"Memoria ogni giorno": tale dovrebbe essere l'imperativo dei testimoni della memoria e della verità storica. Che vengono, invece, compitate secondo calendarizzazione delle ricorrenze.
Tale era stato, solo alcuni giorni fa, l'incipit con cui avremmo voluto istradare la nostra testimonianza dell'incombente anniversario della Liberazione.
Per far comprendere che, nei nuovi contesti politici caratterizzati da equilibri inimmaginabili (non tanto nell'immediato secondo dopoguerra quanto in epoche più recenti, più consone all'aspettativa di una feconda metabolizzazione nelle coscienze di tutti gli italiani della transizione alla Repubblica).
Equilibri che, come abbiamo visto ed argomentato, se non proprio di preannuncio delle conseguenze pratiche derivanti da revisionismi scetticismi nei confronti dei perni antifascismi cui si ispira la Costituzione, sono il fatto nuovo, che induce l'antifascismo a rivedere un po' di conti.
Soprattutto, nel mettere in automatico una certa testimonianza liturgica e nel ribadire modalità di divulgazione, dettate da un'impronta dogmatica e divisiva (anche nel proprio seno).
Adelante con lucida consapevolezza, ma anche cum juicio. Perché di lavoro di contrasto ai tentativi di revisione e di scetticismo ce n'è tanto.
E anche a livello locale. Noi non siamo mai appartenuti al “partito dell'antifascismo” propenso ad occupare spazi indebiti. Ma riteniamo che sia giunto il tempo di rimodulare la mission non di difesa della Costituzione Repubblicana da derive, che anche senza aggettivazione si comprendono bene; bensì del completamento dello sforzo di fare entrare nella coscienza collettiva il dato fondamentale dei valori e dei principi della transizione, ordinamentale ed etico morale di 78 anni fa.
Non si parte da zero, su questo terreno di opzione del campo elettivo del sapere, della scuola, delle nuove generazioni, come destinatario del valore aggiunto della testimonianza edificante della difesa dell'impianto antifascista.
Anche in passato si dovette fronteggiare questo contrasto nei confronti di avversi testimonials, incuranti, come nel caso della “messa” del 28 aprile (solo per esemplificare, trascurando ben più incombenti propensioni potenzialmente) eversive.
Facciamo, riservandoci di tornarci, cenno all'incidente di percorso “dell'inaugurazione della sede”, come non chiaro o imperscrutabile eterogenesi, nel migliore dei casi, delle reali volontà politiche.
Ma, a poco meno di due settimane dalla celebrazione della Liberazione, sono ruzzolati, non si sa quanto occasionalmente, due fatti locali dal forte valore, se lo si vuol cogliere, didascalico. Che dicono, il primo (la vicenda del niet del Sindaco di Pizzighettone all'installazione di una “pietra d'inciampo” a ricordo degli oltre 500 reclusi avviati dal locale reclusorio all'internamento) e il secondo (il profilo antisemita di un evento del movimento no vax), quanto ancora ci sia da fare per eradicare pulsioni latenti (anche nell'ambiente istituzionale) che sono di segno opposto ad una corretta grammatica.
Insomma, come osserverebbe Sora Lella, alla vigilia della Liberazione “annammo bbene…proprio bene”.
Abbrivio questo per dare un significato alla pubblicazione che abbiamo ricevuto sui due argomenti e, ultimo ma non ultimo, per interrogare e per interrogarci sull'opportunità di istituire un “tavolo” che riprenda, magari mutatis mutandis, gli incombenti del Comitato Antifascista di qualche anno addietro. Col prevalente scopo di accelerare e potenziare l'opera divulgativa dell'associazionismo e delle forse politiche democratiche, soprattutto tra le nuove generazioni e nel mondo della scuola.
25 Aprile. Sventoliamo tutte le nostre bandiere
Caro direttore, non ricordo di aver udito un discorso tanto carico d'odio come quello formulato dalla signora segnalata.
Sembra di essere tornati ai tempi delle leggi razziali, come se decenni di storia fossero trascorsi invano. Dove si vuole arrivare? Quanti mezzi si cercano per enfatizzare il rifiuto all'accoglienza, dimenticando i veri problemi che attanagliano Italia ed Europa.
Una pseudo ricerca storica per demonizzare un'intera etnia e coloro che ne favorirono la difesa e che ora si aprono all'accoglienza di tanta povera gente, di nostri simili colpiti a loro volta da guerre, miseria e crudeltà. Il Meloni non riesce a pronunciare la parola “antifascista “. Il presidente del Senato colleziona gaffes vergognose, sempre poi ignobilmente giustificate …altri componenti della maggioranza ne seguono la scia tanto che ogni volta rabbrividisco a quanto riescono con piena convinzione ad asserire. E ancora una volta non sappiamo fortemente reagire?? Un partito che costituzionalmente doveva scomparire, un partito fuorilegge è riuscito ad infiltrarsi tra le fila di chi gli ha permesso di sopravvivere per la conquistata democrazia.
Si vuol mettere in dubbio che la data del prossimo 25 Aprile è stata una rinascita per il nostro Paese, al prezzo però di tante perdite di coraggiosi combattenti dell'eroica Resistenza! La nostra bandiera deve sventolare sempre più in alto per ravvivarne il ricordo, per essere grata al loro coraggio e grande sacrificio. Il boicottaggio nascosto è ancora più vile del non voler ammettere i veri intendimenti seguiti dal proprio attuale partito. Sventoliamo tutte le nostre bandiere, caro direttore, partecipiamo ai cortei cantando a piena voce con gioia e orgoglio perché libertà, democrazia non vengano mai meno.
In Piazza Stradivari a Cremona antisemitismo e incitamento all'odio razziale
Con sconcerto ho appreso che sabato 1° aprile, in Piazza Stradivari a Cremona, si è consumato uno spettacolo vergognoso di antisemitismo e incitamento all'odio razziale. Sotto gli auspici dell'associazione anti-green pass “Comitato Fortitudo”, tale Lidia Sella è intervenuta in un discorso di oltre mezz'ora contro “l'usura” nel quale erano presenti i più virulenti pregiudizi antisemiti antichi e moderni. Si è spaziato dalle teorie del complotto sul dominio mondiale e sulla finanza ebraica alle citazioni di scritti antisemiti di Martin Lutero, fino ad un triste inno alle espulsioni degli ebrei dall'Europa cristiana tra il medioevo e la prima età moderna, giustificate con lo scopo di “sradicare la piaga dell'usura”.
Tra i discorsi su presunti complotti mondiali e finanziari, si è citata la nota terzina dantesca “uomini siate e non pecore matte, si che il giudeo tra voi di voi non rida”, citazione presente nell'incipit dell'edizione italiana dei Protocolli dei savi di Sion pubblicata proprio a Cremona nel 1937. L'intervento si e concluso con “siamo governati da una banda di Giuda che […] meritano il nostro assoluto disprezzo”. A Cremona, che fu centro importante dell'antisemitismo di regime, città che vide l'opera criminale di personaggi come Roberto Farinacci e Giovanni Preziosi, città dove persino l'allora vescovo Cazzani in un'omelia giustificava la legislazione razziale del regime, non può essere tollerata una dimostrazione sconcertante di virulento antisemitismo, che insulta la storia della Cremona democratica.
Ma quel che più sconvolge, oltre agli applausi di molti presenti, è che nessun passante, nessun cittadino cremonese, sia intervenuto per contestare quanto veniva detto. Il problema non è dunque solo l'odio, ma anche l'indifferenza e il sonno delle coscienze libere, quelle coscienze libere sulle quali Carlo Rosselli, doverosa questa citazione su di un giornale socialista, fondava la sua idea di patria contrapposta a quella patria dei cannoni e dei confini celebrata da chi nel secolo scorso fece dell'oppressione e dell'antisemitismo la propria bandiera. Certamente è lecito chiedersi dove fosse la Digos di Cremona, dove fosse la Questura, mentre in una delle principali piazze cittadine veniva pronunciato un discorso antisemita; ma allo stesso tempo, con il 25 aprile alle porte, non è possibile intendere la lotta all'odio solamente attraverso le leggi, ma anche attraverso l'educazione e la conoscenza necessarie al risveglio di quelle libere e critiche coscienze presidio irrinunciabile della democrazia repubblicana sorta dalla lotta al fascismo.
Grazie Vittorio, sia per la segnalazione, che ci sarebbe sfuggita o che avremmo sfuggito, in relazione a una nostra incontenibile idiosincrasia nei confronti di certe “performances” sia per la testimonianza, coraggiosa e edificante per tutto il prosieguo della “pratica”. Che, a quanto ci risulta verrà segnalata a chi di dovere, in modo che si accerti nelle adeguate sedi la fattispecie di eventuali violazioni di legge.
Di nostro, uniamo a quello manifestato da Mascarini (che, per la cronaca, insieme ad Azzoni e Carotti ha completato la ricerca e ha contribuito a realizzare il progetto di installazione delle “pietre d'inciampo” a Cremona), il nostro sconcerto.
Le controdeduzioni alla “testimonianza” antisemita del 1° aprile, ben articolate da Mascarini, ci esimono dall'aggiungere altro. Se non, appunto, dato che il nostro corrispondente ci ha inviato foto e video dell'esternazione, la segnalazione dell'esistenza di un'eventuale fattispecie di reato.
Ma, al di là di questo aspetto, apparentemente periferico alla gravità dello speech apparentemente focalizzato sulla riemergente tiritera no vax, non resta che osservare il fatto che la testimonianza sul punto (in apparenza ossessivamente monotematica) in realtà emerge sempre di più come strumentale.
Essendo che il core businnes di questi ambienti è pescare nel torbido, indotto dal collassamento della coscienza civile collettiva, per veicolare narrazioni aberranti. Come, appunto, l'antisemitismo. La politica “maggiore” sull'argomento aveva solo pochi giorni fa dato il meglio di sé con l'expertise storiografica della “seconda carica dello Stato” (in materia di Fosse Ardeatine). Ma se poi uno, aggravando il combinato di tratti, speech, sedimenti, ammette, facendo un taccone peggio del bus, lo svarione storico, non puoi concludere…se, al di là dell'alta magistratura coperta, lo è o lo fa. Sia quel che sia esterniamo il nostro rifiuto di pendere dalle labbra di coloro che, in evidente dispregio della loro appartenenza all'ordinamento nato dalla Liberazione e dei ruoli di vertice della Repubblica, menano il can per l'aia. Su una materia, che invece è dirimente. Un giorno si omaggia la Senatrice Liliana Segre di un bouquet…e l'altro successivo si omette di dire che la retata di via Rasella riguardo prevalentemente e simbolicamente quel che restava del Ghetto. Poi, si va in visita ufficiale a Tel Aviv per profondersi in gesti di amicizia che neanche…, alternando con scivoloni negazionisti e revisionisti.
Nelle more capita, per giunta a Cremona che fu se non proprio la culla certamente coi gesti reiterati del farinaccismo una sede prevalente della campagna antiebraica, anche “prestazioni” come quella segnalata da Mascarini.
A noi gli occhi. La memoria è ogni giorno.
Nessuno è obbligato. Ma specialmente coloro, che in materia di testimonianza antifascista sono dispensatori di ordini di servizio, farebbero bene ad essere coerenti con la misura e la continuità dell'impegno.
Perché, come fa presente il compagno Giuseppe Azzoni, in materia di un'altra odiosa pregiudiziale, l'antiebraismo è il picco con cui si esprime la continuità di tutto il peggio che caratterizzò il Ventennio. E che, contro ogni aspettativa, vive e lotta…contro la Repubblica.
Pizzighettone: nella pietra d'inciampo il primo ad inciampare è stato il Sindaco
Egregio direttore, appare importante la proposta al Comune di Pizzighettone, ben evidenziata dal Suo giornale, della minoranza consigliare perché esso ricordi, "con la posa di pietra d'inciampo", le centinaia di prigionieri dell'ex carcere militare di quelle storiche antiche murature che furono deportati dai nazifascisti. Molti di essi non tornarono. La loro colpa era una critica, un momento di indisciplina, un semplice mugugno rispetto alla guerra che nazisti e fascisti avevano scatenato. Porre per loro una pietra di memoria è una proposta seria. Ed è vero che va storicamente conosciuto tutto ciò più di quanto lo sia stato sino ad ora. Riguardò persone e giovani in divisa di tutta Italia. Gli sforzi della ricerca storica e della divulgazione in merito sono, mi pare, meritevoli ed importanti ma non adeguatamente conosciuti. Appare necessario che approfondimento e divulgazione siano ad oggi da riprendere per storie come queste, considerate locali ed avvolte dal tempo nella nebbia. Deve considerarsi molto positivamente l'avere rimesso in luce questo tragico singolare avvenimento. Esso oggettivamente richiederebbe uno sforzo ulteriore di ricerca, conoscenza condivisa e divulgazione non solo locale.
Ok…sarà per le “radici” (celtico etrusche) … sarà per una larga predisposizione alla tigna (specie quando certe narrazioni puntano a fare del depistaggio la principale, anzi l'unica sollecitudine per la testimonianza politico-istituzionale) …ebbene qualcuno può giurare che non ci tireremo neanche per un millimetro rispetto al tentativo di deragliamento della generosa campagna di divulgazione storica e civile. Che, sulle sponde dell'Adda, ha visto una partnership coesa di divulgazione dei valori e dei principi su cui si fonda l'ordinamento racchiuso nella Costituzione.
Già, non riluttiamo neanche lo stile un po' naif delle celebrazioni del 25 aprile in cui si suona, sicuramente non in malafede ma per amore patrio, l'Inno del Piave. Perché ci vanno bene tutte le sensibilità che militano nella Costituzione e che partono dalla Liberazione.
Ci si gonfia il petto quando apprendiamo che iniziative, come quella recente delle “staffette partigiane”, si sono avvalse di importanti contributi di ricerca storica, ma anche dell'impegno del mondo associativo e della scuola.
Noi non abbiamo fatto dell'antifascismo un gesto permanente finalizzato al perseguimento di obiettivi collaterali. Ciò ci attribuisce il dovere di non fare sconti. Come non faremo sul prosieguo del progetto di installare presso lo storico Carcere delle Mura un manufatto che ricordi la circostanza che da quel luogo di privazione della libertà e di dolore partirono 500 reclusi diretti all'internamento nazifascista.
Già sin d'ora, ringraziamo indistintamente tutti e quattro i Consiglieri Comunali dell'opposizioni che hanno con fermezza denunciato lo “scivolone” del Sindaco e della maggioranza. E ringraziamo Gianfranco Gambarelli che generosamente da anni porta avanti un importante impegno di ricerca e di divulgazione storica.
Il centenario di Giacomo Matteotti
Valdo Spini- Roma 30 maggio 2022 – Intervento di saluto in occasione dell'intitolazione di una sala della Camera dei Deputati a Giacomo Matteotti. Di cui, tra poco più di un anno ricorrerà il centesimo anniversario del delitto politico. Per le ragioni focalizzate nelle premesse, vale a dire della opportunità di orientare la testimonianza antifascista in termini permanenti e vocati alla educazione civica e storica delle nuove generazioni e della popolazione scolastica, ci portiamo avanti, come si dice a Cremona. Da qui, si ripete, in poi (sino al 6 giugno dell'anno prossimo) ogni giorno è occasione opportuna per costruire una importante rivisitazione della figura a tutto tondo del primo martire antifascista. Forse un po' circoscritta a questo prevalente perno dell'estremo sacrificio della vita, sull'altare della coerente testimonianza idealistica (“Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai”). Andrebbe, non invece bensì nell'interesse di una percezione più vasta (soprattutto, a beneficio della attualizzazione della sua eredità politica) della sua testimonianza socialista, allargata la visuale. Cosa cui ci apprestiamo da subito. Ringraziando il prof. Valdo Spini, che, come si ricorda, è presidente della Fondazione intitolata ai fratelli Rosselli, che solo qualche anno dopo avrebbero, nel 1926, col programma di Giustizia e Libertà portato a sintesi teorica il progetto di socialismo riformista di Giustizia e Libertà. I cui cardini affondano nelle preesistenze del socialismo riformista di Turati e Bissolati e a seguire di Matteotti e Pertini, Parri e Adriano Olivetti (che il 12 dicembre 1926 avrebbero accompagnato Turati nell'espatrio in Francia).
Onorevole Presidente,
signore e signori, care amiche e cari amici delle Fondazioni e Istituti di Cultura,
Grazie presidente Fico, e grazie a tutta la Camera dei Deputati, per avere risposto positivamente, con questo gesto concreto e sollecito, alla petizione che, con la firma di circa sessanta tra fondazioni e istituti rappresentativi di un larghissimo arco delle culture della repubblica, Le abbiamo rivolto perché fosse intitolata una sala della Camera al deputato Giacomo Matteotti.
Viene compiuto così un gesto altamente significativo nell'edificio che ospita la massima espressione della democrazia italiana, il Parlamento della Repubblica e proprio nel giorno, 30 Maggio, del discorso che doveva costargli la vita.
Giacomo Matteotti deputato e segretario del PSU (il Partito Socialista Unitario di Filippo Turati e Claudio Treves) venne rapito e ucciso il 10 giugno 1924 dalla cosiddetta CEKA, famigerata squadraccia fascista agli ordini diretti della direzione del Partito Nazionale Fascista (Pnf), finanziata dall'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, e proprio a causa dello svolgimento coraggioso e coerente delle sue funzioni di parlamentare.
Non era il primo: nel 1922, era stato ucciso un altro deputato socialista, Giuseppe Di Vagno, mentre si recava ad una riunione politica a Mola di Bari.
Giacomo Matteotti si era levato a parlare nella prima seduta della Camera, il 30 maggio 1924 per contestare la validità delle elezioni del 6 aprile precedente che si erano svolte all'insegna della violenza e dell'intimidazione da parte delle squadre fasciste, anche con l'uccisione di oppositori, su tutto il territorio nazionale. Queste violenze e queste uccisioni erano state denunciate da Giacomo Matteotti in un drammatico discorso alla Camera costellato dalle interruzioni e dai tentativi dii zittirlo da parte dei deputati fascisti.
Matteotti inficiava così il risultato che non solo aveva visto la vittoria del listone fascista ma addirittura il conseguimento da parte di quest'ultimo dei 2/3 dei seggi grazie al premio di maggioranza previsto dalla legge Acerbo, fatta approvare da Mussolini prima delle elezioni:
Al Presidente della Camera, Alfredo Rocco, che lo invitava a parlare prudentemente, Matteotti rispose. “Io non parlo né prudentemente né imprudentemente: parlo parlamentarmente” una riprova del suo attaccamento a questa istituzione che oggi gli rende onore.
Taluni storici hanno aggiunto a queste motivazioni del delitto, anche un'altra e cioè che Giacomo Matteotti si stava apprestando a denunciare, sempre alla Camera, uno scandalo petrolifero, il cosiddetto affare Sinclair, che avrebbe investito anche la Corona e che la sua uccisione fosse da collegare anche alla finalità di prevenire questa sua denuncia.
Matteotti peraltro aveva già subito la violenza squadristica fascista in precedenti occasioni ed era conscio dei pericoli che correva: si racconta che quel giorno 30 maggio, a chi si congratulava con lui per il suo discorso avesse risposto sorridendo: “E adesso. Potete preparare la mia orazione funebre”.
Il corpo di Matteotti venne ritrovato a Riano, nella campagna romana, solo il 16 agosto successivo. Nel frattempo, era stato messo in opera ogni tentativo di depistaggio sulla sua uccisione. Un depistaggio anche personale del Duce quando ricevette Velia Matteotti che chiedeva la verità sulla scomparsa del marito. Mussolini era stato messo subito al corrente dell'omicidio, ma rispose elusivamente che si sarebbero fatte ricerche.
La reazione di sdegno nel paese fu fortissima. L'eco del delitto fu infatti enorme. Ben lo descrive il film di Florestano Vancini, “Il delitto Matteotti”, una sorta di film-verità che accompagna passo passo la tragica vicenda. Le opposizioni si ritirano sull'Aventino, Mussolini sembra vacillare, ma, per il determinante appoggio della monarchia riesce a rimanere in sella. Il 3 gennaio 1925, Mussolini pronuncia quel discorso che metterà definitivamente fine ad ogni illusione di ripristino della legalità. Ricordiamo quelle terribili parole: “io dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea, ed al cospetto di tutto il popolo italiano, che assumo (io solo!) la responsabilità (politica! morale! Storica!) di tutto quanto è avvenuto”. E ancora “se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, a me la responsabilità di questo.” Iniziava di fatto la dittatura.
Ci sarebbero voluti vent'anni, la Seconda guerra mondiale, la Resistenza e la guerra di liberazione perché il popolo italiano potesse nuovamente vivere in libertà e in democrazia.
Ma il sacrificio di Giacomo Matteotti costituì la delegittimazione del regime e uno spartiacque vero e proprio nella storia d'Italia. Da quel momento in poi ogni parvenza di libertà venne meno: nel 1926 le “leggi fascistissime” cancellarono la libertà di stampa e soppressero i partiti diversi da quello unico del regime. Lo stesso avvenne per i sindacati.
Il sacrificio di Giacomo Matteotti riscattò anche il socialismo italiano da quelle debolezze e incertezze, da quegli errori e da quelle carenze che ne avevano fatto il vero sconfitto dell'avvento del fascismo. Nel nome di Matteotti si poté mantenere nel ventennio la fedeltà al vecchio partito, nel nome di Matteotti vennero costituite le brigate partigiane socialiste e il partito socialista nelle prime elezioni dell'Assemblea costituente poté ricevere più del 20% dei suffragi, divenendo in quel momento il secondo partito italiano.
Giacomo Matteotti, che veniva da una famiglia abbiente, era diventato socialista al contatto e in solidarietà con le plebi rurali del suo Polesine. “Un eroe tutto prosa”, così lo definì nel 1934, primo decennale del suo assassinio, sottolineandone il riformismo ad un tempo coraggioso e coerente, Carlo Rosselli, il leader di Giustizia e Libertà, destinato anche lui ad essere crudelmente assassinato il 9 giugno 1937. Sì, un eroe “tutto prosa” perché Matteotti aveva fatto anche il contabile in una cooperativa per concorrere al riscatto dei lavoratori che rappresentava.
Tanti anni dopo, l'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi mi raccontò che nel breve periodo in cui era stato il segretario della Sezione di Livorno del Partito d'Azione aveva organizzato una commemorazione comune dei due martiri, proprio per la vicinanza delle due ricorrenze, 9 giugno per i Rosselli, 10 giugno per Matteotti.
Signor Presidente, signore e signori, care amiche e cari amici,
Ci avviciniamo al centenario di questo assassinio e come avviene in casi del genere, ci può essere anche chi invita a soprassedere, a lasciar perdere commemorazioni e ricorrenze a non dar loro troppa importanza.
Ma se noi dimenticassimo Giacomo Matteotti e coloro che come lui hanno dato la vita per la libertà e la democrazia, significherebbe che avrebbero vinto i suoi assassini e quindi avrebbe vinto la morte; se invece ricordiamo come stiamo facendo oggi, in tutta la sua evidenza ed importanza il suo sacrificio, possiamo dire di avere sconfitto la morte e fatto vincere la vita.
A coloro che visiteranno gli edifici della Camera dei deputati ed in particolare alle giovani e ai giovani della nostra nazione da oggi potrà essere detto questo: qui troverete una sala dedicata a un deputato che ha pagato con la vita la sua dedizione alla libertà, alla democrazia, alla funzione stessa di parlamentare.
In questi tempi troppo spesso si manifesta un distacco tra cittadine e cittadini e istituzioni e rappresentanza politica, in un periodo particolarmente drammatico della nostra storia, quando ancora non si è esaurita l'ondata della pandemia del Covid19, ma siamo nel pieno di una guerra scatenata in Europa con l'aggressione della Russia all'Ucraina, sentiamo particolarmente la necessità di appoggiarci su esempi forti, su punti di riferimento ideali e politici adamantini come quello del deputato Giacomo Matteotti.
È il motivo dell'impegno congiunto che è stato dispiegato di tante Fondazioni e istituzioni culturali del nostro paese, che rappresentano nomi e momenti importanti della storia della Repubblica, è il motivo del nostro sentito ringraziamento a Lei Presidente Fico e alla Camera dei deputati che Lei presiede per l'intitolazione di questa sala a Giacomo Matteotti.
Confidiamo che il gesto che viene compiuto stasera costituisca un avvenimento importante che intende sottolineare la funzione della rappresentanza democratica, l'importanza del Parlamento e l'impegno politico delle cittadine e dei cittadini.