maggiore della Cattedrale di Cremona è lì, prodigiosamente, a portata di mano e di occhi, a farsi ammirare, a porsi come ristoro, come fonte di bellezza, come antidoto verso le ricorrenti aridità del quotidiano. Tali opere sono un segno altissimo della “Riforma gregoriana” e dell'officina culturale promossa da Matilde di Canossa.

Questa bellezza è lì a provocarci, a porci degli incessanti quesiti, a interrogarci sulle dinamiche del fluire del tempo, a dimostrarci quali picchi l'umanità abbia scalato nella ricerca incessante di Dio, e quali risultati abbiano arriso ai tentativi di materializzare le sensibilità dello spirito. La creazione scaturita dal marmo è lì a svelarci come l'inerte materia, nel suo multiforme ed artistico proporsi, possa permanentemente testimoniare anche la fede, la preghiera e le lodi al Signore dei suoi ispirati modellatori, vati protagonisti d'una sosta di riflessione creativa e di una affermazione identitaria propria d'un popolo in cammino.

I quattro grandi Profeti della statuaria cremonese, Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, ci orientano di conseguenza a portare all'attenzione dei visitatori il rapporto fra la bellezza estetica che li caratterizza ed il contesto storico-culturale e religioso nel quale tale bellezza venne affidata per la prima volta alla comunità dei fedeli. Vale a dire il mutuo rapporto fra arte ed il “sentire del tempo” nell'arco calendariale che vide la costruzione della cattedrale delle origini, quella romanica, fra il 1107, anno di fondazione, e il 1117, anno del terremoto che distrusse in gran parte “la madre” di tutte le chiese di Cremona. È necessario qui precisare che i Profeti sopravvissuti a quella catastrofe furono poi ricollocati nello scenario prospettico dove oggi si trovano in seguito alla ricostruzione della cattedrale avvenuta a partire dal 1129. Essi sono la reliquia d'una precisa epoca, sono la cartina di tornasole per cogliere la cristallizzazione formale del clima culturale di anni cruciali nella storia della Chiesa e dell'Europa.

Evidentemente se i nessi e le relazioni fra fede, cultura, arte e storia hanno un senso ed un valore, possiamo allora tentare di leggere, nella straordinaria opera dei Profeti, oltre alla patina istoriata della forte e diffusa aura religiosa del medioevo cristiano, anche la particolare empatia portata a compendio e sintesi dalla funzione propositiva di una incalzante tensione al rinnovamento, definita e concretizzatasi poi negli effetti e nei risultati della cosiddetta “Riforma gregoriana”.

Possiamo insomma tentare di respirare, dalle sagome ieratiche dei Profeti, l'afflato della forza del cambiamento e il desiderio di ordine portati a compimento da quel gigante della storia della Chiesa che fu papa Gregorio VII (1073-1085) e dai suoi fedelissimi, su un asse d'indirizzo iniziato prima di lui con Nicola II (1059-1061) ed Alessandro II (1061-1073), e continuato e mantenuto negli anni a venire dai suoi successori, a partire da Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1099), per giungere a Pasquale II (1099-1118) sotto il cui pontificato la cattedrale romanica venne edificata.

Una costruzione, questa, concepita secondo i canoni romanici del tempo, ossia su un registro progettuale che portava nella casa del Signore l'integrazione estetica piena dell'architettura con la scultura e con gli effetti divulgativi dell'impianto musivo; un insieme di forme di uguale importanza simbolica a corona del luogo dove sarebbe stato celebrato il Mistero; un insieme d'intimità formali suggerito dall'ispirazione del sentimento del divino, per manifestare, secondo quanto scrive André Malraux, “l'inesprimibile”.

Noi, presi dal richiamo dei Profeti, possiamo solo tentare di lasciarci avvincere da un viaggio mentale verso il lido di una storia che propone l'affacciarsi e l'affermarsi di una categoria interpretativa nuova. Una categoria d'interpretazione dell'esistenza che tende risolutamente al trascendente e che, nel tentativo di trasformare l'arte in strumento di conoscenza e di educazione alla spiritualità cristiana, tramuta l'estetica in proposta sublime, in un'arte essenziale, in una creazione plastica di ritmi materici che dispiegano l'animo alla sorpresa, all'incanto e alla preghiera, sul binario di un rinnovato equilibrio verso il rispettoso approccio all'ordine, alla regola e alla gerarchia.

GLI ISPIRATI CHIERICI DELL'ARTE, MEDIATORI FRA LA TERRA E IL CIELO

Nell'ambito della produzione artistica di quegli anni lontani, possiamo cogliere i nessi portati sul piano della visibilità fra i mondi propri dell'anima e dell'intimità dell'uomo dell'evo di mezzo e le volte e i picchi uranici dello spirito perenne, fra l'io e Dio, fra la frazione infinitesimale e il Tutto. E nel mezzo di questi rapporti extra-liturgici, ed in funzione di essi, possiamo tentare di avvicinarci alla cultura del soggetto della mediazione fra terra e Cielo, al medium fra i tempi e gli spazi e le dimensioni, all'interprete, l'ispirato aedo, “il chierico della materia”, l'artista, l'artigiano, lo scultore o scalpellino che sia.

Per entrare veramente in sintonia con le parole e le emozioni che la pietra ed il marmo esprimono sul rigo della mentalità del XII secolo e per godere il senso della purezza della sigla geometrica della simbologia romanica, bisognerebbe affidarsi ai suggerimenti di sant'Agostino, per il quale la bellezza visibile conduce a una realtà invisibile, da essa espressa e rivelata poiché ne contiene misteriosamente l'immagine riflessa.

Nelle figure apparentemente silenti dei Profeti, prodotte dalla levigatura del Verbo ripristinato al servizio esclusivo dello spirito, possiamo leggere, nel contesto di una immaginata architettura di rigore, nel contempo primordiale e metastorica, i segni di un cristianesimo adamantino ricuperato dalle origini, un cristianesimo rimesso a nuovo per essere rilanciato, divulgato, vissuto e praticato.

Il tempo nel quale l' artista orante autore dei Profeti ha partorito la propria opera, a guisa d'interprete medianico di una fresca sensibilità e pietà collettiva, è lo stesso tempo nel quale si staglia vincente il colpo d'ala vigoroso della Riforma della Chiesa, che si è andata via via affrancando dal suo stato anchilosato, rattrappito dai vincoli del subordine al potere, ritenuto pur esso sacrale, dell'Impero, del “Sacro Romano Impero”.

GREGORIO VII E I “PROFETI MAGGIORI”

È Gregorio VII, al secolo Ildebrando di Soana, la grande guida di questo movimento spirituale e culturale, il grande artefice di una rivoluzione storica, che scioglie, che libera la Chiesa come gerarchia e come popolo in cammino dai vincoli, dai condizionamenti di un potere altro, connotato da una sacralità ritenuta più intrisa di terra e di politica che di Cielo.

Gregorio VII, papa benedettino, educato alla vita ecclesiale secondo la disciplina dell'ordine di Cluny, investito da un irrefrenabile spirito riformatore, scioglie, polverizza con uno strattone epocale il potere dell'Impero di conferire investiture riguardanti benefici ecclesiastici. È un fatto inaudito: l'antico diritto viene tolto all'imperatore per sempre. Viene finalmente raggiunta l'indipendenza del Soglio romano e del suo principio, e viene favorita e plasmata, con tale autonomia, la ricerca del senso delle origini, l'affermarsi di una nuova antropologia religiosa e l'esigenza divulgativa di una nuova arte che coniughi dottrina e pedagogia.

I quattro superbi Profeti presidiano, nella “nuova” Cattedrale romanico-gotico-rinascimentale che possiamo oggi ammirare, il confine cremonese fra il mondo e la Gerusalemme celeste rappresentata dalla Cattedrale stessa, fra il tempo della storia e il tempo dello spirito. Essi attualizzano con le loro posture solenni l'afflato del ritorno alle origini paleocristiane. La fissità atemporale del loro sguardo trasforma i loro visi in maschere sacre che celano nell'apparenza stentorea il mistero della profondità della profezia.

Sono posti al centro della facciata della Cattedrale, a supporto simbolico della porta principale d'ingresso, spazio di passaggio intermedio fra il mondo, il relativo, l'inessenziale, e la casa del Signore, la casa dell'Assoluto e dell'Eterno. La porta è protetta da queste quattro figure che esprimono nel contempo severità, serenità ed aulica compostezza. Ponendoci con le spalle rivolte al portale, abbiamo sullo stipite a destra, in basso, Isaia, ed in alto Geremia, mentre alla sinistra troviamo in alto Daniele ed in basso Ezechiele. In riferimento a queste opere d'arte scrive lo studioso Valerio Guazzoni in “Cremona. La Cattedrale”: “Le teste solennemente incorniciate dalle barbe e dalle chiome ricadenti sulle spalle, esprimono la sacralità del ruolo profetico mentre le mani, grandi e prensili, stringono rotuli che si svolgono verticalmente contro le vesti striate da fitte pieghe”. Ezio Carli, da par suo, in “La Scultura italiana. Da Wiligelmo al Novecento” dice che “nella loro tesa rigidezza e nella struttura a blocco del modellato, cui strettamente aderiscono i grandi cartigli dalle piatte superfici spiegate verticalmente, essi (i Profeti) si riallacciano all'intenso plasticismo wiligelmico, mentre nella ieratica impassibilità dei loro volti traluce uno sguardo di doloroso ammonimento”.

LA “PIEGA AQUITANICA” E LE INFLUENZE EUROPEE

Qui possiamo cogliere la tensione, l'apice plastico degli effetti di una particolare situazione religiosa, ambientale e culturale proprio nella concentrata intensità espressiva della struttura. Una particolare menzione critica va poi dedicata all'interesse che ha sempre suscitato l'insieme della costruzione aulica dell'impianto del manto. Infatti il ritmo modulato delle curve ricorrenti del panneggio rimanda alla cosiddetta “piega aquitanica”; ritmo modulato che apre il ventaglio della lettura delle reciproche influenze delle scuole di scultura del tempo presenti in Valle padana, in Aquitania ed in Borgogna. Immediato si presenta infatti il parallelismo ai rilievi dell'altare maggiore del S.Saturnino di Tolosa, consacrato nel 1096 e firmato dallo scultore Bernardo Gilduino, con i rilievi del coro della stessa chiesa e con alcune figure di Apostoli nel chiostro di Moissac del 1100 circa, con i capitelli dell'Abbazia di Cluny della fine del secolo XI, e con le sculture successive di qualche decennio presenti a Vézelay, a Saulieu, ad Autun, anche se ispirate a modelli più sinuosi e più delicati.

Arturo Maria Quintavalle, in “Wiligelmo e Matilde.L'Officina romanica”, in riferimento ai reciproci prestiti dei testi plastici della produzione artistica dell'epoca evoca “modelli assunti anche dagli avori, quelli della cultura bizantina macedone rielaborata magari attraverso le impostazioni dei laboratori amalfitani o salernitani, comunque cassinesi di cultura”.

I PROFETI SONO UN'OPERA DI WILIGELMO

Evocando la citazione di Quintavalle non possiamo dimenticare la sua tesi più importante e ardita, ossia il fatto che egli accrediti la fatica ed il genio dell'opera dei Profeti allo stesso Wiligelmo, ponendo l'officina della cattedrale romanica di Cremona in stretta relazione e continuità con l'officina della cattedrale di Modena, fondata nel 1099 ed ultimata entro il 30 aprile 1106. Trascriviamo questa data perché per detto giorno è documentata la decisione della traslazione nella cattedrale di Modena delle reliquie del patrono della città, san Geminiano; traslazione poi avvenuta in effetti solo l'8 ottobre dello stesso anno alla presenza di papa Pasquale II e di Matilde di Canossa.

Tornando a Quintavalle è importante sottolineare il fatto che egli ponga le due cattedrali, quella di Modena e di Cremona, in un rapporto di contiguità quasi che la prima abbia rappresentato il laboratorio per la preparazione d'un modello operativo poi esteso in tutta la Valle padana; modello o sistema di costruzione che avrebbe influenzato fortemente ed inevitabilmente i lavori edili che sarebbero iniziati di lì a poco per l'edificazione della cattedrale di Cremona, il 25 agosto del 1107, in un cantiere in cui avrebbero operato le stesse maestranze itineranti già impegnate a Modena sotto la direzione dell'architetto Lanfranco, uno straordinario e mirabile rector et magister.

A proposito di questo sistema padano di officine romaniche, e in riferimento al parallelismo fra Profeti cremonesi e i Profeti scolpiti a Modena, lo stesso Quintavalle afferma a proposito dei Profeti di Cremona che “finora ha lasciato incerti gli studiosi la struttura delle figure, la loro rigida costruzione genialmente adattata alle appiattite proporzioni dello stipite, ma Wiligelmo ha voluto qui comporre una iconografia diversa da Modena anche se l'adattamento delle figure appare analogo”.

I PROFETI, UOMINI DI DIO

Passando dal piano estetico a quello simbolico divulgativo dobbiamo aggiungere che queste figure plastiche riproducono e rimandano all'ultima grande unità dell'Antico Testamento, vale a dire a quella dei “Libri dei Profeti” e rimandano alla seriazione ermeneutica del numero quattro. Il numero quattro inserisce sullo stesso asse associativo i “Profeti maggiori” con le quattro lettere del nome di Dio, il tetragramma JHWH, jahwè. Così come la simbologia del quattro rimanda alla croce, ai fiumi del paradiso al centro del cosmo, ai quattro evangelisti Matteo, Luca, Marco e Giovanni e ai quattro simboli che li rappresentano, l'uomo alato, il toro, il leone, l'aquila, così come ai Padri della Chiesa, Agostino, Ambrogio, Girolamo, Gregorio Magno. Sull'Antico Testamento i “Profeti maggiori” rappresentati dalle statue wiligelmiche di Cremona sono proposti prima dei cosiddetti “profeti minori”: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, la cui riproduzione plastica non ci è dato sapere se fosse presente nella Cattedrale romanica di Cremona al pari di quella di Modena. Al di là di questa curiosità inappagata, è importante però soffermarci sulla funzione e sul richiamo dei quattro Profeti maggiori attraverso la presenza dell'opera artistica. È evidente che il riferimento alla loro testimonianza biblica attraverso la figura scolpita è una sollecitazione pastorale a guardare lontano oltre le difficoltà della vita, nella prospettiva salvifica del cammino della fede, nel dettato della profezia ispirata da Dio. Facendo un salto all'indietro, negli anni fra il 1107 ed il 1117, possiamo congetturare che ciò che caratterizzava il cammino della fede, e specularmente ciò che caratterizzava la raffigurazione iconica o plastica dei Profeti fosse in stretta relazione col manifesto catechetico della Chiesa del tempo. La Chiesa gregoriana s'identificava pienamente con la novità dell'annuncio dei Profeti e con lo stato di divino entusiasmo attraverso il quale l'annuncio stesso veniva comunicato e divulgato. Un annuncio di chiarezza e di speranza: il tempo corrente è collegato alla dimensione escatologica della fine di tutti i tempi; esso non può essere governato dalla natura e dagli uomini, ma dal rapporto fra la comunità dei credenti e Dio attraverso la Chiesa, una ed apostolica romana.

L'ANNUNCIO DI UNA VITTORIA: LA RIFORMA DELLA CHIESA

Ma oltre a questo manifesto plastico forse siamo in presenza di un altro elemento religioso contingente da tenere in considerazione. Quale altro annuncio infatti, quale altro messaggio, quale altro orientamento avrebbero potuto comunicare con lieta compostezza e sereno atteggiamento i Profeti ai fideles cremonesi fra il 1107 ed il 1117?

La risposta ci è viene fornita dalla storia degli accadimenti: l'opera di riforma della Chiesa aveva vinto. Gradualmente e progressivamente coltivata come la rigenerazione di una creatura appena nata, a partire dal 910 dalla fondazione del monastero di Cluny in Borgogna, la riforma si era talmente rinforzata da divenire un frutto fecondo dall'effetto a catena, dall'esito moltiplicatore.

Dando l'avvio ad serie di modificazioni che avevano investito prima solo il mondo monastico, si era giunti a condizionare l'orientamento dell'insieme della Chiesa. L'opera mirata al ritorno della regola benedettina alle origini primigenie, quell'intenso lavoro di rigore intellettuale ed operativo, giungeva a compimento producendo un risoluto richiamo per tutta la Chiesa del tempo, travagliata per decenni e decenni da una crisi d'identità e di riferimento unitario in campo gerarchico.

Questo contraltare, questa reazione al degrado diffuso nel clero riuscì vincente fino a portare al Soglio pontificio, dopo alcune generazioni d'intenso lavoro, l'opera risanatrice e di rilancio di quattro papi benedettini in immediata successione, per l'appunto Gregorio VII, seguito da Vittore III, Urbano II e Pasquale II. In quegli anni di forti tensioni, proprio dai monasteri soggetti direttamente alla Santa Sede, i papi a loro volta trassero appoggio, mediatori, uomini di fiducia per la riuscita della riforma. I testimoni di questa particolare epopea della cristianità ricercarono la strada verso l'ideale evangelico proprio sul cammino di una ritrovata vita comunitaria. Da qui la stessa genesi e lo sviluppo del monachesimo occidentale attorno all'anno mille; monachesimo collegato al papa e spesso in contrapposizione ai vescovi di nomina imperiale; un monachesimo che si trovò poi a porsi in chiave dialettica e variegata con le posizioni scaturite dalle effervescenze radicali e dai movimenti ereticali. Da una parte c'era l'Impero che investiva d'autorità vescovi ed abati, dall'altra il popolo molto sensibile al richiamo e alla coerenza religiosa ed incline ad ascoltare pure l'eco dei movimenti pauperistici estremi. Nel mezzo di questo quadro inquieto il papa voleva ristabilire il proprio primato, bonificare la chiesa dalla simonia e dal concubinaggio, rimettere in marcia il popolo verso la meta del proprio progetto, la salvezza spirituale del mondo.

MATILDE DI CANOSSA, BRACCIO ARMATO DELLA RIFORMA

Al fianco del papa, a contrastare l'Impero e a contenere le spinte radicali dei movimenti estremi, ponendosi pure a protezione dei benedettini di Nonantola, e dei benedettini di san Benedetto in Polirone collegati a Cluny dal 1077, stava il braccio armato di Matilde di Canossa, la Gran Comitissa, la grande costruttrice delle cento pievi in Italia Settentrionale, la grande madrina degli artisti, artigiani e dottori in pietra del cosiddetto romanico lombardo, la grande fautrice laica della politica di Gregorio VII e della conseguente riforma. Come abbiamo già detto, Matilde assistette con papa Pasquale II ad una grande cerimonia dedicata a san Geminiano nella cattedrale di Modena, nell'ottobre del 1107, circa un anno prima dell'inizio dei lavori della cattedrale di Cremona. In quell'anno, nel 1107, è certo che la sede vescovile di Cremona fosse vacante. Ad attestarlo è lo storico François Menant in “Diocesi di Cremona”, nel capitolo significativamente intitolato “Da Liutprando (962) a Sicario (1185): ‘La Chiesa in mano ai Laicì e la restaurazione dell'Autorità episcopale”. E fu vacante detta sede vescovile fino al 1110. Non esistono cenni storici o testimonianze documentali che parlino di presenze del papa o di Matilde a Cremona sia durante il rito di fondazione della cattedrale sia in seguito. Con una situazione in movimento, di definizione per linee verticali del potere politico fra Papato ed Impero e della ridistribuzione per linee orizzontali dell'approccio alla partecipazione di nuovi ceti cittadini, il rapporto dell'autorità politica dal vescovo con i laici proiettati verso la costituzione del Comune diventava complesso, conflittuale, confuso. Da ciò con tutta probabilità non si saranno verificate le condizioni opportune per una visita di autorità esterne che inevitabilmente da una parte o dall'altra avrebbero potuto marcare di legittimità i precari equilibri raggiunti, che ognuna delle parti antagonistiche tendeva a modificare a proprio vantaggio. Si può ritenere la stessa costruzione della cattedrale la sintesi in muratura di questa inquieta dinamica sociale che trovò proprio nella continuazione del gigantesco cantiere uno sfogo, una meta da condividere.

Ora, al di là delle mancate analogie celebrative fra Modena e Cremona, e quindi all'assenza fisica del papa e della fedele Matilde a Cremona, possiamo però congetturare che essi fossero a conoscenza di quanto stesse accadendo in riva al Po, e quindi della fondazione e della costruzione in altezza della cattedrale di Cremona, la cattedrale della potente città padana, divenuta alleata con la legittimazione dell'acquisizione di Crema e dell'Insula Fulcheria avvenuta con solenne investitura a Piadena nel 1098.

I PROFETI E I CREMONESI DEL TEMPO

Del rapporto speculare fra Modena e Cremona è rimasta preziosa traccia la cosiddetta lastra di fondazione alla quale troviamo applicati come laterali i profeti Enoc ed Elia; lastra presente ancor oggi sulla facciata della stessa cattedrale emiliana e presente pure presso la sagrestia della cattedrale di Cremona.

I rapporti fra le due città dell'antica Longobardia forse saranno resi ancor più evidenti in futuro dal contenuto delle migliaia di manoscritti che attendono d'essere studiati presso l'Abbazia di Nonantola, Abbazia voluta da Matilde di Canossa e costruita attorno agli anni Novanta del XI secolo, spazio architettonico che segna significativamente i rapporti stilistici propri delle cattedrali romaniche padane. Da lì forse potremo meglio sapere i particolari del contributo che l'officina romanica di Modena diede alla comunità dei fedeli di Cremona nell'intraprendere l'iniziativa per l'inizio del cantiere della cattedrale, in attesa che l'autorità del vescovo si decantasse in una nuova visione pastorale e che da politica divenisse eminentemente religiosa. In assenza di dati storici sicuri, ci piace immaginare che nella Cremona del tempo, in quella città di guerrieri tornati vittoriosi dalla prima Crociata dopo la presa di Gerusalemme (15 luglio 1099); in quella città di mulattieri e di navigatori, di artigiani del lino, di mercanti di sale e di lana; in quella città di sosta per i pellegrini verso Roma e Gerusalemme liberata, ci piace immaginare, dicevamo, che in quel centro urbano così ricco di vitalità, che nella capitale del Po, si muovessero sulla scena del sagrato della bianca nuova cattedrale i primi animatori del dramma liturgico o, per essere ancor più precisi, del dramma sorto dalla liturgia. E ci piace immaginare di vederli drammatizzare, questi attori, questi mimi, di vederli agire in campo artistico teatrale nella proposta di rappresentazioni quali il Jeu d'Adam o Mystère d'Adam, una delle opere più antiche di lingua volgare, ed una delle tappe fondamentali del realismo della storia della cultura occidentale; un'opera conosciuta in tutta l'Europa cristiana del tempo. Ma non è certo solo la nostra fantasia ad indicarci questo riferimento. Infatti, mettendo in relazione i Profeti con i due pannelli wiligelmici murati sotto la Bertazzola, vale a dire le due lastre del Genesi con la storia dei Progenitori (il Peccato e la Cacciata dal Paradiso terrestre), Valerio Guazzoni scrive: “Nel più antico dramma liturgico di cui ci sia giunto il testo, il cosiddetto Jeu d'Adam (prima metà del XII secolo), la vicenda dei progenitori appare inquadrata in una prospettiva salvifica e culmina nella finale apparizione dei Profeti che incedono uno dopo l'altro sulla scena per annunciare la redenzione. (…) L'originario programma decorativo della facciata, per quanto difficile da ricostruire nella sua integrità, veniva quindi a riflettere uno dei grandi momenti della vita catechetica e liturgica della Cattedrale medievale: la rappresentazione in forma drammatica dei misteri centrali della salvezza”.

Ci piace immaginare che gli sconosciuti attori di chiesa e di sagrato abbiano proposto al pubblico lo stesso codice estetico che portò ad integrare, nel nuovo stile cristiano della riforma gregoriana, l'antica divaricazione fra lo stile illustre o sermo gravis o sublimis e lo stile basso o remissus o humilis. Vale a dire che essi abbiano usato la stessa lingua con la quale anche i Profeti parlavano alla gente cremonese del tempo: il volgare aulico, un volgare parallelo al latino usato nell'ambito colto, un volgare che tendeva la mano a tutti per condurre tutti dal concreto quotidiano ad una Verità che la casa del Signore avrebbe svelato nel raccoglimento e nella preghiera.

Dall'archivio L'Eco Cultura

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